“È proibito proibire”… dal 1968 al 2020. “Nihil sub sole novum”

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“Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole.
C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Guarda, questa è una novità»?
Proprio questa è già stata nei secoli
che ci hanno preceduto”
(Qoelet 1,9-10).

Questi, che oggi stanno tentando di imporci – con la “motivazione” (trovata la “scusa”) del coronavirus – sono arroganti apprendisti stregoni pieni di cazzimma, allievi allo sbaraglio di un Harry Potter alle primi armi con Lord Voldemort, principianti casinari incompetenti, rispetto ai loro maestri sessantottini. Quelli della Rivoluzione della Sorbona, del maggio 1968 a Parigi, quando nasceva la “civiltà degli istinti”, se mai è possibile qualificarla civiltà… Quelli di allora, con gli slogan all’avanguardia rivoluzionaria, iniziando con “è proibito proibire”, sguazzando nel controsenso, nella sciatteria e nella violenza (e so di cosa parlo ex professo, perché negli anni 1968-70 ero leader dei studenti – cattolici – e dovette girare con la scorta, perché era soprattutto proibito di pensare e ancora più di parlare, se non era pedissequamente il verbo indigesto marxista-leninista-trotzkista-maoista).

Ecco, per capire cosa è questa cosa, che occupa oggi le stanze del potere senza essere mai eletta, dobbiamo andare indietro quattro decenni (quando il leader maoista Ludo Martens me lo spiegò, più o meno così: “Noi non vogliamo la rivoluzione adesso. Noi vogliamo educare quelli che occuperanno le stanze del potere fra alcuni decenni, quando prenderanno delle decisioni, essendo convinti che lo fanno ‘per il bene degli operai e del popolo’, che non sanno cosa sia, perché non ci appartengono e non conoscono e provocheranno con le loro azioni la reazione del popolo e ne conseguirà la rovina del sistema capitalista. Questo sarà il risultato del nostro operato oggi e questo sarà a nostra rivoluzione, con il pilota in automatico”).
Secondo alcuni spiriti ottimisti, le idee del maggio 1968 non avrebbero raggiunto gli obiettivi espressi negli slogan. “Slogan” impregnati dello spirito sintetico francese. Ma lo scontro tra il sacro e il non sacro è la realtà di oggi. Ce lo spiega Don Gioia Otero.

La bicicletta, l’emblema del Decreto Rilancio. La cultura dei slogan.

“È proibito proibire”. Una rivoluzione culturale di successo
di Don Fernando Néstor Gioia Otero, EP [*]

