Disobbedisci, e sarai santificato. Una storia austriaca. Che dice molto degli ostacoli che incontra il Papa.

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Si fanno chiamare”disobbedienti”, la loro base è in Austria e l’ORF – la televisione di Stato austriaca – accredita loro i favori di circa il 75 per cento del clero austriaco, anche se poi in fondo contano solo 430 membri, e tutti tra i 60 e i 75 anni. Ma la realtà, nessuno dei vescovi austriaci ha mai realmente sostenuto l’associazione. Che, in cerca di nuova linfa, ha fatto sapere che si sarebbe aperta ai laici, e che il termine laico si sarebbe dovuto cambiare con il termine “cittadino” oppure “borghese di Chiesa”. Una scelta che ha spaccato il fronte progressista. E mentre l’Azione Cattolica austriaca si è scagliata contro l’ “inaccettabile strumentalizzazione”, sono cominciate le prime fughe di notizie sui disobbedienti. Così i giornali austriaci hanno cominciato a raccontare il passato di alcuni di loro, che avrebbero abusato di minorenni. Il loro fondatore, Helmut Schueller, ha dichiarato di non saperne niente. In pochi ci hanno creduto. Era stato proprio Schueller ad organizzare il primo ufficio per la denuncia degli abusi sessuali nella diocesi di Vienna. È l’ultimo atto di una storia che comincia da lontano. Una storia che sarebbe solo austriaca, se non fosse che i suoi strascichi sono alla base di molte delle difficoltà che incontra oggi Benedetto XVI.

 

A dire il vero, il lavoro di Joseph Ratzinger prima e di Benedetto XVI è stato molto importante, per la Chiesa austriaca. Ha contribuito a fare pulizia, ha lavorato per portare la Chiesa di Vienna a una rinnovata fedeltà nei confronti del Magistero. Lo stesso Benedetto XVI, mentre era nell’aereo che lo avrebbe portato in Austria nel 2007, ha detto che, sì, “la Chiesa in Austria ha vissuto tempi difficili” E ha ringraziato tutti quanti – laici religiosi e sacerdoti – che “sono rimasti, in tutte queste difficoltà, fedeli alla Chiesa, alla testimonianza a Gesù, che nella Chiesa dei peccatori hanno tuttavia riconosciuto il volto di Cristo”: Benedetto XVI ammetteva poi che tutte le difficoltà “non sono già totalmente superate”, anche perché “la vita in questo secolo (ma questo vale un po’ per tutti i secoli) rimane difficile, anche la fede vive in contesti sempre difficili”. Ma – aggiungeva Benedetto XVI “spero di potere un po’ aiutare nella guarigione di queste ferite, e vedo che c’è una nuova gioia della fede, c’è un nuovo slancio nella Chiesa, e vorrei in quanto posso confermare questa disponibilità ad andare avanti con il Signore, ad avere fiducia che il Signore nella sua Chiesa rimane presente e che così, proprio vivendo la fede nella Chiesa, possiamo anche noi stessi arrivare alla meta della nostra vita e contribuire ad un mondo migliore”. Un processo di guarigione che il Papa ha portato avanti nei vari incontri ad limina con i vescovi austriaci, a partire dal primissimo incontro nel 2005. Li ha sempre esortati alla “professione chiara, entusiasta della fede di Cristo”, ha sottolineato il valore della confessione, ha chiesto loro di rimanere ancorati alle verità di fede. Appelli che non si possono comprendere senza conoscere un po’ della storia della Chiesa austriaca degli ultimi 30 anni.

Austria felix?

