La voce di Dio non è nel vento, ma nella brezza: il Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.

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Forse l’immagine che spiega meglio di tutte il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è quella di Benedetto XVI fermo nella tempesta di Madrid, alla veglia della Giornata Mondiale della Gioventù del 2011. Il vento, la pioggia, la tempesta improvvisa non fermarono né il Papa né i due milioni di giovani. Perché il Signore era in un ostensorio donato dalla diocesi di Toledo, la “brezza leggera” di cui parla il profeta Elia. Il Messaggio per la 47esima giornata delle Comunicazioni Sociali cita proprio questo passaggio del libro del Libro dei Re, riferito al profeta Elia. E – dopo aver spiegato che le reti sono tali solo se vengono riempiti di contenuti, che la rete è luogo di evangelizzazione, ma che si deve anche tenere conto del fatto che la ragione può essere sovrastata dal rumore delle eccessive informazioni – spiega che “se la Buona Notizia non è fatta conoscere anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente nell’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante”.

 

Benedetto XVI, chiede, in sostanza, di evangelizzare i nuovi media. Il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2013 – l’unica delle Giornate Mondiali stabilita dal Concilio Vaticano II, con  l’Inter Mirifica – era d’altronde esplicito: “Reti sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione”. Il Papa presenta le relazioni sociali come spazi che – se “valorizzati bene” “contribuiscono a favorire forme di dialogo e di dibattito che, se realizzate con rispetto, attenzione per la privacy, responsabilità e dedizione alla verità, possono rafforzare i legami di unità tra le persone e promuovere efficacemente l’armonia della famiglia umana”.

Ma c’è bisogno di andare oltre il mero scambio di informazioni. Questo “può diventare vera comunicazione, i collegamenti possono maturare in amicizia, le connessioni agevolare la comunione”. E allora “se i network sono chiamati a mettere in atto questa grande potenzialità, le persone che vi partecipano devono sforzarsi di essere autentiche, perché in questi spazi non si condividono solamente idee e informazioni, ma in ultima istanza si comunica se stessi”. Resta insomma sempre vivo l’ammonimento che Benedetto XVI ha lanciato nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2011: “Nella ricerca di condivisione, di amicizie, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio profilo pubblico”.

La sfida, per Benedetto XVI, è quella di stare sui social media. Una sfida che il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali ha voluto raccogliere, promuovendo l’account twitter @pontifex, e lasciandolo aperto ai commenti. In quella circostanza, si sono sperimentati i problemi di cui lo stesso Papa parla nel messaggio di quest’anno. “Il significato e l’efficacia delle differenti forme di espressione – si legge nel messaggio – sembrano determinati più dalla loro popolarità che dalla loro intrinseca importanza e validità. La popolarità è poi frequentemente connessa alla celebrità o a strategie persuasive piuttosto che alla logica dell’argomentazione”. Ma il Papa può essere trattato come una celebrità? Lo pensano in molti, e lo ha pensato anche il Financial Times, che gli ha chiesto un articolo – salvo poi confinarlo a pagina 7 del giornale tempio del pensiero laico.

Il Papa però guarda oltre. Il suo magistero è fatto di discorsi articolati, precisi, teologicamente fondati. Un magistero spesso nascosto, e il perché lo spiega Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: “A volte, la voce discreta della ragione può essere sovrastata dal rumore delle eccessive informazioni, e non riesce a destare l’attenzione, che invece viene riservata a quanti si esprimono in maniera più suadente”.

A guardare i messaggi per le Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi quattro anni – quasi tutti dedicati al mondo digitale – si può definire quasi un percorso che porta ad evangelizzare i nuovi media e allo stesso tempo dare spazio alla ragione. Nel 2010, il tema fu “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”; nel 2011, si parlò di “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. E nel 2012 invece il messaggio si concentrò su “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”. Era forse necessario tornare alla Parola, alla comprensione dell’uomo nel silenzio, prima di tornare a parlare di evangelizzazione. Un percorso, in questi ultimi quattro anni, che quasi si potrebbe riassumere così: si parte da una riflessione sui media come strumento di evangelizzazione;  si cerca poi di comprendere le problematiche e l’autenticità dell’uomo nei nuovi mezzi di comunicazione; quindi ci si concentra sulla persona e sulla comunicazione profonda che viene dal silenzio e dalla parola, e si passa ad ascoltare, per non considerare internet come un mero mezzo di proselitismo; e poi – predisposti così per l’Anno della Fede – si riprende la riflessione sui nuovi media come luogo di evangelizzazione.

Ma perché c’è bisogno di evangelizzare la rete? “I credenti – scrive il Papa nel messaggio per la Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali 2013 – avvertono sempre più che se la Buona Notizia non è fatta conoscere anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente nell’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante. L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani. I network sociali sono il frutto dell’interazione umana, ma essi, a loro volta, danno forme nuove alle dinamiche della comunicazione che crea rapporti: una comprensione attenta di questo ambiente è dunque il prerequisito per una significativa presenza all’interno di esso”.

Il problema, semmai, è usare la Parola, e non riempire la rete di parole. “In definitiva, però – scrive il Papa – se la nostra condivisione del Vangelo è capace di dare buoni frutti,  è sempre grazie alla forza propria della Parola di Dio di toccare i cuori, prima ancora di ogni nostro sforzo. La fiducia nella potenza dell’azione di Dio deve superare sempre ogni sicurezza posta sull’utilizzo dei mezzi umani”.

I social network possono essere strumenti utili per diffondere la Parola, per tenere unite comunità che si sentono isolate “in alcuni contesti geografici e culturali”, per tenere la comunità ecclesiastica in collegamento costante con il magistero del Papa. “Le reti – si legge nel messaggio – facilitano la condivisione delle risorse spirituali e liturgiche, rendendo le persone in grado di pregare con un rinvigorito senso di prossimità a coloro che professano la loro stessa fede. Il coinvolgimento autentico e interattivo con le domande e i dubbi di coloro che sono lontani dalla fede, ci deve far sentire la necessità di alimentare con la preghiera e la riflessione la nostra fede nella presenza di Dio, come pure la nostra carità operosa: ‘se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita’”.

E si torna all’immagine iniziale di questo articolo, quella del Papa in mezzo alla tempesta nella spianata dei Cuatro Vientos. Lì milioni di giovani si erano radunati anche grazie ad un appello e una rete creata attraverso i social network. E sui social network raccontavano la loro esperienza. Ma erano lì, e il Papa era con loro. Se il messaggio non fosse stato riempito di Parola, difficilmente avrebbero potuto riconoscere Dio nella brezza leggera.

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