Leggere la shoa per conservare la memoria

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Due giovani ragazze – una tedesca e una olandese, piene di sogni e di speranze e un prete brianzolo, diventato missionario. Che cos’hanno in comune tre esistenze tanto diverse e lontane? Hanno in comune un incubo, quello della Shoah che ha piagato l’Europa e oscurato la Storia intera, hanno in comune l’umanità profonda e la fede. Ieri si è celebrata la Giornata della Memoria e, tra le tante commemorazioni, discorsi, documenti, testimonianze che sono stati prodotti per questa ricorrenza fondamentale, ci piace ricordare tre persone e i libri che le raccontano.

Giorgio Bernardelli, per le edizioni del PIME (Pontificio Istituto Missioni estere) , ha scritto una biografia di padre Lido Mencarini, missionario coraggioso tra i giovani di una parrocchia della Brianza negli anni difficili della Seconda guerra mondiale. E poi servitore fedele della diocesi di Hong Kong per quasi sessant’anni. Il libro ricostruisce la lunga vita di padre Lido, riportando alla luce anche il suo eroismo nascosto che si manifestò nel rifugio offerto agli ebrei in fuga verso la Svizzera e ai renitenti alla leva negli anni tra 1943 e il 1945. Nella “Rosa Bianca” di Inge Scholl (Itaca Editore) viene ricostruita la vicenda del movimento di resistenza tedesco al nazismo denominato appunto “Rosa bianca”, costituito in massima parte da studenti che hanno pagato con la vita l’opposizione alla follia nazista. I fratelli Hans e Sophie Scholl diedero vita al movimento e furono giustiziati il 22 febbraio 1943. Attraverso il racconto della sorella Inge, di amici e di testimoni delle loro ultime ore, emerge una passione per la vita e per la verità che nemmeno il terrore del regime riuscì a soffocare. Dalle testimonianze raccolte da Inge in parte ha attinto il regista Marc Rothemund per il commovente film “Sophie Scholl. Gli ultimi giorni”.

Una delle testimonianze più commoventi e profonde della tragedia dei campi di sterminio e della temperie culturale e sociale che la generò è quella che emerge dalle pagine del diario di Esther (detta Etty) Hillesum. Etty era nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg, in Olanda, da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. Viveva ad Amsterdam e qui studiò e si laureò, seguendo le sue passioni, tra arte, letteratura, teologia. Quando iniziò a scrivere il diario, nel 1941, Etty aveva 27 anni. «Le minacce e il terrore crescono di giorno in giorno – annotava –. M’innalzo intorno la preghiera come un muro oscuro che offra riparo, mi ritiro nella preghiera come nella cella di un convento, ne esco fuori più “raccolta”, concentrata e forte». Sembrano i pensieri di una mistica. Poco tempo dopo, i tedeschi cominciarono i rastrellamenti degli ebrei olandesi. Per evitarle l’internamento a Westerbork (campo di smistamento dove transitavano gli ebrei catturati prima di essere deportati in Polonia), alcuni amici le trovarono un impiego di dattilografa al Consiglio Ebraico (questi organismi erano posti sotto la responsabilità dei membri più importanti delle comunità israelite sparse in Europa, ma in realtà furono creati ad arte dai nazisti nei territori occupati per gestire meglio e con l’inganno il ‘problema’ ebraico). Ma a Westerbork si recò qualche settimana dopo di sua spontanea volontà, per aiutare i malati nelle baracche dell’ospedale. A nulla valsero le pressioni degli amici per farla nascondere. Il 7 settembre 1943 arrivò l’ordine di deportazione, per lei e tutta la sua famiglia, ad Auschwitz, dove morì nello spazio di qualche settimana.

Bisognerebbe davvero leggerle e rileggerle, queste storie.Bisognerebbe leggere e rileggere il diario della Hillesum, che in Italia è stato pubblicato dalla casa editrice Adelphi. Nonostante il cupo orizzonte contro il quale si stagliavano le parole di Etty, da esse emana una luce, una forza, un coraggio contagiosi, illuminati dalla fede, che non appare consolatoria , ma la ragione ultima di tutte le cose, quella che rende ogni esperienza stupefacente e non permette che il male abbia l’ultima parola.

 

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