La chiamavano Austria Felix. Ma il posto non è più tanto felice, perlomeno per i cattolici. In venti anni, il loro numero è sceso dal 92 per cento della popolazione al 61 per cento. Un crollo verticale, cominciato in tempi non sospetti. Vero, la Chiesa austriaca era orientata verso una agenda progressista, e l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Koenig, era considerato uno dei padri del Concilio. Ma la figura di Koenig non può essere delineata semplicemente etichettandola come “progressista”. Era un vescovo, un uomo dalle grandi aperture e allo stesso tempo dal grande equilibrio verso la dottrina. Certo è che in una società come quella austriaca, diventata quasi completamente luterana e poi ri-evangelizzata grazie agli Asburgo, c’è sempre la necessità di bilanciare posizioni apertissime alla solidità della dottrina. Questioni di equilibri nazionali. Equilibri che tiene in gran conto anche Christoph Schoenborn, cardinale, arcivescovo di Vienna dal 1995. Schoenborn è stato accusato di non aver preso una posizione netta contro i “disobbedienti” austriaci. In realtà, è stata proprio la strategia di Schoenborn a portare i “disobbedienti” all’implosione. In fondo, Schoenborn conosce bene i disobbedienti, e soprattutto conosce bene il loro leader, Helmut Schueller, che è stato suo vicario generale a Vienna fino al 1999.

La storia di Groer

 

Ma da dove nascono i disobbedienti? E perché – nonostante siano pochi – hanno così tanto clamore sui media? Per comprenderne le radici, si deve fare un passo indietro, e ripercorrere la storia del predecessore di Schoenborn alla guida della diocesi di Vienna: il cardinale Hans Hermann Groer.  Sacerdote diocesano, Groer decise di farsi benedettino dopo aver fondato la Legio Mariae – la Legione di Maria – con altri due confratelli. Ma mentre questi andarono poi a rifondare l’oratorio San Filippo Neri, Groer – che aveva già un numero di seguaci – decise di farsi benedettino. Provò ad entrare prima dai benedettini della Schottenabtei (l’Abbazia degli Scozi), nel centro di Vienna. Fu rifiutato. Poi provò ad entrare negli Anni 70 nell’abbazia di Goettweig, portando con sé anche una trentina di giovani sacerdoti e giovani laici. Fu accettato.

E anche lì, ebbe le sue eccezioni. I suoi seguaci entrarono come monaci regolari, mentre lui scelse di fare solo oblazione regolare. Solo dopo alcuni anni decise di farsi monaco, e prese il nome di padre Hermann. Ma non visse mai in abbazia, nemmeno durante il noviziato canonico. Si dedicò alla rifondazione del santuario mariano di Roggendorf. Lì, il 13 di ogni mese, invitava una personalità, un cardinale di spessore. E tra i suoi ospiti c’è anche il cardinal Karol Wojtyla, che resta colpito dalla vitalità del santuario e dalla presenza delle persone. Così come resta colpito il suo segretario, Stanislaw Dziwisz.

Sorpresa! Groer arcivescovo di Vienna

Questo forse spiega perché, quando il cardinal Koenig va in pensione, nel 1986, successore viene designato Groer, promosso anche dall’allora nunzio in Austria Cecchini, preoccupato dalle spinte moderniste della Chiesa austriaca. Una scelta che coglie tutti quanti impreparati. Groer chiama accanto a sé a Vienna alcuni dei suoi seguaci di Goettweig. Tra questi, padre Ildefons Fux, che Groer vorrebbe come suo ausiliare. Ma già la spaccatura che si è creata tra i seguaci di Groer – quelli rimasti a Goettweig e quelli che lo hanno seguito a Vienna – ha creato i primi malumori. E allora si preferisce nominare ausiliare Kurt Krenn, professore, di posizioni ultraconservatrici. Anche questa, una nomina imprevedibile. Che crea contestazioni. Alla consacrazione di Krenn nel duomo di Santo Stefano – ha raccontato Erich Leiteberger, per anni direttore della Kathpress e portavoce dell’arcivescovo – “alcune persone per protesta si erano gettate per terra davanti la Duomo di Santo Stefano, e lui era dovuto passare sopra i corpi. Una immagine drammatica”.

Anche Krenn arriva a Vienna grazie a dei rapporti molto personali con personaggi vicinissimi a Giovanni Paolo II. Spesso riesce ad andare dal Papa, saltando il normale protocollo. L’unico a votare contro la nomina di Krenn a vescovo ausiliare di Vienna è il cardinal Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Lui lo conosce da tempo, sono stati insieme professori a Regensburg.

