Il Vescovo emerito di Trapani Francesco Miccichè imputato a processo penale. L’accusa: 3 milioni di euro sottratti alla Diocesi. Attico a Roma da 800mila euro

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Il Vescovo emerito di Trapani, Monsignor Francesco Miccichè – mai sospeso a divinis – ricevuto in udienza da Papa Francesco lo scorso 28 gennaio [QUI], tuttora annoverato nel sito ufficiale C.E.I. della Conferenza Episcopale Siciliana [QUI], è imputato nel processo penale che avrà luogo, per l’avvio della fase dibattimentale, il 29 marzo prossimo a Trapani. Miccichè è accusato di peculato per essersi impossessato di fondi provenienti dall’8 per mille della Conferenza Episcopale Italiana.

Udienza del 26 gennaio 2015.

Nato a San Giuseppe Jato (PA) il 16 giugno 1943 e sollevato dall’incarico di vescovo della diocesi di Trapani da Papa Benedetto XVI il 19 maggio 2012 [QUI]. Mons. Miccichè – a seguito dell’ispezione ecclesiale, eseguita da Mons. Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo, che ha verificato la regolarità delle sue attività, in particolare riguardo a due fondazioni legate alla diocesi [QUI] – ha affermato di non condividere e non comprendere il “provvedimento estremo” che la Santa Sede ha assunto nei suoi confronti. Inoltre, ha affermato di essere vittima di un complotto nato dentro e fuori la Chiesa [QUI]. Ne ha riferito anche Korazym.org: Micciché, il vescovo di Trapani commissariato dal Vaticano: “Non comprendo” – 21 maggio 2012.

Nel 2015 la Procura di Trapani lo ha indagato con l’accusa di appropriazione indebita e malversazione, per un ammanco di 2 milioni di euro, dai fondi dell’8 per mille destinati alla sua Diocesi. Inoltre, è accusato di diffamazione e calunnia nei confronti del suo ex economo. Nel portatile di Micciché gli esperti informatici, che erano a caccia di documenti che potessero sostenere le accuse nei confronti di Miccichè, hanno trovato un vero e proprio album fotografico che ritrae in pose inequivocabili dei minori, alcuni molto piccoli. Le ha scaricate il vescovo per uso personale o qualcun altro dei suoi familiari ha avuto accesso a quel pc e a quei file? Una domanda alla quale adesso dovrà rispondere la procura [QUI].

Udienza del 26 gennaio 2015.

Nel dicembre 2015, inoltre, la Seconda sezione penale della Cassazione ha confermato il sequestro da parte della Guardia di finanza di opere d’arte, quadri, crocifissi e gioielli, per un ammontare di quasi due milioni di euro, trovati nella villa del vescovo e provenienti da diverse chiese di Trapani.

Nel processo imminente, che avrà luogo il 29 marzo 2021, il pubblico ministero Sara Morri, potrà procedere all’escussione dei primi testi. Nei confronti di Miccichè verranno contestate dalla Procura di Trapani ipotesi di reato che risalgono al 2007 e riguardano due conti correnti su cui confluivano le risorse, che il vescovo avrebbe sottratto – pianificando – “in atti un disegno criminoso con una serie di azioni realizzate in tempi diversi”.

Saranno oggetto di contestazione anche alcune denunce che, per la Procura, il Vescovo Miccichè presentò appositamente per distogliere l’attenzione degli inquirenti dalle sue presunte attività illecite.

Le indagini hanno fatto emergere situazioni clamorose, come regalie a qualche giornalista che si era occupato di seguire il caso stando dalla parte del vescovo. Mons. Miccichè avrebbe pianificato uno scenario tutto a suo favore, un castello di carta caduto sotto i colpi delle indagini dei magistrati trapanesi. Nelle carte processuali pare ci siano le prove dei suoi stretti contatti con parlamentari trapanesi, tra i nomi vi sarebbero quelli dell’ex senatore D’Alì (tuttora imputato in sede penale con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa) [QUI] e con l’ex deputato regionale Ruggirello (tuttora agli arresti domiciliari, poiché sotto processo a Trapani nell’ambito del procedimento denominato “Scrigno” sul rapporto tra mafia, imprenditoria e politica) [QUI], rapporti, per la procura di Trapani, finalizzati a cristallizzare il potere del prelato.

Tra i frequentatori del salotto di Mons. Miccichè, in qualche occasione, c’è stato anche il Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, nei confronti del quale la Procura di Catania il 2 febbraio 2021 ha chiesto la condanna a 7 anni e 4 mesi di reclusione, per concorso esterno all’associazione e corruzione elettorale [QUI]. Micciché e Lombardo sono stati spesso ospiti dell’albergo ricavato all’interno della valdericina ex Villa Nazareth, adesso utilizzato per accogliere i migranti [QUI].

Il Vescovo emerito di Trapani avrebbe creato un danno erariale ingente, appropriandosi di denaro sottratto dai conti destinati a “Interventi Caritativi” ed “Esigenze di culto pastorale” della Diocesi di Trapani. Il reato contestato è il peculato, poiché il denaro sarebbe stato sottratto in violazione della legge 222 del 20 maggio 1985 [QUI] e del regolamento che prevede l’impegno delle somme derivanti dall’8 per mille per “esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo” [QUI].

Mons. Antonio Campanile.

