Bagnasco: la globalizzazione non è un processo ineluttabile perché l’uomo è libero
“La Chiesa, in quanto cattolica, è per sua stessa natura protesa a un’azione globale e globalizzante: essa è chiamata alla missione di comunicare la Buona Novella al mondo intero.” Il cardinale Angelo Bagnasco apre così l’ XI Forum del Progetto Culturale dedicato a i processi di mondializzazione che legge come opportunità per i cattolici italiani. Un anniversario importante per il Progetto culturale che compie quindici anni sotto la guida del suo ideatore il cardinale Camillo Ruini. Il Forum del progetto culturale è un luogo di elaborazione e di confronto fra personalità del mondo culturale ed ecclesiale italiano e non solo all’interno della comunità cristiana. Per la XI edizione che si svolge tra oggi e domani a Roma a Villa Aurelia il tema è quello della globalizzazione come opportunità. E di questo tratta la relazione introduttiva del presidente dei vescovi italiani. E del resto “cattolico” significa universale e allora è normale leggere un testo di un Papa, la enciclica Caritas in Veritate per iniziare una riflessione.
Occorre “vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione”. Comunione intanto, non predominio di uno sull’ altro. Una mondializzazione che la Chiesa conosce bene ricorda Bagnasco: “già quando non veniva chiamato in questo modo, e non si configurava nelle specifiche forme, oggi predominanti, della globalizzazione. La Chiesa infatti, proprio in quanto Chiesa cattolica, è comunità universale, e lo è non solo per il fatto che è presente in ogni parte della Terra. Non si tratta, infatti, di prendere atto solo di un dato statistico, che vede un incremento continuo sulla scena mondiale, ma è in causa innanzitutto un dato qualitativo che costituisce la stessa natura della Chiesa, e cioè la missione che ha ricevuto da Cristo.”
Del resto Giovanni Paolo II parlò di “famiglia di nazioni” nel suo magistero parlando alle Nazioni Unite e delle Nazioni Unite che, secondo il Papa, andavano profondamente riformate. Perchè il mondo non vede la “globalizzazione”, e la “mondializzazione” con gli stessi occhi della Chiesa. Allora cosa è la globalizzazione davvero? C’è l’aspetto economico che è al primo posto, con un impatto rafforzato dai flussi migratori. Ma c’è anche la globalizzazione della cultura. Almeno della informazioni “con l’imporsi – dice Bagnasco- di modi di pensare e di idee che hanno ormai diffusione universale, sia nella sfera della comunicazione, dato che viviamo in un’epoca nella quale le notizie possono essere condivise in tempo reale nella maggior parte del mondo.”
Ma attenzione. La globalizzazione non è un “destino ineluttabile” dice Bagnasco, “nei cui confronti non vi può essere possibilità d’interazione e d’indirizzo da parte degli uomini. E ugualmente è scorretto pensare questi fenomeni come il risultato di una automatica applicazione alle differenti situazioni locali di norme uniformi, che molto spesso non corrispondono ad esigenze condivise, ma sono l’espressione di una mentalità dominante. Tale lettura della globalizzazione, che pure è stata proposta soprattutto all’interno del dibattito nordamericano, si è rivelata in alcuni casi non aderente dal punto di vista scientifico e pericolosa sul piano pratico.”
No alla omogeneizzazione allora, anche se il rischio è obiettivamente alto. Entra in campo un altro termine “glocalizzazione”. “Con questo neologismo – spiega Bagnasco- s’intende il risultato di una progressiva e faticosa applicazione di criteri diffusi globalmente alle differenti realtà locali, applicazione che spesso comporta una modifica anche significativa degli stessi criteri applicati.” Ma ecco il punto centrale: la lettura univoca dei processi di globalizzazione rischia di trasformarsi in imposizione del globale sul locale.
“In questo caso- spiega il cardinale- si verificherebbe un vero e grave fraintendimento di ciò che l’umanità, grazie soprattutto all’elaborazione del pensiero cristiano, ha stabilito essere realmente universale: la dignità della persona, la salvaguardia della sua libertà, il rispetto della vita in ogni suo momento. Con un uso ideologico dei processi di globalizzazione, invece, ciò che è a fondamento di ogni comportamento umano, e che per questo può essere da tutti condiviso, rischierebbe di trasformarsi in qualcosa d’imposto, e perciò avvertito come estraneo al proprio essere e alla propria storia.Non stupiscono dunque le reazioni di rigetto, a volte altrettanto violente. L’ultimo decennio della storia del mondo sta a insegnarlo.”
Il dilemma contemporaneo del mondo globalizzato è tra “utile” e “giusto”. “L’utile” di una parte dell’umanità non può essere considerato il criterio per stabilire ciò che è bene per tutti. La globalizzazione, infatti, dev’essere regolamentata secondo giustizia, evitando che essa si configuri come l’espressione d’interessi particolari imposti universalmente.” Nel Magistero della Chiesa se ne parla da almeno 50 anni . Dalla Populorum progressio in cui Paolo VI “chiedeva di configurare un modello di economia di mercato capace d’includere, almeno tendenzialmente, tutti i popoli e non solamente quelli più attrezzati.” E poi Giovanni Paolo II che nella Centesimus annus, spiega che non bisogna assolutizzare l’economia che “è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana”. La proposta era rivoluzioaria: una “globalizzazione della solidarietà”.
Ecco allora la sfida etica della Caritas in veritate che fa della globalizzazione una sfida orientata dalla carità. “Comprendere questo- dice Bagnasco- significa cambiare prospettiva” perchè nemmeno l’economia può prescindere dalla gratuità. L’uomo non è in balia della globalizzazione, non deve subirla e basta, al contrario deve pensarla e costruirla in una dimensione etica, secondo la libertà dell’uomo di scegliere come agire, e agire per il bene. E cosa sia la libertà dell’uomo e il suo bene sono i fondamenti della concezione antropologica che, dice Bagnasco, è “autentico patrimonio dell’Occidente che viene proposto all’ecumene e riscoperto sempre di nuovo. Si tratta di ciò che la dottrina cattolica ha elaborato nel corso della sua tradizione. È l’idea dell’uomo come colui che solo nella relazione con Dio trova salvaguardata la sua dignità e che, proprio a partire da qui, vede giustificata la fraternità universale e ogni apertura moralmente responsabile alla vita.”
La conclusione è nelle parole di Benedetto XVI : “ Occorre quindi impegnarsi incessantemente per favorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, del processo di integrazione planetaria”.