Fallisce il Trattato sul Commercio delle Armi. Ma la diplomazia della Santa Sede continua a lavorare per il disarmo integrale
Non c’è stata probabilmente nemmeno disillusione, nella delegazione della Santa Sede che ha partecipato alla Conferenza Onu per negoziare un Trattato sul Commercio delle Armi (Arms Trade Treaty, ATT). I negoziati sono falliti lo scorso venerdì, e non senza polemiche da parte di alcuni membri che hanno accusato gli Stati Uniti di essersi messi in mezzo per al limite rinviare l’accordo – il che ha portato ad una piccata risposta del portavoce del ministero degli Esteri USA, che ha sostenuto la necessità di “fare ulteriori riflessioni”. Ma, in fondo, che il clima non fosse dei migliori per la Santa Sede si era capito sin dall’inizio dei negoziati, quando una polemica sulla presenza della Palestina in assise (la Palestina è osservatore permanente come la Santa Sede, ma parte del mondo diplomatico ancora non gli perdona di essere stato ammesso come Stato membro nell’UNESCO) ha portato la Santa Sede ad accettare insieme alla Palestina uno status “diminuito”: entrambe hanno potuto partecipare alle assemblee, ma senza essere considerate Stati riconosciuti.
L’obiettivo della Santa Sede, è il disarmo integrale, e non può ovviamente essere raggiunto con i Trattati commerciali come l’ATT. Anche perché, un trattato commerciale continua a considerare le armi come beni commerciali, e questo è inaccettabile per la Chiesa. Partecipare ai negoziati, però, dà la possibilità di “spostare” gli equilibri in maniera positiva. E che il Trattato sia per la Chiesa cattolica “un male minore” si comprende dai cinque punti fondamentali che Francis Chullikatt, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato prima in Commissione Preparatoria, e poi durante i lavori dello stesso trattato.
I punti riguardano prima di tutto il campo di applicazione dell’ATT, che la Santa Sede ha chiesto non essere ristretto solo alle sette tipologie di armi considerate dal Registro Onu delle armi convenzionali, ma ampliato anche alle armi leggere e di piccolo calibro e le relative munizioni. Il motivo immediato è che queste hanno maggiore facilità ad entrare nel mercato illecito delle armi. Poi, la richiesta che i criteri di applicazione del Trattato mantengano riferimenti ai diritti umani, al diritto umanitario e allo sviluppo, perché è lì che sussiste e si rafforza il mercato illecito delle armi. E ancora: la necessità di fare un Trattato che sappia promuovere e rafforzare la cooperazione e l’assistenza internazionale tra gli Stati; che contenga disposizione all’assistenza delle vittime, la richiesta di introdurre nel Trattato riferimenti a “processi educativi e programmi di coscientizzazione”, che coinvolgano tutti i settori della società. E infine, la necessità di avere meccanismi di revisione e aggiornamento “forti e credibili, capaci di incorporare in tempi rapidi i nuovi sviluppi nel campo oggetto dell’ATT, il quale deve essere aperto alle possibili future evoluzioni tecnologiche”.
C’è un punto particolarissimo della diplomazia della Santa Sede nella suo lavoro in favore del disarmo e della non proliferazione delle armi, ed è giocato sul diritto internazionale sulla proprietà intellettuale. Riguarda i TRIPs (gli accordi internazionali sugli aspetti commerciali legati ai diritti di proprietà intellettuale), che prevedono la possibilità per gli Stati di vietare la registrazione di invenzioni il cui sfruttamento minacci l’ordine pubblico o la salute e la vita umana (articolo 27.2).
Non brevettare l’invenzione delle armi renderebbe perlomeno poco conveniente per gli Stati e per i privati continuare ad acquisire armamenti. Ci sono, in fondo, due rischi. Il primo rischio riguarda il fatto che gli Stati più sviluppati tendano a considerare le armi più sofisticate, cosiddette “intelligenti”, compatibili con le norme su disarmo e controllo delle armi , o con il diritto internazionale umanitario. Questo porterebbe al fatto che le armi degli Stati meno sviluppati, meno sofisticate, sarebbero contrarie alle norme giuridiche, e quindi illecite. Il secondo rischio riguarda la possibile realizzazione di armi biologiche geneticamente modificate, o di applicazioni militari di biotecnologia.
Ed è sempre il dato economico-finanziario ad essere preponderante. L’economia civile tende a sovrapporsi con l’economia militare. Molte riflessioni sono state fatte da parte della Chiesa sul “dual use”, ovvero sulla possibilità che uno stesso bene possa avere una duplice destinazione civile e militare. Questo aumenta la possibile confusione negli scambi, che vanno maggiormente regolamentati.
È su questo che batte la diplomazia della Santa Sede. Che guarda con attenzione anche ai negoziati al di fuori del contesto delle Nazioni Unite, dove i negoziati possono essere bloccati dalla resistenza di Paesi particolarmente influenti, come è accaduto all’ultima conferenza di New York. I risultati della “nuova diplomazia” sono stati sorprendenti. Due esempi: la Convenzione delle mine antipersona e la Convenzione delle munizioni a grappolo, che sono stati adottati fuori il contesto delle Conferenze sul disarmo.
Questo modello di attività diplomatica mostra gli effetti reali della dottrina sociale della Chiesa e la grande valenza del principio di sussidiarietà, per cui il disarmo non interessa solo gli Stati e i canali classici della diplomazia. Ovviamente, non è da sottovalutare la diplomazia delle religioni In Passato la Lettera pastorale su guerra e pace nell’era nucleare pubblicata dai vescovi degli Stati Uniti nel 1983 offrì un notevole contributo al dibattito delle armi nucleari in piena guerra fredda. E più di recente le Conferenze Episcopali di Scozia, Inghilterra e Galles sono state protagoniste di una grande campagna pubblica contro il rinnovo del sistema nucleare Trident della Gran Bretagna.
A livello più ampio, i frutti del lavoro diplomatico della Santa Sede sono disseminati come perle all’interno di documenti di varia natura. Per esempio, il diritto all’assistenza alla vittime delle bombe a grappolo, una battaglia combattuta dalla Santa Sede alla stesura della Convenzione Internazionale di Dublino nel 2008. La convenzione sarà firmata ad Oslo nello stesso anno, e la Santa Sede sarà tra i primissimi firmatari.
È a partire da tutto questo background che la Santa Sede si è mossa a New York, e continuerà a muoversi. Nella prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa, resta ferma la centralità della persona umana. Questo approccio rende il disarmo una sfida forse più impegnativa, perché legata al risanamento dei cuori. Ma più coerente alla prospettiva del disarmo integrale e del bene comune.