Nell’ambito delle indagini è inoltre emerso l’acquisto di un lussuoso appartamento a Roma, adiacente a piazza Barberini, solo formalmente intestato alla Diocesi trapanese, poiché di fatto rimasto nella disponibilità del Vescovo Micciché, che è accusato, di aver distratto fondi destinati ai bambini autistici e ai piccoli malati oncologici. Soldi distratti dal loro fine primario e utilizzati per l’acquisto di un attico di 210 metri quadrati con dependance al centro di Roma. Per un ammontare di 800.000 euro, sottratti ad un ente morale, la Fondazione Campanile, una delle più importanti realtà socio-assistenziali della Sicilia e utilizzati a fini privati. Tra le altre ipotesi di reato contestate, si registrano l’appropriazione indebita e la malversazione per la distrazione dei fondi dell’8 per mille della CEI [QUI].

Attico al numero 50 di via San Nicola da Tolentino, adiacente piazza Barberini a Roma.

L’immobile in questione è un attico posto al quarto piano di un antico palazzo nobiliare, al numero 50 di via San Nicola di Tolentino, alle spalle di piazza Barberini, zona centrale e di pregio della capitale. L’appartamento è stato acquistato nel 2008 da Micciché ad un prezzo decisamente sottostimato, per il centro di Roma: 760.000 euro più 30.000 di spese notarili. Acquistato a prezzo di favore, poiché è stato cambiata la destinazione d’uso catastale, per  “fini di culto” ed equiparato ad una chiesa. Tale operazione è motivata per evitare il pagamento dell’imposta di registro. L’appartamento è stato intestato alla Curia di Trapani, come ha confermato ai pm l’Arcivescovo emerito di Pisa, Alessandro Plotti (deceduto il 19 ottobre 2015), nominato dal Papa Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis di Trapani dopo la rimozione di Micciché. Monsignor Plotti ha inoltre affermato: “Io ho rilevato l’anomalia dell’acquisto di una casa privata intestata alla Diocesi con soldi che avrebbero dovuto essere destinati alla cura dei bambini e alle finalità della Fondazione Campanile. Non è accettabile che siano stati buttati via 500.000 euro per l’acquisto di una casa privata a Roma in pieno centro storico, sottraendo quella somma alla possibilità di destinarli alla cura di bambini con problemi psichici”. A seguito delle deposizioni di Monsignor Plotti, il costo dell’immobile romano viene attestato al prezzo di 800.000 euro. Il prelato ha affermato che l’appartamento risulta essere stato pagato con cinque assegni da 100.000 girati dal conto della Fondazione Auxilium (che aveva incorporato la Fondazione Campanile) e 300.000 euro in contanti. Quando Plotti aveva chiesto conto a Micciché di quale fosse la provenienza di quella somma così grossa in contanti, pare che il Vescovo Miccichè gli avrebbe risposto con un sorrisetto ironico: “Li ho trovati nel cassetto”.

L’ipotesi formulata dalla procura, è che l’acquisto dell’appartamento rientrasse tra quegli “investimenti” – altri appartamenti a Palermo, ma anche titoli su conti esteri e polizze assicurative – che Micciché avrebbe realizzato sottraendo quasi 3 milioni di euro alla Diocesi di Trapani, dai fondi dell’8 per mille a quelli della Fondazione Campanile.

Plotti rivolgendosi ai pm, ha inoltre asserito: “Ho rilevato una serie di operazioni sfavorevoli alla Diocesi, di scarsa comprensibilità, quali le cessioni in comodato gratuito di immobili reimpiegati in strutture alberghiere. Devo dire che ho rilevato una gestione personalistica della Diocesi di Trapani che ho trovato in stato di grave dissesto economico con una totale spoliazione dei suoi beni”. Parole durissime in linea con le conclusioni dell’ispezione affidata dalla Santa Sede a Monsignor Mogavero, davanti alle quali Monsignor Micciché ha reagito con un attacco senza precedenti. In una lettera inviata all’ex procuratore Marcello Viola, Miccichè scrive: “Ho scoperto la pericolosità di una mafia ecclesiastica non meno potente, insidiosa e nefasta della mafia che il sistema giudiziario in Italia è impegnato a contrastare”.

I processi imminenti sono quelli che si avviano a stretto giro temporale. E questo processo penale, che vede come imputato un vescovo emerito della Conferenza Episcopale Siciliana – che tuttora celebra Messa e amministra i sacramenti – pare in antitesi con le riforme professate da Papa Francesco, soprattutto con i severi provvedimenti presi in circostanze simili nei confronti di altri prelati. Monsignor Miccichè, dopo essere stato indagato, ora è ufficialmente imputato, ma permane nello status di Vescovo emerito di Trapani. Allo stato attuale non è stato raggiunto da nessuna delle severe misure prospettate nelle riforme da Papa Francesco, probabilmente per quel principio di presunzione di innocenza tanto caro a Papa Francesco. Ma non sempre è così.

A noi piacciono i paragoni e facendo un parallelo tra due prelati, il Cardinale Angelo Becciu e il Vescoco Francesco Micciché, il pensiero che in questa storia qualcosa che non torna c’è, soprattutto nella comprensione e applicazione equa del principio della presunzione di innocenza da parte di Papa Francesco, nei confronti degli ecclesiastici, raggiunti da procedimento penale, rispetto a quelli mai raggiunti da alcun addebito.

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