I cattolici, il Papa e l’Italia

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Al IV convegno nazionale della Chiesa Cattolica, svoltosi a Verona nel 2006, papa Benedetto XVI ha ribadito la presenza dei cattolici in politica: “La Chiesa, dunque, non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia, e le offre a un duplice livello il suo contributo specifico. La fede cristiana, infatti, purifica la ragione e l’aiuta ad essere meglio se stessa: con la sua dottrina sociale pertanto, argomentata a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano, la Chiesa contribuisce a far sì che ciò che è giusto possa essere efficacemente riconosciuto e poi anche realizzato… Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo… La testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno dato e stanno dando a questo riguardo sono un servizio prezioso all’Italia, utile e stimolante anche per molte altre Nazioni. Questo impegno e questa testimonianza fanno certamente parte di quel grande ‘sì’ che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio”.

 

 

La provocazione è forte, in quanto i cattolici non possono continuare a restare rintanati nella retorica dell’impegno e del bene comune, senza correre il rischio di fare un passo avanti, spronati dagli interventi di papa Benedetto XVI come nell’omelia pronunciata nella sua visita a Cagliari nel 2008: “Vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile. In tutti questi aspetti dell’impegno cristiano potete sempre contare sulla guida e sul sostegno della Vergine Santa”. A partire da questi ‘stimoli’ il prof. Luigi Alici, professore all’Università di Macerata e già presidente nazionale di Azione Cattolica, ha dato vita a un blog, che ha interessato un numero di lettori molto alto, permettendone la stesura organica di un libro: ‘I cattolici e il Paese’. L’autore affronta la ‘presenza’ dei cristiani nella vita politica, ponendo alcune domande fondamentali:

“La tradizione cristiana si è da sempre interrogata su una sorta di anomalia strutturale che caratterizza la ‘presenza’ dei cristiani nella vita politica. La si potrebbe esplicitare in due obiezioni fondamentali:  la presenza dei cristiani può essere veramente efficace, ispirandosi ai valori evangelici della carità, della fratellanza, del perdono, dell’abolizione della differenza fra amico e nemico, dell’attenzione agli ultimi? Si può ‘estrarre’ da questi valori, di per sé essenzialmente ‘impolitici’, una qualche forma di governo della città, quindi una dottrina politica, con tutti i suoi corollari irrinunciabili, a cominciare dalla certezza del diritto, dall’inflessibilità dei tribunali e dalla forza degli eserciti? Fino a che punto, soprattutto nelle odierne società pluraliste, i cristiani, che hanno accettato la democrazia con un ritardo secolare, sono capaci di affrontare i problemi posti dalla convivenza storica in modo veramente critico e libero, aperto alla collaborazione con tutti? Se la comunità ecclesiale e la società politica sono due forme aggregative fondate su logiche incommensurabili e reciprocamente non riducibili, è possibili ammettere i cristiani nel libero gioco democratico, sapendo che essi sono eterodiretti da un potere dogmatico che non accetterà mai di mettere ai voti i principi che professa?”

E qui entrano in gioco i valori ‘irrinunciabili’ e la Dottrina Sociale della Chiesa per il bene del Paese: “La cristianità è una particolare declinazione storica del cristianesimo, una sorta di ‘ideale storico concreto’, ispirato al Vangelo e ai valori irrinunciabili della tradizione cristiana, ma modulato in risposta alle attese, ai bisogni, alle emergenze di una particolare congiuntura. Possiamo parlare anche di ‘valori non negoziabili’, usando un’espressione cara a Benedetto XVI… I cristiani non hanno oggi una proposta di governo, concreta e praticabile, della società complessa. Principi alti da declamare e compromessi sottobanco. Al grande ‘aereo’ della dottrina sociale manca una pista di atterraggio, e forse persino un carrello. Finché il laicato cattolico oggi non si assume una nuova responsabilità (come, a livelli diversi, fecero Toniolo, Sturzo, De Gasperi…), attivando un dibattito libero, lungimirante, coraggioso e costruttivo, ogni altra iniziativa o ‘convocazione’ più o meno pilotata ha lo sgradevole sapore di un moralismo inconcludente o, peggio, della ricerca di una ‘benedizione’ per antichi e nuovi carrierismi”.

Per il prof. Alici l’apporto del cristiano in politica è quello dell’amore sociale, cioè della sussidiarietà: “La questione l’aveva messa a fuoco molto bene sant’Agostino, quando si misurò con la polemica montante nel mondo pagano, dopo il sacco di Roma del 410, ad opera dei Visigoti guidati da Alarico; mettendo mano alla sua monumentale opera ‘De civitate Dei’, il vescovo d’Ippona smontò uno stereotipo che continua a circolare, soprattutto dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre: abbiamo i barbari in casa, non è tempo di amore. Secondo Agostino, invece, è sempre tempo di amore, anche e soprattutto per la politica: se uno Stato legittimo presuppone l’esistenza di un popolo, il popolo presuppone a sua volta una rete di legami stabili e condivisi, fondati sulla ‘concors communio’, e la concordia è esattamente la capacità di condividere il cuore, vale a dire di condividere un amore comune. La fine dell’impero romano, perciò, non è dipesa dall’indebolimento delle sue strutture interne a causa della predicazione cristiana, ma dal fatto che la fisiologia dell’amore sociale si era ormai capovolta in una patologia egoistica. Un amore comune: ecco la condizione irrinunciabile, che deve trovare nel diritto una sua codificazione sempre provvisoria e perfettibile. Lo schema viene allora capovolto: amore-giustizia-amore. Nell’amore tutto comincia e tutto finisce”.

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