Bagnasco:chi è più indifeso dei bambini che non hanno neppure un volto da opporre?

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Più pastorale del solito con toni di grande commozione il presidente della Cei è stato protagonista all’ Ambasciata d’ Italia presso la Santa Sede di una serata di riflessione sulla fragilità umana e il rapporto doloroso con la società efficentista. L’occasione era la presentazione di una Fondazione, “Flyings Angels” che ha lo scopo di trasferire rapidamente i bambini malati nei vari ospedali pediatrici. Tutto ha base a Genova e al Gaslini e per questo il cardinale é il padrino della Fondazione il cui presidente è proprio l’ Ambasciatore Francesco Greco. Tra i sostenitori anche Damiano Tommasi, calciatore da sempre impegnato nel sociale ed Hernan Crespo. Una riflessione su perché della sofferenza umana, sul perché del dolore innocente dei bambini, domande che toccano da sempre l’umanità. “ Si parla del dolore degli innocenti,- ha detto Bagnasco- ritenendo che in qualche modo, tra il male morale che gli adulti compiono e la sofferenza, vi sia un qualche misterioso legame. Ma per i piccoli innocenti questo non si può dare, proprio perché essi non sono responsabili di nessun male.” Ma l’unica vera risposta è Gesù di Nazaret. “

Lui, la sua assoluta prossimità all’uomo sofferente, fino a diventare nel piccolo una presenza nascosta ma certa, fino a fare del bambino afflitto un “sacramento” della sua presenza nel mondo.” Gesù che non si impone, ma non s’arrende. Gesù che “assume su di sé il male e la sofferenza del mondo; nel misterium iniquitatis c’entra da uomo e da Dio, ne veste i panni e li lava nel suo sangue.” Non è un modo di togliere il dolore e la morte fisica “ma scende fino alla loro radice – il peccato – la scioglie nel fuoco dell’amore e così li apre alla luce, ne fa un altare, dona loro il significato di “ianua coeli”, di “fons rigenerationis”.” Una sofferenza volontaria e innocente. “Entrare con la propria sofferenza nella sofferenza di Cristo, significa dunque partecipare in modo unico alla redenzione dell’universo. Dio è amore, e l’amore genera e chiede libertà; proprio per questa ragione Gesù non ha tolto il dolore e la morte dal mondo, ma l’ha redenta abbracciandola Lui stesso.” Dalla riflessione teologica alla ragione sociologica. “Ci chiediamo, infatti, se ciò che vive la singola persona è un fatto meramente privato oppure se ha a che fare anche con la collettività, se deve interessare anche a lei, se deve sentirsi coinvolta oppure solo spettatrice.” Anche qui la risposta è teologica: “Dio è uno e unico, ma non è solitudine: è “famiglia”, comunione. Per tale motivo, solo nella relazione con il Suo Creatore e con gli altri la persona raggiunge se stessa, compie la sua realizzazione terrena. E’ questo il fondamento del rapporto tra l’uomo e la società.” Dunque la società deve occuparsi dei cittadini.

“Una società di individui-monadi è solo un agglomerato, un coacervo di interessi, di sensibilità, di scopi individuali, dove la legge avrà il compito di tenere a bada i privati appetiti, anziché promuovere il bene comune.” Ogni legislazione ha bisogno della Caritas, dell’ amore perché “la vita di ogni persona è un bene per il soggetto, ma anche per la società intera, è un tesoro per tutti.”Non solo un dovere da compiere però, ma un modo di accettare l’altro per quello che è così com’è. “Se la società è fatta di persone, e senza di loro non sarebbe nulla, essa ha il dovere di accogliere se stessa nelle singole persone che la compongono e che la fanno essere, così come le persone sono, senza selezioni di intelligenza, di censo, di salute: in una parola di efficienza.” Una sfida da accettare La società nel suo insieme, e lo Stato nelle sue proprie forme, devono accettare la sfida: ciò significa non lasciare soli i malati e i loro familiari, consapevoli che l’unica risposta coerente è farsi carico in ogni modo e con ogni mezzo di un patrimonio unico e irrinunciabile che è la vita di ogni persona. Non ci sono scorciatoie, anche se spesso sono presentate e propagate col volto di una falsa pietà. La malattia non si risolve eliminando il malato, ma curando e accompagnando, sapendo che la malattia più temuta e il dolore più grande sono la solitudine e l’abbandono.”

Il dolore dei bambini ci sconvolge, quando ne siamo coscienti. Ma la società è muta davanti al dolre che non vede direttamente. Come il dolore senza voce ne volto della vita debole. E se la società deve gestire le risorse per assistere malati e famiglie, è anche chiaro “che se diventasse decisivo un approccio meramente finanziario alla salute, la società perderebbe quel livello di umanità che deve assolutamente avere per non diventare ingiusta e, peggio, disumana. Che di fatto seleziona la stessa dignità della vita, lasciando andare alla deriva i più deboli e indifesi, che senza dubbio richiedono alla collettività un maggiore impegno di risorse.” La società civile esiste proprio per difendere il più debole e fragile. Chi lo è più dei bambini e chi “tra i bambini chi è più indifeso di coloro che non hanno ancora voce per affermare il proprio diritto? E che spesso non hanno ancora neppure un volto da opporre?…Vittime invisibili, ma reali! E, per somiglianza, come non ricordare quanti la voce e la coscienza non l’hanno più, come i malati cosiddetti terminali? Non meritano forse l’attenzione non solo dei familiari e di tanti volontari che sono come il sale buono, ma anche della società intera e dello Stato? Un’attenzione che mai può arrogarsi il diritto di decidere chi merita ancora di vivere e chi, invece, deve essere abbandonato a se stesso.”

La conclusione del cardinale è una proposta di riflessione che apre un dibattito ma offre certezze: “E’una questione di civiltà, quella vera, che si fa carico della fragilità anche con sacrifici non lievi, ma sempre possibili e doverosi. E’ in gioco il bene delle singole persone, a cominciare dai più piccoli; ma si tratta anche dell’umanità sociale di un popolo, un’umanità che non brandisce i problemi scaricando ogni soluzione dagli altri, ma porta il proprio contributo.”

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