Gli auguri del Presidente della CEI e i rapporti tra la Chiesa e Draghi
Dopo la cerimonia di giuramento del nuovo Governo al Palazzo del Quirinale di ieri, il Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha inviato un messaggio di auguri al Presidente del Consiglio dei Ministri, Professore Mario Draghi. Riportiamo il testo integrale, seguito da l’analisi Quali saranno i rapporti tra la Chiesa e Draghi a firma di Francesco Boezi su Inside the news Over the world di oggi, 14 febbraio 2021.
Il Messaggio di auguri del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana al Presidente del Consiglio dei Ministri
Signor Presidente del Consiglio dei Ministri,
a nome mio e della Conferenza Episcopale Italiana vorrei formularLe i migliori auguri per l’importante e delicato compito che attende Lei e il nuovo Governo in una fase tanto complessa per la storia del nostro Paese, dell’Europa e del mondo intero.
Abbiamo seguito con trepidazione e preoccupazione gli sviluppi della recente crisi politica, ben sapendo che l’Italia ha bisogno di unire le forze per affrontare le pesanti, persino tragiche, ricadute della pandemia da COVID-19. Quest’emergenza, come segnalavo al Consiglio Episcopale Permanente del 26 gennaio scorso, ha posto in evidenza fratture molteplici: sanitarie, sociali, economiche, educative, generando fra l’altro nuove e diffuse povertà [*].
Siamo certi che Ella vorrà assegnare una prioritaria attenzione proprio alle persone e alle famiglie maggiormente segnate dalla sofferenza, dalla precarietà e dalla crisi economica.
Abbiamo anche potuto apprezzare, in continuità con i Suoi precedenti incarichi, una particolare sottolineatura dell’orizzonte politico europeo, con uno sguardo rivolto alla solidarietà tra le Nazioni, alla pace, allo sviluppo sostenibile e alla giustizia sociale.
La Chiesa che è in Italia sarà un interlocutore attento e collaborativo, come sempre avvenuto, nel rispetto delle reciproche competenze.
La accompagniamo con la preghiera.
Gualtiero Cardinale Bassetti
Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve
Presidente della CEI
Quali saranno i rapporti tra la Chiesa e Draghi
di Francesco Boezi
Inside the news Over the world, 14 febbraio 2021
La prossimità istituzionale tra i sacri palazzi ed il secondo governo presieduto da Giuseppe Conte non è sfuggito ai più. In molte circostanze, infatti, diversi osservatori hanno “giustificato” l’ascesa dell’ex premier, sostenendo che l’ex “avvocato degli italiani” avesse l’appoggio della Santa Sede. Ma il Vaticano – come sappiamo – non è un attore della politica, almeno non per come la intendiamo noi. Fatto sta che alcuni ambienti ecclesiastici, nelle ultime ore, che coincidono con la formazione del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, sembrano piuttosto dubbiosi sulla bontà di questa operazione. E forse a muovere certe disamine è anche un po’ di nostalgia per l’epoca di “Giuseppi”. Una fase, questa, che può almeno per il momento essere definita conclusa.
Il nuovo presidente del Consiglio è considerato un prodotto dell’alta finanza, mentre la “Chiesa in uscita” di papa Francesco guarda soprattutto al solidarismo ed alle “periferie economico-esistenziali”. Bergoglio, in realtà, ha nominato Draghi presso l’Accademia delle Scienze Sociali in tempi non sospetti. Tra Draghi ed il Papa non esistono frizioni, anzi. Semmai è l’impostazione della Chiesa bergogliana ad innescare un po’ di malumore. Come ha fatto notare il quotidiano La Verità, alcuni commentatori – come il teologo Pino Lorizio – non hanno sposato senza riserve la causa di Draghi. Attendismo, dovendo scegliere, è la parola che meglio descrive il clima tra le sacre stanze. Un discorso simile vale per Luigino Bruni, economista, che ha avuto modo di esprimersi sulla stessa rivista mediante cui aveva parlato Lorizio, ossia Famiglia Cristiana.
“Nel curriculum di Draghi non ci sono provvedimenti sul fronte dei poveri e del sociale”, ha dichiarato Bruni, economista vicino a Stefano Zamagni, che Bergoglio ha individuato per presiedere una Pontifica accademia. Sono piccoli segnali, ma iniziano ad essere rilevanti. Soprattutto se si tiene conto del fatto che Famiglia Cristiana è una rivista paolina, dunque non proprio esterna agli umori ecclesiastici. Certo, il Papa aveva in mente, con l’iniziativa The Economy of Francis, di rifondare alcuni concetti dell’economia globale, contraendo un nuovo patto con i giovani, nel nome della ridistribuzione del capitale secondo un rinnovato criterio di giustizia sociale. E forse è proprio la prossimità di Draghi all’ideologia liberista e capitalista a far storcere il naso o comunque a non alimentare entusiasmi tra certi ambienti filo-Bergoglio. Ma non è tutto qui.
