Distinguere la Chiesa dallo Stato di Città del Vaticano. Il briefing di Giovanni Giacobbe
Potrebbe anche non essere presente, Paolo Gabriele, alla prima udienza del processo che lo vede imputato per furto aggravato. E poco importa che l’assistente di camera di Sua Santità, nella fase di istruttoria formale, abbia ammesso di aver preso, fotocopiato e passato le fotocopie dei documenti al giornalista italiano Gianluigi Nuzzi, che le ha usate per vergare il libro Sua Santità. Perché “la confessione non è più la regina delle prove”, dice Giovanni Giacobbe, promotore di Giustizia della Corte d’Appello del tribunale vaticano. Giacobbe ha incontrato i giornalisti per spiegare come si svolgerà il processo a Paolo Gabriele e a Claudio Sciarpelletti, quest’ultimo – tecnico informatico della Segreteria di Stato – imputato per favoreggiamento. Non è l’unico procedimento che avviene davanti ai giudici vaticani, e basterebbe leggere la relazione che il promotore di giustizia Picardi tiene all’inaugurazione di ogni anno giudiziario del Vaticano per rendersene conto. Di casi famosi ce ne sono stati altri.
Una sentenza per droga, molto complessa e tra le più studiate a livello scientifico; il procedimento che ha visto protagonista Susanna Maiolo, la donna che saltò addosso al Papa la notte di Natale del 2009, che non raggiunse mai le aule del tribunale vaticano, perché dichiarata insana di mente; e infine, il caso più celebre: l’omicidio del capo delle guardie svizzere Alois Esterman e di sua moglie Gladys. Il processo su questo caso non ha mai avuto luogo, perché il presunto colpevole, il caporale Cedric de Tornay, si è suicidato. Ma per comprendere bene come avverrà il processo a Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti è importante distinguere subito i piani. Giacobbe ci tiene a spiegare che una cosa è parlare dello Stato di Città del Vaticano, e un’altra parlare della Chiesa cattolica. “Il processo di cui ci dobbiamo occupare – spiega – è un processo che si svolge nello Stato di Città del Vaticano. I giudici sono dello Stato di Città del Vaticano e sono laici. Non hanno alcun rapporto, diretto quantomeno, con la Chiesa cattolica che nella sua struttura ha i suoi tribunali che giudicano secondo il Codice di diritto canonico e secondo le leggi proprie della Chiesa cattolica”.
Il codice di riferimento è il codice Zanardelli, che era quello vigente nel 1929, quando con i Patti Lateranensi si costituì lo Stato di Città del Vaticano. Nel 1930, in Italia fu emanato il nuovo codice penale, il codice Rocco. Ma “Pio XI non ha però pensato di attingere al codice Rocco – spiega Giacobbe – perché ispirato a principi non perfettamente coincidenti a quelli propri del cattolicesimo. Si era in periodo di Stato autoritario, e il codice era improntato alla tutela assoluta dello Stato. Il cristianesimo invece è improntato alla tutela assoluta della persona”. Tutela assoluta che si nota anche nel modo in cui si svolgerà il processo: l’imputato ha sempre l’ultima parola, e non è ascoltato come testimone, ma come imputato appunto; le domande non vengono poste da Promotore di Giustizia e avvocato difensore, ma da questi al giudice che le pone poi ai testimoni.
Insomma niente cross examination “ sistema mutuato dalla struttura americana – dice Giacobbe – riguardo la quale in molti tra i giuristi stanno discutendo : si ritiene che favorisca di più quelli che hanno possibilità economiche, che possono utilizzare strutture difensive anche costose, mentre da un certo punto di vista il sistema precedente dell’attività istruttoria gestita dal giudice dava maggiori garanzie”. Una volta prodotto dibattimento, il promotore di Giustizia svolge la sua requisitoria, l’imputato ha diritto di fare dichiarazioni, la difesa svolge l’arringa difensiva, poi sono ammesse repliche. Resta un principio tassativo: l’imputato deve avere la parola per ultimo. Dopodiché i tre giudici del collegio si riuniscono in Camera di Consiglio. La sentenza va pronunciata contestualmente, e si decide a maggioranza. I tempi non sono prevedibili ovviamente. Le parti possono naturalmente ricorrere in appello fino la terzo grado di giudizio, e se ci sarà una pena detentiva verrà scontata in un carcere italiano.
I giudici non potranno, sembra chiedere il rapporto della Commissione cardinalizia istituita dal Papa per indagare sulla fuga dei documenti. “Si tratta di una iniziativa motu proprio del Pontefice – sottolinea Giacobbe – e quindi appartenente alla sfera della Chiesa cattolica, non dello Stato di Città del Vaticano. Non credo ci possa essere la richiesta di acquisizione da parte dei giudici. Che però – qualora fossero gli stessi cardinali a pensare di poter aiutare ad una sentenza più obiettiva inviando il rapporto – potrebbero tranquillamente recepirla se inviata loro volontariamente”.
E per la grazia? Il Papa può intervenire in qualunque momento. Ma presumibilmente ora aspetterà la fine del processo. Se Gabriele e Sciarpelletti fossero giudicati innocenti, non ci sarebbe in fondo niente da perdonare.