Il Papa: per comunicare la fede ci vuole familiarità con Dio. L’appello per i bambini malati di AIDS

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Come si comunica la fede? Il Papa risponde con l’azione e le parole di Paolo, apostolo della comunicazione. Nella udienza generale di oggi Benedetto XVI prosegue la catechesi per l’ Anno della Fede. Per comunicare occorre incontrare e conoscere Dio. Così, spiega il Papa, Paolo parla di un Dio reale non di una filosofia, ma di qualcuno che è entrato nella sua vita. Paolo non vuole crearsi una squadra di ammiratori o entrare nella storia come il capo di una scuola di grandi conoscenze. Per parlare di Dio ci vuole una familiarità con lui. Come fare allora a portare Dio agli uomini del nostro tempo? “Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e la fa misteriosamente crescere.” Semplicità allora come prima indicazione per “ ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia del Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla Croce e che nella Risurrezione ci dona speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna.”

E per farlo la scuola di Paolo è molto utile ai nostri giorni perchè “l’Apostolo non si accontenta di proclamare delle parole, ma coinvolge tutta la propria esistenza nella grande opera della fede. Per parlare di Dio, bisogna fargli spazio, nella fiducia che è Lui che agisce nella nostra debolezza: fargli spazio senza paura, con semplicità e gioia, nella convinzione profonda che quanto più mettiamo al centro Lui e non noi, tanto più la nostra comunicazione sarà fruttuosa. E questo vale anche per le comunità cristiane: esse sono chiamate a mostrare l’azione trasformante della grazia di Dio, superando individualismi, chiusure, egoismi, indifferenza e vivendo nei rapporti quotidiani l’amore di Dio. Sono veramente così le nostre comunità?” E poi ci sono da cogliere i segni dei tempi per “individuare le potenzialità, i desideri, gli ostacoli che si incontrano nella cultura attuale, in particolare il desiderio di autenticità, l’anelito alla trascendenza, la sensibilità per la salvaguardia del creato, e comunicare senza timore la risposta che offre la fede in Dio.”

Ancora una volta il Papa si riferisce al Concilio Vaticano II e mette al centro della comunicazione della fede la famiglia “prima scuola per comunicare la fede alle nuove generazioni.” I genitori “come dei primi messaggeri di Dio” vigili per “saper cogliere le occasioni favorevoli per introdurre in famiglia il discorso di fede e per far maturare una riflessione critica rispetto ai numerosi condizionamenti a cui sono sottoposti i figli.” E ancora una volta nelle parole del Papa ricorre il concetto di gioia: “la comunicazione della fede deve sempre avere la tonalità della gioia. E’ la gioia pasquale, che non tace o nasconde le realtà del dolore, della sofferenza, della fatica, della difficoltà, dell’incomprensione e della stessa morte, ma sa offrire i criteri per interpretare tutto nella prospettiva della speranza cristiana. La vita buona del Vangelo è proprio questo sguardo nuovo, questa capacità di vedere con gli occhi stessi di Dio ogni situazione.”

Ovviamente deve esserci nella famiglia capacità di ascolto e dialogo: “la famiglia deve essere un ambiente in cui si impara a stare insieme, a ricomporre i contrasti nel dialogo reciproco, che è fatto di ascolto e di parola, a comprendersi e ad amarsi, per essere un segno, l’uno per l’altro, dell’amore misericordioso di Dio.”

Comunicare Dio è per prima cosa vivere con Lui con “quel Dio che ci ha mostrato un amore così grande da incarnarsi, morire e risorgere per noi; quel Dio che chiede di seguirlo e lasciarsi trasformare dal suo immenso amore per rinnovare la nostra vita e le nostre relazioni; quel Dio che ci ha donato la Chiesa, per camminare insieme e, attraverso la Parola e i Sacramenti, rinnovare l’intera Città degli uomini, affinché possa diventare Città di Dio.”

Al termine della sintesi della catechesi nelle diverse lingue il Papa ha ricordato che il 1° dicembre ricorre la Giornata Mondiale contro l’AIDS, una “iniziativa delle Nazioni Unite per richiamare l’attenzione su una malattia che ha causato milioni di morti e tragiche sofferenze umane, accentuate nelle regioni più povere del mondo, che con grande difficoltà possono accedere a farmaci efficaci. In particolare, il mio pensiero va al grande numero di bambini che ogni anno contraggono il virus dalle proprie madri, nonostante vi siano terapie per impedirlo. Incoraggio le numerose iniziative che, nell’ambito della missione ecclesiale, sono promosse per debellare questo flagello.”

 

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