Non ci stupiremmo se un po’ di nervosismo circolasse per via del ritorno al governo di Matteo Salvini e del Carroccio: sappiamo quanto i preti di strada, che a loro volto si sono mossi sempre in simbiosi con le istanze della “Chiesa in uscita”, abbiano protestato per la linea dura del governo gialloverde in materia di gestone dei fenomeni migratori. La sinistra della Chiesa cattolica, insomma, non dovrebbe stappare lo spumante per Draghi e per il suo esecutivo. Per quanto Draghi sia un membro ordinario di una Pontificia accademia. Draghi, a differenza di certo grillismo della prima ora (poi smentitosi), non ha il sapore della rivoluzione copernicana. E questo può far storcere il naso alla Chiesa di lotta.
Almeno in Italia, dove nel frattempo si parla con continuità di un Sinodo in grado di riorganizzare l’assetto dell’episcopato nazionale. Forse proprio l’appuntamento sinodale sarà il vero luogo in cui i vescovi avranno modo di discutere delle politiche messe in campo da Mario Draghi, che nel frattempo avrà già lasciato un’impronta precisa. Di qualunque tipo essa sia. In termini di “schieramenti vaticani”, quella odierna sembra una fase di riassetto. Del governo Draghi fanno parte anche i sovranisti, che il Papa ha spesso rimproverato e anche combattuto. Un fattore che può contribuire a destabilizzare il consenso espresso dal clero italiano. Vedremo alla prova dei fatti quale sarà il rapporto tra la Chiesa cattolica italiana, con i vescovi in testa, ed il governo Draghi.
[*] Card. Bassetti: comunione e corresponsabilità per sanare le fratture
Introduzione del Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della CEI, ai lavori della sessione invernale del Consiglio Episcopale Permanente, 26 gennaio 2021
(…) Ritorna di estrema attualità, cari Confratelli, il tema che, come Chiesa in Italia, abbiamo approfondito negli anni Ottanta del secolo scorso: «Comunione e comunità». Una più profonda comprensione del dono della comunione può accrescere, senza dubbio, in tutta la nostra Chiesa la grazia dell’unità vissuta nella carità e renderà credibile l’annuncio evangelico che essa è chiamata a portare. È il dinamismo della fede che trova risposta in comunità più giuste e solidali. Un passaggio di quegli Orientamenti pastorali diventa fondativo di un cammino che prosegue nella storia e s’incarna nei nostri territori e nelle nostre parrocchie. «La vera cultura di comunione – si legge in quel testo – postula alcuni valori umani, quali l’attitudine al pensare insieme, alla condivisione dell’impegno, all’elaborazione comunitaria dei progetti pastorali, alla formulazione corretta di giudizi comuni sulla realtà dell’ambiente, all’adozione di forme d’intervento in cui si esprima l’anima cristiana di tutta la comunità interessata» (n. 63). Con questo stesso spirito, che appartiene alla nostra storia, guardiamo al futuro, i cui contorni sembrano offuscati da questo complicato presente. La Chiesa, giova ricordarlo, non è di questa o di quell’altra parte. Quello che ci sta a cuore è il bene di ogni persona e di ognuno insieme agli altri, quello di cui c’importa è la vita delle persone, quello che sosteniamo è il nostro Paese. Guardiamo, quindi, con attenzione e preoccupazione alla verifica politica in corso, in uno scenario già reso precario dalla situazione che stiamo vivendo. Auspichiamo che la classe politica collabori al servizio dei cittadini, uomini e donne, che ogni giorno, in tutta Italia, lavorano in operoso silenzio e che si giunga a una soluzione che tenga conto delle tante criticità. Come pastori dobbiamo farci interpreti ed essere voce delle molteplici fragilità, perché nessuno sia lasciato solo. Inoltre i prossimi mesi – non dimentichiamolo – saranno cruciali per la ricostruzione del sistema-Paese. Un tema su cui intendiamo dare il nostro contributo progettuale. «A tutta la Chiesa italiana – sottolineava il Santo Padre nel 2015 a Firenze – raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione (Evangelii gaudium, ndr): l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune». È con amore alla persona, dunque, che evidenziamo – con una metafora medica – le varie fratture che la pandemia sta trasformando da isolate in associate, coinvolgendo tutti i legamenti che tengono uniti i nostri territori. Ecco, dunque, il dono della riconciliazione che c’impegna, come cristiani e cittadini, a una risposta di comunione e corresponsabilità.
