Sars-CoV-2. Divulgazione scientifica – Parte 7: Bufala del “blitz dei Nas” a Mantova “per fermare i test della plasmaterapia”

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Avrei dovuto tenere un registro del numero delle bufale e di quanto ne ricevo al giorno da due mesi, via Email, Messenger e WhatsApp, girate in catene di Sant’Antonio infernali e “condivisi” senza accendere le sinapsi.

Ieri era il turno della bufala di un presunto “blitz dei Nas” (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) nella struttura dell’Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova “per fermare la sperimentazione con plasmaterapia”. Una fake news che si cavalca sui social, strizzando l’occhio all’oscurantismo sanitario, mentre lo stesso primario di pneumologia, che porta avanti la sperimentazione, ne presenta una versione ben diversa.

Una delle fonti originarie della fake news di turno è rintracciabile in un post Facebook di Marina Renotti, che citiamo come esempio:

“Quando c’è chi fa post con QEULLO invece di QUELLO allora è meglio non dargli retta” (Cit.). Infatti, non c’è stato un “blitz dei Nas” all’Ospedale di Mantova dove si sta testando la plasmaterapia.

Commenta Emanuele Palmieri: “La cosa vergognosa è comunque il comportamento dei giornali. La Gazzetta di Mantova si fregia di essere stata fondata nel 1664, per cui il periodico più antico d’Italia. L’articolo è buffonescamente tendenzioso fino a quando si interrompe e può essere letto solo dagli abbonati. Il mattino mette in prima riga il fatto della semplice telefonata, ma dopo titolo e sottotitolo molto eloquenti. Fidati dei professionisti dell’informazione”.

“Viviamo una fase in cui, in particolar modo sui social, si tende a dare una libera interpretazione delle parole pronunciate dagli esperti. Anche l’informazione, in questo caso, ha un ruolo fondamentale lanciando titoli che – per la loro sinteticità – non chiariscono al meglio alcune vicende. Come nel caso del blitz Nas plasmaterapia all’Ospedale Carlo Poma di Mantova. Sul web in molti hanno iniziato a condividere pensieri del tipo: «Ecco, vogliono oscurare una cura che funziona». Ma a spiegare i contorni di questa vicenda è stato lo stesso direttore del reparto di Pneumologia del nosocomio mantovano” (Non c’è stato un ‘blitz dei Nas’ all’Ospedale di Mantova dove si sta testando la plasmaterapia, Enzo Boldi su Giornalettismo.com del 4 maggio 2020).

Già in un’intervista rilasciata domenica 3 maggio 2020 a Il Mattino, Dott. Giuseppe De Donno ha spiegato che le cose non sono andate come la catena di Sant’Antonio con la fake news vuole farci credere. Non c’è stato alcun blitz dei Nas all’interno del Carlo Poma di Mantova, ma è arrivata una sola telefonata al medico per avere indicazioni sui trattamenti effettuati, con plasma iperimmune, su una donna incinta, spiega il primario a Il Mattino: “I Nas hanno fatto una semplice telefonata in ospedale per raccogliere sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono trascorsi alcuni giorni”. Più chiaro di così, nessun arrivo di carabinieri all’interno della struttura, ma solamente una richiesta telefonica per avere informazioni più precise – come è da sempre tra i compiti del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma dei Carabinieri – su questo trattamento.

Però, messa davanti alle realtà della fake news, la Renotti invece di ritirarsi in buon ordine, rilancia: “Nell’articolo c’è il vero motivo per cui stanno tentando di screditare e scoraggiare questa cura, trovandogli tutti i limiti possibili come se questo ultimi non ci fossero in qualsiasi rimedio. Il motivo è, come dice De Donno che questa cura non è nelle mani delle case farmaceutiche, cura popolare e democratica la definisce lui. Eccolo il motivo, stanno tentando di sintetizzare gli anticorpi perché ne traggano un farmaco con il conseguente utile a loro appannaggio”.

Quando la toppa è peggio del buco, perché De Donno dice anche molto altro. E pure il virologo Roberto Burioni, intervenendo ieri sul suo Medicalfacts.it spera “che il plasma dei guariti funzioni, perché sarebbe un primo importante passo verso la vittoria contro questa malattia che, ricordiamolo, raggiungeremo solo quando avremo una cura efficace, un siero artificiale o un vaccino”.

