Ma che bellu presebbio! Con Eduardo De Filippo

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La commedia forse più nota di Eduardo, ‘Natale in casa Cupiello’, andò in scena per la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli il 25 dicembre 1931.  Il successo della commedia fu tale che la durata del contratto fu prolungata sino al 21 maggio 1932. Originariamente si trattava di una commedia ad atto unico (quello che, nella versione definitiva, costituisce oggi il secondo atto), ampliato successivamente in due distinte fasi: la prima, nel 1932, vide aggiungersi l’attuale primo atto e la conclusiva, nel 1934 o secondo altri addirittura nel 1943, secondo un’ipotesi più probabile ed avallata più tardi anche dallo stesso autore, che configurò l’opera nella sua versione attuale, composta da tre atti. La complessa genesi della commedia portò Eduardo stesso ad affermare che essa era nata come un ‘parto trigemino con una gravidanza di quattro anni’. Purtroppo il 25 dicembre 2011 la televisione, come accadeva negli anni precedenti, non ha trasmessa, nemmeno per ricordare l’ottantesimo ‘compleanno’, questa straordinaria commedia; anche se in teatro ottiene sempre ‘il tutto esaurito’, come è avvenuto in questo anno. Piccolo segno televisivo di una disaffezione culturale e sociale verso il presepio.

Il testo di De Filippo affonda le sue radici nel presepio napoletano, di cui si ha notizia a partire dal 1205,che ebbe il suo trionfo nel ‘700,per merito di quel grande mecenate che fu Carlo III di Borbone , sovrano a cui si deve la splendida fioritura culturale ed artistica del tempo, che ha avuto il suo ‘apice’ in Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, che pensava di porgere il Vangelo attraverso le canzoni, componendo prima la versione napoletana ‘Quanno nascette Ninno’ e nel 1754 il canto ‘Tu scendi dalle stelle’: “Quanno nascette Ninno a Betlemme, era nott’ e pareva miezo juorno. Maje le stelle-lustre e belle se vedèttero accossí: e ‘a cchiù lucente, jette a chiammà li Magge a ll’Uriente”. Richiamandosi a questa tradizione napoletana sempre viva Edoardo De Filippo, confessando di essere ‘ateo’ scrisse il testo con la convinzione che ‘il presepe è il presepe’.

Ed i nomi dei protagonisti non sono stati scelti a caso: il nome del figlio di Luca e Concetta Cupiello, Tomassino detto Nennillo, che, refrattario alla meraviglia dei pastori, non fa che ripetere: ‘Il presepio non mi piace’, alla stregua dell’apostolo Tommaso che, se non tocca, non crede; che si scontra con il padre Luca, nome dell’evangelista. Tutto il ‘dramma’ natalizio, inoltre, si svolge all’interno di una famiglia con i ‘soliti’ discorsi familiari tra padre e figlio sulla ‘tradizione’ della fede cattolica. Uno spaccato, che dopo 80 anni, è valido anche oggi sulla difficoltà di tramandare la fede cristiana ai nostri figli, che diventano incapaci di meraviglia davanti alla realtà. E la madre che giustifica il figlio per l’età e se la prende con il padre, perché anche in ‘casa Cupiello’ tutti hanno colpe, però sono consapevoli del proprio peccato.

E’ questa consapevolezza dei propri peccati che rende i protagonisti docili alla ‘grazia’ del presepio: Tommasino cambia idea sul presepio e Luca riesce a far fare la pace tra la figlia e il marito: “A salvare la famiglia è un padre, l’unico che ha a cuore il presepio e l’unico capace di benevolenza”, come ha detto il grafico Gian Carlo Olcuire. In realtà il testo di De Filippo è ancora rivoluzionario, come ha affermato il regista Nello Mascia, che sta portando il testo nei teatri italiani.  Ma il testo di Eduardo De Filippo è anche un testo sulla responsabilità e sulla redenzione, come è avvenuto con i detenuti del carcere di Chieti, che hanno rappresentato lo spettacolo a Pescara nel cartellone ufficiale della stagione teatrale, tanto che il magistrato Maria Rosaria Parruti ha così spiegato agli spettatori l’avvenimento:

“Luca Cupiello considerava il mondo come un grande giocattolo: aveva come unica preoccupazione il presepe vissuto come la messa in scena degli auguri natalizi per i regali destinati alla moglie. Ha vissuto nell’illusione di aver creato una famiglia felice, e si avvia a morire nell’illusione che il mondo sia come lui lo aveva sempre creduto. È un uomo che non è diventato adulto, cioè capace di guardare la realtà per quello che è e di assumersi le relative responsabilità… Questa realtà è pienamente vivibile e da non fuggire, perché Qualcuno ci viene incontro… Il mio augurio è che Natale sia per noi l’occasione di scoprire e cominciare a sperimentare che la realtà che siamo chiamati a vivere, anche se dura, faticosa, può essere vissuta come tale, e non deve essere fuggita, perché Qualcuno ci ama davvero”.

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