Anzitutto la frattura sanitaria. L’inizio di questo anno ha visto l’attenzione di tutti inevitabilmente rivolta ai vaccini anti-COVID. Molte voci diverse si sono levate, a volte in conflitto tra di loro, e nel rumore frastornante, amplificato dai vari media, si rischia di perdere l’orientamento. Da credenti sappiamo che la risposta viene dal discernimento e, nell’attuarlo, siamo chiamati a due doveri, diversi ma complementari. In primo luogo, al dovere d’informarci per capire quello che succede: è importante poter disporre di tutte le informazioni possibili per fugare perplessità e preoccupazioni, così come è altrettanto essenziale saper distinguere tra una fondata ricerca scientifica e un’opinione frutto di una condivisione sui social network. Il nostro secondo dovere ci viene dalla relazione con gli altri: tutto è connesso e il comportamento del singolo influisce sul bene della comunità. La responsabilità cristiana e civile di proteggere se stessi è intrinsecamente unita alla responsabilità verso gli altri. Oggi, grazie alla vaccinazione, vi sono i presupposti per far sì che un atto di protezione individuale possa divenire strumento di protezione collettiva. Lo ha ben sintetizzato Papa Francesco pochi giorni fa: «È un’opzione etica, perché tu ti giochi la salute, la vita, ma ti giochi anche la vita di altri». E sempre il Pontefice, nel messaggio del 25 dicembre 2020, ha ricordato che alla base deve restare la fraternità e che i vaccini per poter «illuminare e portare speranza al mondo intero, devono stare a disposizione di tutti».
Accanto alla fiducia nell’efficacia del vaccino contro il virus, non possiamo trascurare i drammatici danni collaterali portati da questa pandemia. Vi è una frattura sanitaria che è anche una frattura sociale. Ancora non possiamo trarre una valutazione conclusiva sulle conseguenze a lungo termine di ciò che sta accadendo, ma i dati diffusi devono interrogare le coscienze e allarmare le Istituzioni e le agenzie educative tutte: solitudine, isolamento sociale, aumento delle malattie legate al disagio mentale, impennata di suicidi. I giovani, gli anziani, le persone con disabilità, le persone vulnerabili sono le prime vittime di queste infermità dell’anima. Per porre rimedio a queste situazioni purtroppo non c’è chimica che tenga. È necessario sviluppare un vaccino per la salute della mente o, come l’ha chiamato il Santo Padre, un vaccino per il cuore, i cui elementi costitutivi siano principi veramente attivi e vitali, come il rispetto, la gratitudine, l’altruismo, l’empatia, il sapere, il conoscere… I loro effetti, una volta entrati nel nostro animo, aumentano la capacità relazionale del prendersi cura di sé e degli altri.
In questo contesto si fa purtroppo sempre più pressante la frattura delle nuove povertà rispetto alle quali i dati sono deflagranti. La situazione socio-economica in cui si trova il nostro Paese è fonte di preoccupazione crescente: è chiaro che una serie di problemi di carattere strutturale conosciuti da tempo, a lungo sottovalutati, sono da affrontare in modo indifferibile. Se non s’interviene efficacemente sul sovraindebitamento di famiglie e imprese, cadute per la prima volta a causa della pandemia nella condizione di debitori insolventi, si amplificheranno le già drammatiche condizioni per il ricorso all’usura e l’accesso della Criminalità organizzata nei tessuti economici e sociali. Dall’osservatorio della Consulta Nazionale Antiusura Giovanni Paolo II con le sue 32 Fondazioni che operano in tutta Italia, viene rilevato un quadro preoccupante che va dalle famiglie e piccole imprese familiari divenute insolventi – sono 3 milioni di nuclei, per circa 7,5 milioni di persone fisiche; a quelle che avevano già varcato la soglia di rischio e sono ora in fallimento “tecnico” per debiti – sono 2 milioni e 250 mila unità, per 6,5 milioni di persone; infine a quelle a rischio di usura – quantificabili in 350 mila famiglie e in 800 mila persone. Caritas italiana e le Caritas diocesane in questi mesi hanno visto crescere il numero di persone che a loro si sono rivolte per usufruire dei servizi erogati: materiali e non. Proprio le rilevazioni della Caritas ci dicono che, analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020, è emerso che l’incidenza dei “nuovi poveri” è passata dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. È aumentato in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa. È evidente che alla solidarietà generosa di molti, bisogna affiancare la volontà politica di andare oltre la logica delle misure d’urgenza e di sollievo temporaneo per elaborare una strategia che sia davvero di sistema, anche al fine di impiegare al meglio le risorse in arrivo. Occorre disegnare nuovi strumenti e soluzioni sostenibili e innovative dal punto di vista sociale e mettere in campo azioni di prossimità alle situazioni di fragilità economico-finanziaria, attraverso le quali intercettare i soggetti in difficoltà, ascoltarli e aiutarli a compiere le scelte giuste ai primi segnali di allarme senza attendere inerti l’aggravarsi della situazione. Si tratta di azioni da realizzarsi a livello capillare sul territorio da Istituzioni, Terzo Settore, parrocchie supportate dalle Caritas e dalle Fondazioni Antiusura, perché nessuno sia lasciato solo di fronte allo sconvolgimento psicologico, economico e spirituale che tutto ciò provoca e per evitare che a farsi prossime siano le organizzazioni criminali.