Ciononostante, Marina Renotti va avanti con il cervello spento: “Vedremo ma i miei timori mi si parano davanti tutti i giorni”.
Con quale autorità parla Marina Renotti? Dalle informazioni sul suo profilo Facebook si apprende che è “candidata portavoce Movimento 5 Stelle a Fonte Nuova, ha lavorato presso MoVimento 5 Stelle, ha lavorato presso Paesaggiocritito, ha studiato presso Movimento 5 Stelle, ha frequentato Istituto Tecnico per il Turismo, vive a Roma”.

Incurante della bufala, la cura sperimentale con la plasmaterapia prosegue sia al Carlo Poma di Mantova che al Policlinico San Matteo di Pavia, come anche in altri ospedali italiani. I primi risultati sembrano essere molto positivi e ben presto potrebbe essere estesa a più pazienti. Ma una cura, per esser definita tale – soprattutto per via degli effetti collaterali che qualsiasi tipo di terapia può provocare – deve mostrare esiti ben definiti e mirati, per cui serve altro tempo.

Come sono andate le cosa realmente, lo racconta lo stesso Dott. Giuseppe De Donno, Primario del reparto di pneumologi dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, che sta portando avanti la sperimentazione, di cui abbiamo parlato il 20 aprile: “Speranza per guarire dal Covid-19 viene dal plasma delle persone guarite. Sperimentazione agli ospedali San Matteo di Pavia e Carlo Poma di Mantova.

Coronavirus, plasma iperimmune per curare donna incinta: la terapia finisce nel mirino dei Nas
La conferma arriva da Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologi dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, che sta portando avanti la sperimentazione: “Hanno fatto solo una telefonata”
Tgcom24.mediaset.it, 4 maggio 2020

È finita nel mirino dei Nas la cura con il plasma iperimmune in corso all’ospedale Carlo Poma di Mantova in collaborazione con il San Matteo di Pavia. I carabinieri dei Nuclei Antisofisticazioni e Sanità hanno chiesto informazioni sulla donna incinta malata di Covid e guarita con l’infusione di plasma proveniente da un paziente guarito. A confermarlo è Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologia: “Hanno fatto solo una telefonata”.
I Nas hanno “raccolto sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono trascorsi alcuni giorni”, ha precisato De Donno.
Il dg dell’asst di Mantova: “Quel caso rischiava di finire male”Anche il direttore generale dell’Asst di Mantova, Raffaello Stradoni, ha confermato la telefonata e smentito l’acquisizione di cartelle cliniche: “Non so perché i Nas si siano interessati della vicenda della donna incinta. Il protocollo sperimentale è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti con determinate caratteristiche”. Nel protocollo, però, non sono previste infusioni su donne in stato interessante: “Ma quel caso – ha risposto ancora Stradoni – rischiava di finire male e, quindi, abbiamo proceduto, salvando due vite”.
Il 28enne curato con il plasma In un’intervista al Corriere, De Donno ha raccontato la storia di Francesco, un ragazzo di 28 anni malato di Covid che si trovava in condizioni critiche in terapia intensiva. “Abbiamo chiesto al Comitato etico di poter usare il plasma, ci hanno dato il consenso e dopo 24 ore era già sfebbrato e stava bene. Domenica l’abbiamo svezzato dal ventilatore. E’ un ragazzo arrivato qui senza altre patologie oltre al Covid. Doveva essere intubato e invece tra due giorni potremo restituirlo ai genitori”.
“La cura funziona, nessun decesso fra le persone trattate”Il caso del 28enne, secondo De Donno, è esemplare per spiegare l’efficacia della cura: “Francesco è arrivato fuori tempo massimo ma lo abbiamo ‘arruolato’ lo stesso. Un centinaio di pazienti in tutto trattati con il plasma iperimmune sono guariti. La cura funziona, in tutto questo mese non abbiamo avuto decessi fra le persone trattate. Solo pazienti che sono migliorati fino a guarire oppure che si sono stabilizzati. Nessuno si è aggravato”.
Il plasma non può aiutare se il quadro è già compromessoIl primario però ha precisato: “Non possiamo comunque alimentare false speranze: se la malattia ha lavorato a lungo fino a compromettere la funzionalità dell’organismo non c’è plasma che tenga. In quel caso la mortalità resta alta perché la virosi non c’è più perché non è più il virus il nemico ma i danni prodotti dal virus”.
L’interesse suscitato negli altri Paesi La cura ha suscitato l’interesse della comunità internazionale. “Il nostro è stato il primo studio al mondo e adesso in tanti stanno seguendo la nostra strada, sia in Italia sia all’estero. Sabato mi ha chiamato un alto funzionario dell’Onu che ha un ruolo importante nella sanità Usa. Useranno anche loro il nostro protocollo, ci hanno fatto i complimenti”.

