Delitto mediatico?
È stata una lettera inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – e sottoscritta, oltre che da giornali di partito e varie realtà no profit, anche dalla Fisc, la Federazione Italiana Settimanali Cattolici che raccoglie sotto di sé 189 testate – a riportare l’attenzione sul taglio dei contributi all’editoria stanziati dal governo. Nel 2012 il fondo per l’editoria, già ridotto a 194 milioni di euro, subirà un ulteriore taglio tra il 30 e il 50 per cento. Su quel Fondo, inoltre, continueranno a pesare oltre 40 milioni di euro per la convenzione con la Rai e un’altra cinquantina di milioni per il rateo con le Poste. Mediacoop, l’associazione delle cooperative editoriali, calcola che, tolti i 75 milioni di tagli e gli altri 95 milioni già impegnati, resteranno 26 milioni di euro, il 16 per cento dei finanziamenti dell’ anno precedente.
A fare le spese del taglio, soprattutto le testate no-profit. E la stragrande maggioranza di queste sono di area cattolica. “Delle 189 testate che fanno capo alla Fisc – ha detto il presidente Francesco Zanotti – circa la metà beneficia di tali aiuti governativi, per un totale che non arriva a quattro milioni di euro. Si tratta di briciole per il bilancio statale, eppure molto importanti, se non decisive, per diversi nostri giornali. Veniamo da un 2010 terribile che ha costretto numerosi periodici a confrontarsi con l’improvviso aumento della tariffe postali del primo aprile dello scorso anno. Molti hanno tremato, ma tutti hanno retto all’urto imprevisto. Ora un’altra tegola si abbatte su tanti giornali, e noi siamo tra questi”. Periodici che negli ultimi due anni sono stati oggetto di consistenti tagli governativi. Lo scorso anno, il taglio delle tariffe postali agevolate per gli editori no-profit e per le riviste diocesane e missionarie. Avvenire, il quotidiano della Cei, lo fece notare in un duro editoriale intitolato “Delitto mediatico”, e fu uno dei pochi giornali a prendere una posizione in merito. Una posizione silenziata subito dopo dall’inchiesta di Panorama sulle “Notti dei preti gay”.
Il giornale dei vescovi ci era tornato in un editoriale nello scorso gennaio, sottolineando come “per la prima volta nella storia italica spedire per posta una rivista di una congregazione religiosa o di un’associazione di volontariato costa più che spedire il Corriere della Sera agli abbonati. Il costo per una rivista del non profit è infatti di 28 centesimi a copia contro i 17 pagati da un quotidiano”. E recentemente Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, ha sottolineato “Il nuovo delitto mediatico”, che riguarda la televisione digitale. Doveva essere, denuncia il direttore del quotidiano Cei, uno spazio abitabile da tutti (anche per dare una voce al territorio). Invece – denuncia – “stiamo registrando che la riorganizzazione digitale è diventata – quasi inesorabilmente, in questi tempi di crisi – anche un’occasione per lo Stato di fare cassa (piazzando spicchi di torta a compagnie telefoniche) e che il conto non è affatto diviso in parti uguali e che, anzi – secondo quella che sembra diventata la strana regola dell’Italia del 2011 –, pagherà di più chi ha di meno”.
Dietro alla lotta per gli antichi privilegi (chi dimentica la vecchia norma – poi superata – per cui un giornale è definito giornale di partito con relativi sovvenzionamenti se solo due parlamentari, anche di opposto schieramento politico, dichiarano che è espressione del loro pensiero?), c’è anche il rischio per molte voci fuori dal coro di non poter avere più voce. I sussidi alla stampa non sono un fenomeno unicamente italiano. I sussidi pubblici alla stampa sono presenti, in forma diretta o indiretta, in Paesi come Francia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Svizzera. Intanto, il presidente Napolitano ha risposto alla lettera aperta: “Condivido la preoccupazione per i rischi che ne potrebbero derivare di mortificazione del pluralismo dell’informazione. E non mancherò di manifestare questo mio punto di vista al governo”.