La frattura sanitaria ha generato infine una frattura educativa, tema peraltro al centro della nostra riflessione nello scorso decennio e ancora di grande attualità. Stiamo imparando, con ancora più chiarezza, che i processi educativi sono significativi per le persone quando si basano sulla comunicazione dell’attenzione e della cura. Stiamo riconoscendo quanto le realtà educative abbiano bisogno di essere sostenute dalla collaborazione di tutti. Al nostro impegno educativo servono sguardi in avanti, creatività, progettualità. Non pensiamo astrattamente ai bambini, alle famiglie, ai giovani… Operiamo con loro. Invitiamoli a mettersi in gioco, a elaborare idee e progetti per scuole più inclusive, per parrocchie più vive, per percorsi di catechesi rinnovati. Non limitiamoci a mettere in evidenza alle nuove generazioni le fatiche, indiscutibili, di questi giorni, ma aiutiamoli a leggere in profondità quanto stanno vivendo. Riconosciamo la loro resilienza, comunichiamo loro la convinzione che anche questo è un tempo prezioso per imparare gli elementi essenziali della vita umana. Anche questo è un tempo per crescere, per apprezzare la vita, per prenderci cura di essa, per costruire futuro. Non è tempo perduto, se è tempo di semina e di costruzione.
Cari Confratelli, lo sguardo attento su queste fratture invoca una particolare presenza di speranza della comunità ecclesiale accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo. È doveroso rivolgere una parola di ringraziamento ai parroci, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti, agli educatori. Pur nelle difficoltà e nelle ristrettezze, mai è mancata la proposta liturgica e di educazione alla vita cristiana. La necessità di attenersi a Protocolli di sicurezza è coniugata alla cura per la liturgia, che non deve mai essere trascurata. La limitazione del potersi incontrare ha attivato una creatività sorprendente, generando esperienze e linguaggi che sicuramente ci aiuteranno anche nel nostro discernimento in vista della prossima Assemblea Generale. Con una forza singolare risuonano, in tale contesto, le parole iniziali con cui la Costituzione pastorale Gaudium et spes invita i discepoli di Cristo a sentire come proprie «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (GS 1).
In questo comune sentire le nostre comunità cristiane sono chiamate ad abitare evangelicamente la crisi che pure le coinvolge e le attraversa, accettandola «come un tempo di grazia donatoci per capire la volontà di Dio». Sono, anche queste, parole pronunciate dal Santo Padre in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana. In esse è richiamato il potenziale di fecondità che ogni crisi porta con sé. Da parte nostra occorre che non perdiamo di vista questo orizzonte, perché in esso si intravede una prospettiva di futuro per le comunità ecclesiali, chiamate a maturare nuove consapevolezze in ordine alla loro presenza e alla loro missione nel mondo.
Questo sarà possibile se si terrà lontano ogni rischio di autoreferenzialità ecclesiale, per incarnare sempre meglio uno stile di cura, che il tratto materno delle comunità cristiane ha come prerogativa singolare. In tal senso è decisivo che si continuino a mettere in atto azioni ecclesiali che facciano maturare quella comunione dinamica che dà forma a una Chiesa sinodale. In essa tutti i battezzati sono soggetti responsabili di una parola e di gesti capaci di dire il Vangelo a partire dalla molteplicità delle condizioni di vita nelle quali si esprime l’esistenza di ciascuno. Una Chiesa così connotata, che custodisce la propria identità di popolo di battezzati, potrà esprimersi attraverso una ricchezza di carismi e di ministeri con cui il servizio al Vangelo, nella comunità e al di fuori dei suoi confini, si traduce sempre meglio in una diakonia dell’umano nella sua integralità e complessità. Ci guidano, come dicevo prima, le parole di Papa Francesco: «Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà» (Firenze 2015). Abbiamo un metodo: il discernimento della fede; abbiamo un interesse: la persona; abbiamo una prospettiva: la comunità. Camminiamo su questo sentiero.