Coronavirus: facciamo chiarezza sulla terapia con il siero di pazienti guariti
di Roberto Burioni
Medicalfacts.it, 4 maggio 2020

(…) Prima di tutto non pensate al plasma di un donatore come qualcosa di facile da preparare o di economico: è vero l’esatto contrario. Bisogna selezionare accuratamente i pazienti (ci vuole tempo e denaro), bisogna preparare il plasma, bisogna sincerarsi che il plasma non trasmetta altre malattie infettive (tutto quello che viene dal sangue è rischioso), bisogna valutare la quantità di anticorpi neutralizzanti il virus e anche escludere la presenza di anticorpi che possano danneggiare le cellule del paziente che riceverà la donazione. Inoltre, i diversi preparati sono difficili da standardizzare: in altre parole il contenuto di anticorpi sarà diverso da una preparazione all’altra e questo diminuirà in alcuni casi l’efficacia (somministriamo la stessa quantità di plasma, ma una diversa quantità di “principio attivo”).

Però, soprattutto l’elemento limitante è il numero dei donatori: solo chi è guarito può donare il sangue e quindi le quantità disponibili sono per ovvi motivi (non possiamo dissanguare le persone) estremamente limitate. In generale, due guariti riescono a curare un malato, ma anche con una proporzione uno a uno voi capite che non si va molto lontano. Inoltre, non è una pratica priva di controindicazioni: oltre alla presenza di anticorpi “dannosi” di cui abbiamo parlato prima, le somministrazioni di plasma possono alterare i processi della coagulazione. In un paziente COVID-19 dove questa funzione appare disturbata, bisogna avere particolare cautela.
Il siero artificiale
Nonostante ciò, se questa pratica funzionasse sarebbe una cosa fantastica: in primo luogo perché, pur con tutti i costi e le difficoltà, avremmo il primo rimedio specifico contro questa malattia; in secondo luogo perché se funzionasse si aprirebbero le porte a uno sviluppo interessantissimo. Se ci sono anticorpi che, somministrati, proteggono dalla malattia noi non abbiamo solo la possibilità di prenderli da pazienti che li hanno prodotti: la tecnologia moderna ci consente di isolarne i geni e produrne in laboratorio una quantità illimitata, grazie al clonaggio di anticorpi monoclonali umani (dei quali chi scrive si occupa da 35 anni, avendo su questo argomento incentrato la propria tesi di laurea svolta all’Università della Pennsylvania nei lontani anni ’80 e la sua seguente produzione scientifica).
A questo punto avremmo un “siero artificiale” che contiene una quantità esatta e sempre identica di anticorpi efficaci, non conterrebbe nessun “anticorpo pericoloso”, non andrebbe a interferire nei processi coagulativi del paziente e – soprattutto – potrebbe essere prodotto in maniera illimitata e a costi molto inferiori rispetto a quelli che sono necessari per la produzione del plasma.
Il problema è che per produrre e sperimentare il “siero artificiale ci vuole tempo, tempo durante il quale avere una terapia efficace – pur con tutti i limiti descritti – sarebbe importantissimo.
Per questo incrociamo le dita e speriamo che il plasma dei guariti funzioni, perché sarebbe un primo importante passo verso la vittoria contro questa malattia che, ricordiamolo, raggiungeremo solo quando avremo una cura efficace, un siero artificiale o un vaccino.
Insomma, l’utilizzo dei plasma dei guariti è una pratica scientificamente valida, che può funzionare (bisogna provarlo), che pur con tutti i rischi e i limiti speriamo di potere utilizzare presto. Per capire se questo è possibile ci vogliono studi seri e controllati (che sono in corso), e non serve a niente il tifo da stadio o i dibattiti su chi ha inventato la procedura, perché si sa benissimo chi l’ha inventata: Emil Von Behring, che per questa invenzione ha conseguito il premio Nobel per la medicina nel 1901.

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