È un periodo di turbolenze per la Chiesa austriaca, dilaniata da un dibattito fortissimo tra conservatori e progressisti, ma soprattutto dilaniata dalla costante presenza sui media di Krenn, a tutto danno di Groer. A prima vista, le loro idee sono simili. Ma in fondo i due non si sopportano molto.

Nel 1991, Christoph Schoenborn viene nominato vescovo ausiliare. E riporta il sereno: la sua consacrazione episcopale viene considerata da tutti come un ritorno ai tempi di Koenig, che Schoenborn considera da sempre un suo maestro.

Schueller. Ascesa e caduta

Intanto nella curia arcivescovile era cresciuta anche la presenza di Helmut Schueller. Questi aveva frequentato il seminario minore di Hollabrunn, e il suo maestro era stato Hans Groer. Quando Groer viene nominato arcivescovo di Vienna, Schueller viene nominato assistente di monsignor Ungar, allora presidente della Caritas di Vienna e quella nazionale, e poi gli succede nel 1988.

Nel 1995 scoppia il caso Groer. L’arcivescovo dal pulpito condanna la “civiltà della morte”, attacca il matrimonio gay, si scaglia contro le nuove Sodoma e Gomorra. Peccato che un alunno di Groer, Joseph Hartman, decida di denunciare per pedofilia il cardinale in un servizio su Profil, un settimanale diffusissimo e molto importante in Austria. E alla denuncia di Hartman – uno dei primissimi seguaci di Groer – fanno seguito altre denuncie: l’arcivescovo avrebbe compiuto diversi abusi su aspiranti monaci benedettini.

L’accusa è dura e infamante: pedofilia. E le prime reazioni della Curia sono dure. Lo stesso Schoenborn accusa la stampa di agitare l’opinione pubblica in “modo nazista”. È evidente che ci sia stata una ulteriore spaccatura tra il gruppo di Goettweig e quello di Vienna. Ma la Santa Sede comprende che dietro le invidie, le gelosie, le divisioni, c’è qualcosa di vero. E soprattutto sa che non può non reagire. Il 13 aprile 1995 Schoenborn viene nominato coadiutore di Groer, costretto alla dimissioni, e gli succede il 14 settembre.

È in quell’anno che Schoenborn nomina Schueller vicario generale. E l’atteggiamento dell’attuale leader dei disobbedienti è di assoluta fedeltà al magistero e alla disciplina ecclesiastica. Manda via dalla Curia arcivescovile gli amici di Groer, nonostante lui stesso avesse approfittato del legame stretto che aveva con l’arcivescovo. E prende sempre più autorità nella diocesi.

Tanto che lo stesso Schueller dà per scontata la nomina a vescovo ausiliare. Ma nel febbraio del 1999, trova davanti alla porta del suo appartamento una lettera personale di Schoenborn, che gli comunica le sue dimissioni. Un provvedimento improvviso? Non esattamente. Era da tempo che Schoenborn cercava di avere un colloquio personale con Schueller, ma questi non si presentava mai agli appuntamenti. Il provvedimento nei confronti si rivela però un boomerang. Il fratello di Schueller, Christian, è un volto noto e influente della tv austriaca ORF. A lui si rivolge il vicario generale per diffondere la notizia della sua improvvisa cacciata. E la grancassa mediatica funziona. Schoenborn viene messo in cattiva luce e la Chiesa austriaca è ulteriormente scossa.

