Sud Sudan, I Papi e le relazioni diplomatiche

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“La Santa Sede e la Repubblica del Sud Sudan- si legge nello scarno comunicato ufficiale- desiderose di promuovere rapporti di mutua amicizia, hanno deciso di comune accordo di stabilire tra di loro relazioni diplomatiche, a livello di Nunziatura Apostolica da parte della Santa Sede e di Ambasciata da parte della Repubblica del Sud Sudan.” Chi sa cosa ne avrebbe detto Padre Cesare che a luglio del 2011, poco dopo la proclamazione della indigenza del Sud Sudan, ha spento gli occhi mentre celebrava la messa. Come se il suo compito fosse compiuto. La sua è una grande eredità, e non solo spirituale o politica. La associazione Cesare onlus è uno dei punti di riferimento del paese che per 22 anni ha subito la guerra più “normale” in Africa con popolazioni alla fame e sottosuoli ricchissimi. Il Nord ha lottato per non dare l’indipendenza al Sud non certo per una questione religiosa. Piuttosto per quel ricco sottosuolo. Petrolio essenzialmente che però ha bisogno di oleodotti che si trovano al Nord. Il solito dramma africano. Una guerra civile che ha fatto due milioni di morti e allontanato quattro milioni di persone da casa. La Santa Sede come sempre guida la comunità internazionale e anche se un anno e mezzo dopo la indipendenza, stabilisce relazioni diplomatiche complete. Il Sud Sudan è diventato indipendente grazie ad un referendum, ma poi c’era da costruire lo stato.

A luglio del 2011 la Santa Sede invitava “la Comunità internazionale a sostenere il Sudan e il nuovo Stato indipendente perché in un dialogo franco, pacifico e costruttivo trovino soluzioni giuste ed eque alle questioni ancora irrisolte ed augura a quelle popolazioni un cammino di pace, di libertà e di sviluppo”. Insomma la chiave dello sviluppo della regione è da cercare nella cooperazione tra i due stati. Il giorno della proclamazione della indipendenza erano in molti a Juba, capitale del nuovo stato e ovviamente c’era anche una delegazione vaticana guidata dall’ arcivescovo di Nairobi. Una attenzione che viene comunque da lontano, dai viaggi di Giovanni Paolo II, proprio a febbraio di 20 anni fa. Un confronto tra islam e cristianesimo. Ricorda Luigi Accattoli  in un articolo su Liberal a proposito di quel viaggio: “Il Sudan fu comunque l’unico Paese dominato dalla legge del Corano che Giovanni Paolo riuscì a visitare lungo l’intero Pontificato. Già dall’aeroporto – dove fu ricevuto dal presidente Omar Hassan Ahmed al Bashir: lo stesso che sabato era presente a Juba – il Papa viaggiatore invitava le autorità ad «ascoltare la voce dei nostri fratelli oppressi », ma anche le avvertiva che egli non avrebbe taciuto, perché «quando la gente è debole, povera e indifesa, devo levare la mia voce in loro favore ». Nelle parole di Giovanni Paolo si poteva intravedere qualcosa degli eventi recenti: «I sudanesi, liberi nelle loro scelte, possano trovare la formula costituzionale che permetta loro di superare le contraddizioni e le lotte nel rispetto della specificità di ogni comunità». Egli non potè andare nel Sud, ma alle comunità cristiane «al Sud era rivolto innanzitutto il suo pensiero: “Io spero con tutto il cuore che la mia voce vi raggiunga, fratelli e sorelle del Sud».”

E’ una bella storia quella dell’impegno dei pontefici per il Sud Sudan, che fa comprendere come l’azione della Santa Sede non sia legata ad un Papa piuttosto che ad un altro. A Roma il Papa lavora per la Chiesa, tutta la Chiesa in ogni parte del mondo e in ogni epoca. Andrebbe ricordato a chi dopo lo scorso 11 febbraio ha cercato di legare la scelta di Ratzinger a qualche affaruccio di dozzina. Per chi ha voglia di conoscere meglio il Sud Sudan e Padre Cesare basta un click cesarsudan. org.

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