Sahel: mai una crisi umanitaria così grave

fame in Africa
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Secondo l’Unicef in Sahel 1.000.000 di bambini gravemente malnutriti sono in attesa di ricevere cure, di gran lunga il numero più alto nella storia degli aiuti umanitari. Il picco annuale di malnutrizione nella regione è iniziato, aggravato in alcune parti della regione, dai prezzi di mercato più elevati, dalle epidemie e dall’instabilità politica. Come denuncia Save The Children, 18,7 milioni di persone si trovano ad affrontare ‘una crisi alimentare gravissima che avrebbe potuto essere prevenuta e i cui effetti sono stati ampiamente sottostimati in alcuni Paesi’. Il responsabile della comunicazione di Caritas Internationalis, Ryan Worms, ha spiegato, in un’intervista rilasciata all’agenzia ACI Prensa, che, anche se il lavoro della Caritas è molto apprezzato dagli abitanti della regione, bisogna continuare gli aiuti perché “per i cattolici, tutti siamo fratelli e sorelle, non importa il Paese, non importa la religione, e neppure il colore della pelle. Quando qualcuno soffre, dobbiamo aiutarlo, perché questa gente soffre veramente. Immaginate il dolore di una madre, di non sapere ogni mattina se potrà dare qualcosa a mangiare al suo bambino, questa è una sofferenza che non si può tollerare, quindi bisogna essere solidali con queste popolazioni”.

 

Inoltre ha spiegato che “oggi la Caritas sta fornendo assistenza a 700.000 persone nella regione, ma, naturalmente, serve più aiuto. Fino ad oggi, i cattolici hanno dato già 11 milioni di dollari per aiutare la popolazione, ma serve molto di più. Il modo migliore per aiutare è quello di mettersi in contatto con Caritas Internationalis e vedere come si può fare una donazione per la crisi nel Sahel. Il lavoro della Caritas nel Sahel consiste in primo luogo nel dar da mangiare a chi ne ha più bisogno, ovvero i bambini al di sotto dei 5 anni e le loro madri. Per fare questo, mette a disposizione delle persone dei centri alimentari, dove i bambini malnutriti possono essere assistiti e seguiti. Anche le mamme ricevono cibo affinché producano il latte necessario per i loro bambini. Un’altra campagna mira a distribuire delle sementi autoctone agli agricoltori locali, che permette ai contadini che non trovano i semi da piantare, specialmente adesso che sta arrivando la stagione delle piogge. Infatti l’arrivo della stagione delle piogge sta aumentando il rischio diffusione di colera, che si affaccia ora in Mali (47 già le morti registrate, 2005 i casi) ma ha già raggiunto livelli endemici in Niger. A distanza di un anno la crisi è gravemente peggiorata. Era il 17 luglio 2011 quando la rete di organizzazioni non governative raccolta in Agire onlus, Agenzia italiana di risposta alle emergenze, lanciava l’appello per la peggiore siccità degli ultimi 60 anni che si stava registrando in tre paesi africani, Kenia, Somalia ed Etiopia: a 12 mesi di distanza, tutti i 2.000.000 di euro raccolti sono andati a buon fine, destinati a progetti messi in atto in loco dalle nove ong presenti sul posto, Cesvi, Cisp, Coopi, Intersos in Somalia, Actionaid, Amref, Avsi in Kenia, Save the children e Vis in Etiopia.

 

Il direttore di Agire, Marco Bertotto, in un incontro con la stampa ha affermato: “Tutti i progetti si sono conclusi in modo positivo; l’aiuto è andato a buon fine soprattutto per il forte radicamento e le buone relazioni con le istituzioni e la comunità locale che avevano già le varie organizzazioni. Anche un pool di esperti internazionali indipendenti che ha analizzato gli interventi ha dato parere positivo… Ogni euro ricevuto dai donatori  è stato destinato al 93% ai programmi di risposta all’emergenza delle organizzazioni; il 5% copre i costi del meccanismo di raccolta fondi mentre il restante 2% viene utilizzato per migliorare la qualità degli interventi umanitari, con attività di monitoraggio e valutazione dei programmi realizzati”. Inoltre Bertotto ha chiarito che non si sta facendo prevenzione di catastrofi: “La siccità è un problema ciclico, ma quest’anno si è ben al di sotto dei livelli dell’anno scorso; bisogna però sapere che è più costoso nutrire un bambino sottoalimentato che promuovere programmi di prevenzione alle catastrofi come la mancanza d’acqua, purtroppo la comunità internazionale, in questo senso, non sta raggiungendo gli obiettivi che si era prefissata: doveva destinare alla prevenzione e alla mitigazione delle calamità naturali il 10% dei fondi, si è a malapena all’1%”. Altra criticità, sottolineata da Agire, nella realizzazione dei progetti è l’instabilità politica: “in Somalia l’accesso è sempre difficoltoso per gli scontri in atto, e anche tra Kenia e la stessa Somalia crescono le tensioni”.

Medici Senza Frontiere è in prima linea nel Sahel: negli ultimi 6 mesi, circa 56.000 bambini gravemente malnutriti sono stati ammessi ai programmi nutrizionali in sette Paesi della regione, una cifra simile, sebbene più alta, allo stesso periodo dell’anno precedente. Michel-Olivier Lacharité, responsabile dei progetti di MSF in Mali, Niger e Ciad, ha spiegato l’attuale situazione: “In questa regione, le crisi alimentari sono ricorrenti e cicliche. Ma quest’anno, altri fattori hanno creato sacche dove la malnutrizione è ancora più alta del solito. Questi includono i prezzi di mercato più elevati, l’instabilità nel nord del Mali e in Nigeria, e un’epidemia di morbillo nel Ciad orientale”. In Mali, ha denunciato Save The Children, “massicci i flussi migratori interni alla ricerca della salvezza, spostamenti colossali mettono a serio rischio la vita di centinaia di migliaia di bambini, separati dalle loro famiglie e dunque anche a rischio di abuso, violenza o, ancora, di arruolamento nei gruppi armati nella parte settentrionale del Paese. Si stima siano circa 160.000 i maliani che si stanno spostando internamente e 198.800 i rifugiati che hanno lasciato il Paese per raggiungere la Mauritania (88.825, di cui 15.000 arrivati solo nelle ultime 3 settimane ), il Burkina Faso (65.009) e il Niger (44.987)”.

Anche SOS Villaggi dei Bambini ha prolungato gli aiuti in Niger, avviato il programma di emergenza in Mali ed ha chiesto aiuto per avviare un programma in Ciad: “In Ciad i nostri colleghi sul campo sono stati costretti a posticipare, a causa della mancanza di fondi, l’avvio di un programma di emergenza in grado di aiutare fino a 4.500 bambini e 1.500 adulti, nella regione ovest di Batha. Il programma prevede la distribuzione alimentare attraverso centri sanitari integrati, destinata alle fasce più vulnerabili della comunità, ossia bambini, donne e anziani. A queste attività affiancheremo percorsi formativi dedicati alle donne in gravidanza o nel periodo dell’allattamento con l’importante obiettivo di far ritrovare loro il necessario equilibrio sociale, psicologico e sanitario necessari per sopravvivere”.

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