Il secondo caso Groer

Anche perché nel frattempo è scoppiato il secondo caso Groer.  Dopo le accuse di pedofilia, la nomina di Schoenborn a coadiutore e poi arcivescovo, il cardinale se ne è andato ed è tornato al monastero Goettweig. Ma non ha mantenuto un basso profilo. Anzi.Forte del fatto che mai una parola papale è stata spesa contro di lui, aveva rinfacciato ai “burocrati” del Vaticano di averlo dimissionato a forza. Nel convento, intanto, crescono i malumori. Si lamentano del fatto che Groer crea divisione, giovani monaci rilasciano dichiarazioni sul comportamento di Groer e sostengono di non volerlo al monastero. Da Roma vengono inviati due commissari nel convento. Ma Kurt Krenn, nel frattempo divenuto vescovo di Saint Polten, difende Groer. Sostiene che è un cardinale e non può essere inquisito, perché solo il Papa in persona può procedere contro di lui.

Ma il Papa non solo non lo fa, ma gli concede udienza, saltando il normale protocollo. Quando, il 21 febbraio del 1998, Schoenborn scende a Roma per essere creato cardinale, scopre che Groer era arrivato già il giorno prima, ed era stato a colloquio con Giovanni Paolo II.

È anche questa circostanza che porta Schoenborn alla decisione di prendere finalmente una posizione netta. Ma quella di Schoenborn non è una vendetta. È la necessità di sistemare uno stato di cose divenuto insopportabile.  Moltissimi  dei seguaci di Groer avevano abbandonato in quel tempo non solo il monastero di Goettweig, ma anche il sacerdozio, e molti di loro si erano ritirati a Salisburgo, cercando un contatto diretto con l’arcivescovo Georg Eder, un presule conservatore definito “onesto e umile”.

C’è anche Eder nel direttivo della Chiesa austriaca, insieme a Egon Kapellari (allora vescovo di Gurk, ora vescovo di Graz) e allo stesso Schoenborn. I tre nel corso di una assemblea plenaria della Conferenza episcopale austriaca affermano di avere “la certezza morale che gli addebiti mossi all’arcivescovo emerito Hans Hermann Groer sono sostanzialmente veritieri”. Una certezza che sicuramente viene corroborata dai continui confronti sul caso Groer che Schoenborn e Kapellari hanno con il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, il cardinal Joseph Ratzinger, cui sono legatissimi.

Lo scandalo rientra, e il contributo di Ratzinger è fondamentale. Dal 16 aprile del 1998, Groer non si può più presentare come vescovo e cardinale e lascia l’Austria, ritirandosi in un convento femminile a Dresda in Germania.

La stella di Schueller riprende a brillare. Ma non dura molto. E allora fonda la Pfarrer Initiative

È in questa situazione che la stella di Schueller riprende a brillare. L’uscita di scena di Groer fa sì che altri trovino il coraggio di denunciare abusi subiti dai sacerdoti. Schueller organizza l’ufficio della Conferenza Episcopale per le vittime, e stila le prime linee guida per trattare i casi. Ma non resta per molto sulla cresta dell’onda. Ha, però, nuovi conflitti con Schoenborn, e così viene successivamente destinato alla cura pastorale degli studenti all’università di Vienna e nominato parroco di Probstoff.

La storia però non finisce qui. C’è un terzo strascico nel caso Groer. A Saint Polten, nel 2004, scoppia lo scandalo delle relazioni omosessuali nel seminario. È la diocesi di Krenn – vi è stato destinato nel 1991, quando Schoenborn arrivò a Vienna – e la Santa Sede decide di mandare il vescovo in pensione. È il momento in cui Schueller comincia a sviluppare le idee principali che lo porteranno al manifesto dei disobbedienti: preti sposati, accesso per le donne al sacerdozio, comunione sacramentale per i divorziati risposati, riconoscimento dell’omosessualità come normale tendenza sessuale. Posizioni molto vicine al movimento Wir sind Kirche, noi siamo Chiesa, nato in Austria proprio come conseguenza del primo caso Groer.

