Papa Francesco ha ricordato i ‘nuovi’ martiri della fede

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Una settimana prima di compiere il viaggio apostolica in Egitto papa Francesco ha visitato a Roma la basilica di san Bartolomeo all’Isola, dove ha pregato con la Comunità di Sant’Egidio in memoria dei Nuovi Martiri, accolto da una folla festosa di bambini e anziani, persone malate, disabili, profughi.

Nell’accoglierlo, all’inizio della preghiera il prof. Andrea Riccardi ha detto: “I martiri ci insegnano a vincere con l’amore e non con il potere”. Accanto a lui parenti e amici di coloro che hanno dato la vita per il Vangelo, come Karl Schneider, figlio di Paul, pastore ucciso nel 1939 nel campo di Buchenwald, Roselyne, sorella di padre Jacques Hamel, assassinato a Rouen, in Francia, lo scorso 26 luglio e Francisco Hernandez, amico di William Quijano, ucciso in El Salvador.

La preghiera ha ricordato il valore del martirio come testimonianza: “Le preghiere dei Santi sulla Terra salgono a te, Signore buono, e cantano un canto nuovo insieme davanti al tuo trono. Nessuno può comprendere il canto, ma solo quei redenti della terra, che seguono ovunque l’Agnello, primizia di Dio senza macchia.

Tu sei degno di prendere il libro, degno di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e ci hai riscattato col tuo sangue. Hai riscattato uomini di ogni lingua, di ogni popolo, tribù, nazione, e ci hai costituito un popolo di sacerdoti e di re. Santo, Santo, Santo, è il Signore onnipotente, Colui che era, è e viene, degno di ricevere ogni gloria”.

La basilica contiene più di 12.000 dossier di martiri e testimoni della fede di ogni parte del mondo, esaminati dalla commissione ‘Nuovi Martiri’, voluta da san Giovanni Paolo II nel 1999. Nell’omelia papa Francesco ha domandato che cosa ha bisogno la Chiesa: “Di martiri, di testimoni, cioè dei santi di tutti i giorni… Essi hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte. Loro soffrono, loro danno la vita, e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza.

E ci sono anche tanti martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve. Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio: l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione.

Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù usa una parola forte e spaventosa: la parola ‘odio’. Lui, che è il maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, parla di odio”. Poi ha spiegato perché la Chiesa è retta dai santi: “La Chiesa ha bisogno dei santi di tutti i giorni, quelli della vita ordinaria, portata avanti con coerenza; ma anche di coloro che hanno il coraggio di accettare la grazia di essere testimoni fino alla fine, fino alla morte.

Tutti costoro sono il sangue vivo della Chiesa. Sono i testimoni che portano avanti la Chiesa; quelli che attestano che Gesù è risorto, che Gesù è vivo, e lo attestano con la coerenza di vita e con la forza dello Spirito Santo che hanno ricevuto in dono”. Infine ricordando la testimonianza di un marito verso la sua donna fatta al papa a Lesbo ha concluso: “L’eredità viva dei martiri dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace”.

Prima il papa aveva ascoltato le testimonianze di chi ha conosciuto i martiri della fede. Karl A. Schneider ha raccontato la vita di Paul Schneider, pastore della Chiesa Riformata, ucciso nel campo di Buchenwald il 18 luglio 1939: “Mio padre è stato assassinato nel 1939 nel campo di concentramento di Buchenwald perché per lui gli obiettivi del nazionalsocialismo erano inconciliabili con le parole della Bibbia.

La Chiesa ha il compito di vigilare sullo Stato. Con questa convinzione mio padre si è opposto con forza ad ogni tentativo di influenzare politicamente la Chiesa. Si è impegnato perché il popolo tedesco conservasse un orientamento cristiano nello Stato e nella società. Noi tutti, anche oggi, facciamo troppi compromessi, ma mio padre è rimasto fedele unicamente al Signore e alla fede.

E’ stato un pastore e una guida spirituale. Anche nel campo di concentramento! Fino alla fine, ogni volta che gli era possibile, nonostante le torture e le sofferenze, ha gridato con coraggio dalla feritoia della sua cella nel bunker le parole di consolazione e di speranza della Bibbia agli altri prigionieri”.

Poi è stata la volta del racconto di Roselyne, sorella di padre Jacques Hamel, ucciso a Rouen, il 26 luglio dello scorso anno: “C’è un paradosso: lui che non ha mai voluto essere al centro, ha consegnato una testimonianza per il mondo intero, la cui larghezza non possiamo ancora misurare.

Noi l’abbiamo vissuta nella reazione di tutti quei cristiani che non hanno ancora predicato la vendetta o l’odio, ma l’amore e il perdono; noi l’abbiamo vista nella solidarietà dei musulmani che hanno voluto visitare le assemblee domenicali dopo la sua morte; noi l’abbiamo vista in Francia, che ha mostrato la sua unità attorno alla tenerezza per questo sacerdote.

Per noi, la sua famiglia, restano certamente il dolore e il vuoto. Ma è di grande conforto vedere quanti nuovi incontri, quanta solidarietà e quanto amore sono stati generati dalla testimonianza di Jacques”.

Infine la testimonianza di Francisco Hernandez, amico di William Quijano, ucciso in El Salvador il 28 settembre 2009: “William non ha mai rinunciato a insegnare la pace, anzi il suo impegno ha spezzato la catena della violenza; diceva: ‘il mondo è pieno di violenza, per questo dobbiamo lavorare per la pace iniziando dai bambini.

Dobbiamo avere il coraggio di essere maestri, perché un paese che non ha scuole né maestri è un paese senza futuro e senza speranza. Le Scuole della Pace sono santuari che pongono una barriera alla violenza e alla povertà. La sicurezza non si ottiene solo con la fermezza, ma con l’amore’.

Ciò che ha colpito William, anche se tragicamente, spinge a credere che si può costruire un’altra America Latina, libera dall’incubo delle maras. Nella periferia esistenziale, William ha testimoniato la sua speranza in un mondo diverso, fondandosi sul Vangelo e su valori più umani, sulla centralità della vicinanza”.

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