Una pietra miliare nella crisi morale dell’uomo moderno è stata la cosiddetta Rivoluzione della Sorbona, che con le sue parole d’ordine di una radicalità unica, propugnava un profondo cambiamento nella società, agendo principalmente sulle tendenze dell’essere umano. Promiscuità sfrenata, disordine, esplosioni di violenza annunciavano la nascita di una nuova epoca storica, in cui gli istinti sarebbero stati liberati dopo secoli di “schiavitù”. Dopo la deificazione della ragione nella rivoluzione francese nel 1789, si trattava ora di collocare “L’immaginazione al potere”, come annunciava un altro slogan studentesco.
Il loro strumento di propaganda furono i graffiti sulle pareti delle università occupate, che stampavano slogan impregnati dello spirito sintetico francese. Esternavano la meta ultima del movimento che era iniziato rivendicando miglioramenti nelle università.
Il loro più famoso slogan è stato “È proibito proibire”. Esso trasmetteva l’idea che tutte le proibizioni erano proibite, al che si aggiungeva con ironia: “La libertà comincia con una proibizione”. Questa frase contradittoria predicava una proibizione per rendere possibile il più completo libertinaggio. Era “proibito proibire” ogni forma di capriccio da soddisfare, ogni forma di peccato, ogni liberazione degli istinti disordinati. Il loro obiettivo, sottinteso nella stessa frase, era quello di vietare la pratica della virtù in un atteggiamento di completa intolleranza verso il bene.
Sono rimasti famosi gli slogan come: “Se Dio esistesse, bisognerebbe ucciderlo”, “Né Dio né maestro”, “Il sacro, questo è il nemico”…
Sorgeva un nuovo tipo umano, una nuova mentalità, insomma, un nuovo mondo. Una rivoluzione culturale di successo, con una sorprendente radicalità, penetrazione e capacità di contagio, avrebbe agito sulle tendenze dell’uomo d’oggi, raggiungendo gli estremi che oggi vediamo. Una trasformazione della società, che espelleva Dio dal mondo degli uomini. Trionfava l’anarchia. Spuntava un mondo in cui ognuno può fare quello che vuoi, tranne il bene… Nasceva un’era storica nuova che potremmo definire “Civiltà degli istinti”, se mai è possibile darle il nome di civiltà.
Secondo alcuni spiriti ottimisti, le idee del maggio 1968 non avrebbero raggiunto gli obiettivi espressi negli slogan graffiti sulle pareti delle università di Parigi, a causa della loro radicalità. Si sono sbagliati. L’azione di contagio esercitata da questa rivoluzione ha cambiato davvero il mondo. Come metteva in guardia il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel saggio Rivoluzione e Controrivoluzione, “l’esplosione di questi estremismi solleva uno stendardo, crea un punto di vista fisso che affascina con il suo stesso radicalismo i moderati, e verso questo essi si vanno lentamente incamminando” [1].
I protagonisti erano giovani, ancora relativamente ben vestiti e con i capelli corti. A quei tempi la droga non era diffusa [ma girava già, tra il “figli di papà”, V.v.B.], una minoranza indossava blue jeans e scarpe da tennis per la strada, i bermuda non erano ancora generalizzati. Tuttavia, essi provocarono profonde trasformazioni che penetrarono in tutte le capillarità della vita sociale, come un mare che si fa piccolo quando raggiunge la spiaggia, ma che ha dietro di sé l’enorme forza dell’oceano.
Sorgono, allora, nella società nuovi tipi umani, come “simboli-modello” degli uomini di quel decennio: sciatti, capelli lunghi arruffati, vestiti danneggiati, scarsa igiene. Preannunciavano altre grandi alterazioni che non avrebbero tardato ad arrivare.
Furono cambiamenti nel modo di sentire, di agire, di vivere, che provocarono una profonda metamorfosi sociale e culturale. Sorse il modello hippie, secondo il quale ogni regola morale passò a essere contestata. Musica, abbigliamento e gesti secondo il nuovo modello si presentarono come una pseudoliturgia laica, con sanzioni severe per quelli che discordavano.
Herbert Marcuse, considerato l’ideologo di questa metamorfosi, lascia correre il suo pensiero nella sua “nuova dimensione rivoluzionaria”, proponendo un cambiamento totale. Afferma con tutta naturalezza che è necessaria la disintegrazione del sistema di vita degli uomini: “Si può certamente parlare di una rivoluzione culturale, come la protesta si rivolta contro l’intero establishment culturale, compresa la moralità della società esistente” [2].
Questa trasformazione del modo quotidiano di sentire e di vivere si sviluppa con maggiore intensità negli ultimi anni, modificando le abitudini dell’Occidente. È la “Liberazione degli istinti”, è il relativismo moderno che nega l’esistenza del bene e del male, della verità e dell’errore, del bello e del brutto.
Questo fenomeno è penetrato in vasti settori della società, guastando l’istituzione della famiglia. Le mode si muovono rapidamente passando dalla stravaganza al nudismo.
Vanno scomparendo la cortesia, le buone maniere, il rispetto nelle relazioni umane. Le nuove generazioni si trovano ad affrontare un mondo anarchico, caotico e aggressivo, dove il volgare prende il posto del cerimonioso. L’educazione sembra avere l’unico scopo di diffondere lo spirito di “libertà” proclamato dagli slogan della Sorbona.
La comparsa dei mezzi elettronici di comunicazione aggrava ancor più la situazione. Il flusso di novità, impressioni e sensazioni invita spesso alla scomparsa del ragionamento. Rivolto ai responsabili delle comunicazioni sociali, Giovanni Paolo II ha detto: “Le moderne tecnologie aumentano in maniera impressionante la velocità, la quantità e la portata della comunicazione, ma non favoriscono altrettanto quel fragile scambio tra mente e mente, tra cuore e cuore, che deve caratterizzare ogni comunicazione al servizio della solidarietà e dell’amore” [3].
Bersaglio di tante sollecitazioni, gli uomini devono scegliere tra dirigersi verso il sacro o lasciarsi travolgere dal secolarismo regnante. In altri tempi – diceva Benedetto XVI –, tale situazione sarebbe stata impensabile, “perché era ancora presente il rispetto per l’uomo in quanto fatto a immagine e somiglianza di Dio; ora, senza questo rispetto, l’uomo considera se stesso assoluto e tutto gli sarà permesso: diventa così realmente distruttore” [4].
Il mondo in questi nostri tristi giorni si trova in questa lotta tra il sacro e il non sacro, tra la luce e le tenebre. Che cosa prevarrà?

[1] CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Revolução e Contra- -Revolução. 5.ed. São Paulo: Retornarei, 2002, p.47-48.
[2] MARCUSE, Herbert. La rebelión de París. In: La sociedad carnívora. Buenos Aires: Galerna, 1969, p.67.
[3] SAN GIOVANNI PAOLO II. Lettera Apostolica Il rapido sviluppo, n.13.
[4] BENEDETTO XVI. Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Città del Vaticano: LEV, 2010, p.84.

[*] Fonte: Rivista Araldi del Vangelo, N. 160, Settembre 2016, pagg. 22 – 23.

La “Cacciata di Lama”, la contestazione che il 17 febbraio 1977 il movimento degli studenti, in particolare militanti di Autonomia Operaia, rivolse al Segretario della CGIL Luciano Lama durante un comizio sindacale, che questi stava tenendo presso l’Università La Sapienza di Roma. Fu uno degli eventi più rappresentativi del fermento politico poi passato alla storia come movimento del ’77.

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