Micciché, il vescovo di Trapani commissariato dal Vaticano: “Non comprendo”
“Come fulmine a ciel sereno (…) mi viene comunicato che la Santa Sede ha proceduto alla mia rimozione dalla cura pastorale della Diocesi di Trapani. (…) Però, non si fa menzione delle motivazioni che stanno alla base del provvedimento adottato”. Inizia così la lunga lettera che il Vescovo di Trapani, mons. Francesco Miccichè, indirizza alla propria diocesi qualche ora dopo l’annuncio ufficiale della sua rimozione a vescovo titolare. “Il Santo Padre Benedetto XVI ha sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Trapani (Italia) S.E. Mons. Francesco Miccichè ed ha nominato Amministratore Apostolico ad nutum Sanctae Sedis della medesima diocesi S.E. Mons. Alessandro Plotti, Arcivescovo emerito di Pisa”. Un perentorio atto di sfiducia che secondo le norme del Diritto Canonico, in particolari e delicate circostanze, spetta solo al Pontefice in quanto “ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente” (can. 331) e in seguito alla risoluta decisione del vescovo a non voler presentare la rinuncia d’ufficio per grave causa, così come stabilito dal can. 401 – §2.
“E’ un provvedimento estremo che non condivido e non comprendo ma al quale, per la mia fedeltà al Papa e alla Chiesa, mi rimetto”, dichiara mons. Miccichè, lamentando il fatto di non aver potuto prendere visione (nonostante le sue esplicite richieste) della relazione redatta dal visitatore apostolico, mons. Domenico Mogavero, inviato dalla Santa Sede nel giugno dello scorso anno in seguito alle dichiarazioni che vedevano il Vescovo di Trapani coinvolto in una indagine della Procura trapanese circa le presunte irregolarità nella fusione di due fondazioni, la “Antonio Campanile” e l’“Auxilium” (le cui funzioni di amministratore furono affidate al cognato di mons. Miccichè, che per assolvere a questo incarico pare percepisse una cifra superiore ai 100mila euro l’anno), un ammanco di denaro – oltre un milione di euro – e una serie di accuse relative alla gestione patrimoniale della Diocesi affidata al sacerdote Antonino Treppiedi (ex braccio destro del Vescovo, e dallo stesso sospeso a divinis) indagato insieme a un’altra dozzina di persone per calunnia truffa, diffamazione e appropriazione indebita.
“Non mi è dato sapere – scrive Miccichè nella sua lettera – i motivi che avrebbero reso necessario un atto così platealmente punitivo: motivi che secondo la legge canonica devono essere gravissimi ma che certamente sono falsi”. Che la situazione fosse abbastanza grave lo si era capito già lo scorso anno dalla scelta del visitatore apostolico operata dalla Santa Sede. Mons. Domenico Mogavero, infatti, non è solo il vescovo della diocesi (Mazara del Vallo) geograficamente più vicina a Trapani, ma una importante e stimata voce (oltre alle competenze in Diritto Canonico) tra gli uffici vaticani, visti anche i diversi anni trascorsi a Roma accanto al card. Ruini come Direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per i problemi giuridici e dal 2001 in qualità di sottosegretario della medesima CEI.
Miccichè parla di complotto perpretato contro la sua persona, che a parer suo trova sponde “anche in più alti livelli della Chiesa dove il verdetto contro di me – sottolinea il Presule – era stato scritto prima di qualsiasi effettiva verifica”. Un complotto che secondo il Vescovo di Trapani “ha coagulato forze interne ed esterne alla Chiesa”, dove la Magistratura “ha toccato qualche nervo scoperto in alto”.
Mons. Miccichè, nel prosieguo della sua lettera – come un leone ferito – indirizza gli ultimi ruggiti contro la gerarchia ecclesiastica, contro quei superiori che a suo modo di vedere “non hanno saputo o voluto capire cosa stava succedendo in questa diocesi, lasciando il clero e soprattutto il popolo di Dio in balìa di calunnie meschine di cui l’opinione pubblica è stata abbondantemente nutrita”. “Proseguirò con tenacia e con tutti i mezzi che avrò a disposizione, secondo quello che m’insegna il Magistero, nell’accertamento della verità”.
Il Vescovo che per 14 anni ha guidato la diocesi di Trapani si domanda: “Pago per aver denunciato la cultura mafiosa presente anche al nostro interno invitando ad un serio esame di coscienza durante il Giubileo? Pago per aver denunciato la cappa della massoneria? Pago per non aver fatto accordi con nessun politico per avere contributi ed elargizioni? Pago per essermi esposto dove la Chiesa non si era mai esposta? Pago per aver dovuto imporre una condanna al presbitero che si è reso responsabile di situazioni censurabili?”. E rivolgendosi ai confratelli nell’episcopato, asserisce con particolare asprezza: “Con quanto mi sta accadendo sento il dovere di avvertire i fratelli vescovi: non osate agire contro chi è troppo legato ai potenti della terra perché altrimenti ne pagherete le conseguenze!”.
Prima di salutare e benedire i fedeli della sua diocesi, augurando loro ogni bene nel Signore, mons. Miccichè – come egli stesso assicura “Sereno e a testa alta, con in cuore solo il perdono che è grazia di Cristo” – lancia l’ultimo dardo (sotto forma di prece) contro la Chiesa: “Quando si mette mano all’aratro non ci si tira indietro, fino alla fine, anche a costo di passare, agli occhi dei potenti e dei maligni, come un perdente. Sono fiero di essere un perdente agli occhi del mondo. Pregare sarà la pace per la mia anima. Pregherò perché il fumo di Satana, così come diceva Polo VI, che sembra essersi impossessato di alcuni settori della Chiesa, non prevalga sul Corpo di Cristo”.