Schueller presenta la Pfarrer Initiative insieme ad altri nove sacerdoti nel Cafè Landtman a Vienna nel 2006. Attualmente, la Pfarrer conta 430 membri (tra preti e diaconi), 80 sostenitori (tra preti e diaconi)  2531 laici sostenitori. I media danno molto risalto all’iniziativa, anche grazie ai buoni uffici del fratello giornalista di Schueller. Ma la realtà dei fatti è che si tratta di un movimento di un’età media elevata, e che quasi tutti quelli che vi aderiscono o si dicono vicini provengono direttamente dalla cerchia di Groer, e hanno provveduto a proteggerlo anche dal clamore mediatico. Tra questi, Wolfgang Bergman fratello di un monaco di Goettweig, prima portavoce della Caritas e poi dell’arcidiocesi. Figlio dell’ex segretario generale della ÖVP (il Partito Popolare austriaco), Bergman oggi è uno dei leader del giornale laicale Der Standard. Da quel pulpito, ogni 14 giorni giorni, pubblica Churchwatch, una rubrica densa di veleno e di polemiche contro la Chiesa.

Ma nonostante i media diano particolare risalto alla Pfarrer, questa progressivamente perde di forza mediatica e polemica. Così, in un raduno a Linz dell’autunno del 2012, Schueller annuncia che l’associazione si sarebbe aperta in futuro ai laici, dichiarando che il termine laico doveva essere sostituito dal termine “cittadino” oppure “borghese di Chiesa”. Un termine che, secondo Schueller, vale per tutti, sia per i preti che per i cosiddetti laici.

Ma questa scelta spacca il fronte progressista in Austria. Gerda Schaffelhofer, presidente dell’Azione Cattolica Austriaca (che di là delle Alpi è molto vicina a Noi Siamo Chiesa, anzi addirittura molti media dicono che tutti i suoi quadri si sono fondati nel movimento) attacca l’ “inaccettabile strumentalizzazione” della Pfarrer Initiative di chiamare i laici borghesi. “Siamo noi laici – afferma – a definire noi stessi all’interno della Chiesa. Nessun prete lo farà per noi”.

E questa spaccatura favorisce le fughe di notizie. Nei giornali austriaci viene raccontato che tra i membri attivi dell’associazione ci sono anche persone coinvolte in scandali di abuso sessuale ai minorenni. Schueller smentisce, dichiara di non saperne niente. Qualche giorno dopo, arriva la notizia che il titolo di monsignore gli è stato tolto. Sarebbe una notizia di poco conto, quasi scontata se si va a guardare la “disobbedienza” di Schueller nei confronti della gerarchia, arrivata persino a minacciare uno scisma. Ma ancora una volta Schueller ha i media dalla sua. Così, la notizia viene ampiamente discussa e commentata.

Copertura sui media, un’agenda ben definita, una linea anti-modernista di facciata che ha “abbindolato” Giovanni Paolo II. E poi, l’accesso continuo all’appartamento papale, favorito da Stanislaw Dziwisiz, il segretario personale di Papa Wojtyla che oggi è cardinale e arcivescovo di Cracovia. In questo modo, i “figli” di Groer hanno potuto consolidare potere e rete di contatti. C’è chi racconta che in molti siano anche aderenti (o molto vicini) alla massoneria. E questo sospetto è circolato soprattutto per quanto riguarda i monaci di Goettweig, coloro che accettarono Groer come monaco e gli permisero di fare una vita al di fuori della regola.

Schoenborn ha ereditato una Chiesa diroccata, allo sfascio, e con pazienza, cercando di conciliare gli opposti e purificare, sta rimettendo tutti i tasselli al proprio posto. Lo stesso sta facendo Benedetto XVI per la Chiesa universale. E viene da pensare che non è un caso che siano allievo e maestro. Fu proprio Ratzinger a consigliare Schoenborn come primate della Chiesa d’Austria, nonostante Krenn – il candidato forte e quasi naturale – godesse dei favori di Dziwisz. A guardare la fine che ha fatto Krenn, aveva ragione Ratzinger.

(nella foto: Helmut Schueller e il card. Cristoph Schoenborn insieme a metà degli anni Novanta)

(2- Fine)

Vedi anche 1.   Un fantasma nel cyberspazio che attacca la Chiesa. Che combatte. Ma non vince

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