“Chi crede non è mai solo”. E Ratzinger iniziò il suo ministero petrino

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“Chi crede non è mai solo. Non lo è nella vita e non lo è nella morte”. Roma, 24 aprile 2005, Piazza San Pietro. Benedetto XVI celebra la messa di inizio del ministero petrino. Gli viene imposto il pallio e consegnato l’anello del pescatore. E decide di non parlare del suo programma da Papa – “Cosa avrebbe fatto il nuovo Papa?”, discutevano in molti – perché, spiega, “in questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo. Qualche tratto di ciò che io considero mio compito, ho già potuto esporlo nel mio messaggio di mercoledì 20 aprile; non mancheranno altre occasioni per farlo. Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia”.

 

Il 24 aprile del 2005 si ricorda anche il novantesimo del genocidio armeno. I membri della comunità armena di Roma avevano acceso un cero nelle loro case, per tenere viva la memoria di una intellighenzia che, a partire dalla notte tra il 23 e il 24 aprile 1915, a Instanbul, fu deportata e sterminata. Un popolo che è diventato minoranza nella sua stessa terra, il popolo armeno. Un popolo che sente come suo il monte Ararat, dove si posò l’Arca di Noè al termine del diluvio, e che però è irraggiungibile dal territorio armeno. C’è un punto, il monastero di Khor Virap, che dista appena una decina di chilometri dall’Ararat. E lì la separazione tra l’Armenia e il monte che ne è diventato in qualche modo il simbolo è netta, chiusa da una frontiera che divide l’Armenia con la sua storia. Una nazione, l’Armenia, montuosa, senza sbocchi sul mare, circondato per due terzi da Paesi ostili con cui ha praticamente rapporti nulli.

Situazione in qualche modo simile a quella della religione cattolica, divenuta praticamente minoritaria, tanto che – dirà il Papa nel Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace del 2011 – “i cristiani sono i più perseguitati del mondo”. Una Chiesa che ha avuto un ruolo importantissimo nella formazione della cultura armena – fu la traduzione della Bibbia la prima opera ad essere pubblicata in alfabeto armeno, che – guarda caso – fu inventato da Mesrop Mashops, un monaco. E, dopo la dominazione sovietica, seppur indebolita, è stata la Chiesa a dare un contributo fondamentale nella ricostruzione della società armena.

E negli ultimi venti anni, è stata sull’eduzione che ci è costruita la collaborazione tra Chiesa armena e Chiesa cattolica. Il rapporto ecumenico è forte. Giovanni Paolo II ci è voluto andare nel 2001, Karekin I ha ricambiato la visita due volte, il primo nel 2000, accolto da Papa Wojtyla, e il secondo nel 2008, con Benedetto XVI regnante, quando riceve anche dall’Università Salesiana una laurea honoris causa in teologia pastorale giovanile “per la solerzia con cui ha promosso la formazione cristiana del popolo di Dio, la sensibilità a favore dell’educazione religiosa dei giovani e lo spirito con cui ha preso parte allo sviluppo dell’intensa azione ecumenica di dialogo, di collaborazione e di stima, soprattutto con la Chiesa cattolica”.

Benedetto XVI riparte dall’educazione della fede, dal catechismo. E subito dopo aver annunciato la sua voglia di “mettersi in ascolto”, nell’omelia del 24 aprile del 2005, commenta i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino, ovvero l’imposizione del Pallio e la Consegna dell’Anello del Pescatore. “Entrambi questi segni, del resto – dice il Papa – rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi”.

Sette anni fa, Benedetto XVI ricordava a tutti che  “la Chiesa è viva – questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva – essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei giorni di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità, come frutto della sua Resurrezione”.

Ed è quello della Resurrezione il capitolo del Gesù di Nazaret cui Benedetto XVI si è dedicato di più, il capitolo che ha scritto e riscritto con attenzione e dedizione. E’ il centro della fede cristiana, e forse anche la speranza che – da minoranza che deve però essere “minoranza creativa”, come ha sottolineato Benedetto XVI durante il viaggio a Praga nel 2009 – la fede cristiana si diffonda nel mondo. Una Resurrezione che passa per l’Anno della Fede, che arriva dopo un percorso di catechesi e purificazione che ha portato avanti questo Papa sin da quando era cardinale. Il 23 aprile, un altro anniversario importante era passato quasi inosservato: il decennale dell’incontro a Roma con i vescovi americani per combattere la piaga della pedofilia nella Chiesa, un incontro fortemente voluto dall’allora Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede Joseph Ratzinger, il quale già da tempo aveva intrapreso una dura battaglia perché la Chiesa curasse le sue ferite (sempre nel 2002, riesce finalmente, dopo anni di resistenze, a far partire l’indagine della Congregazione sul fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel, un uomo dalla doppia vita fatta di abusi, figli illegittimi e tossicodipendenza).

Allora, basta guardare al monte Ararat, il simbolo di un Armenia circondata, e ricordare quello che Ratzinger ha scritto in Teologia della Liturgia, significativamente il primo volume della sua opera omnia ad essere pubblicato. Un volume in cui grande c’è anche una parentesi dedicata al significato dell’arte, perché  il cristianesimo ha perseverato nei racconti (haggadà) figurativi delle gesta compiute da Dio. È l’arte che fa esclamare a Ratzinger come nell’arte cristiana delle catacombe sia preservata la continuità tra Sinagoga e Chiesa, nel rendere presenti, e quindi celebrare, eventi passati, attraverso la memoria che diventa figura. Sono eventi dell’Antico Testamento che sono accostati e quindi spiegati alla luce del nuovo: il sacrificio di Isacco, l’incontro di Abramo con i tre angeli raccontano il sacrificio di Cristo e l’Eucarestia, per esempio; mentre il passaggio del Mar Rosso e l’Arca di Noè sono figure del Battesimo.  Nella prima omelia di inizio pontificato, Benedetto XVI è ripartito dal Battesimo, dal dono della fede, per riportare la Chiesa a Dio. Una Chiesa che – lo ha detto lui stesso, nelle Meditazioni alla Via Crucis del 2005 – è “una barca che fa acqua da tutte le parti”. Ma che cerca un monte Ararat dove trovare ristoro e un nuovo patto con Dio.

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