La Chiesa accoglie i rifugiati come opera di misericordia

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Sono oltre 27.000 i profughi accolti in Italia nelle parrocchie ma anche nelle comunità religiose, nei santuari e monasteri e nelle famiglie che hanno dato la disponibilità ad ospitare i richiedenti asilo. In questo modo la Chiesa si muove per affrontare il dramma dei 70.000 immigrati che hanno fatto domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e per aiutare tutti quelli arrivati in Italia (160.000 solo nel 2015), aderendo all’appello del 6 settembre di papa Francesco.

E la Cei, al termine del Consiglio permanente, aveva inviato un vademecum per l’accoglienza ai migranti nelle diocesi e nelle parrocchie. Nel documento sono indicate forme, luoghi e destinatari, nonché aspetti amministrativi, gestionali, fiscali e assicurativi per quelle strutture destinate all’accoglienza:

“aiutare a individuare forme e modalità per ampliare la rete ecclesiale dell’accoglienza a favore delle persone richiedenti asilo e rifugiate che giungono nel nostro Paese, nel rispetto della legislazione presente e in collaborazione con le Istituzioni”. Riprendendo il documento degli Orientamenti pastorali decennali, ‘Educare alla vita buona del Vangelo’, i vescovi affermano che si tratta di ‘un gesto concreto e gratuito’:

“un servizio, segno di accoglienza che si affianca ai molti altri a favore dei poveri (disoccupati, famiglie in difficoltà, anziani soli, minori non accompagnati, diversamente abili, vittime di tratta, senza dimora) presenti nelle nostre Chiese: un supplemento di umanità, anche per vincere la paura e i pregiudizi”.

Il vademecum è nell’orizzonte giubilare, tempo di grazia “caratterizzato da gesti di liberazione e di carità’: “Ogni anno giubilare è caratterizzato da gesti di liberazione e di carità. Nel Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II invitò a opere di liberazione per le vittime di tratta e nacquero in loro favore molti servizi nelle diocesi e nelle comunità religiose.

Così pure tutte le parrocchie italiane furono sollecitate a un gesto di carità e di condivisione per il condono del debito estero di due paesi poveri dell’Africa: la Guinea e lo Zambia.

Nell’Anno Santo della misericordia, alla luce di un fenomeno straordinario di migrazioni forzate che, via mare e via terra, sta attraversando il mondo e interessando i paesi europei, il Papa chiede alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri, ai santuari il gesto concreto dell’accoglienza di “coloro che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita”.

Però non si può essere né impreparati, né superficiali nell’accoglienza e così l’episcopato italiano ha stilato le condizioni generali per rendere efficace l’accoglienza, che prima, tuttavia, deve essere preceduta da una preparazione ‘a tappe’ della comunità.

In diocesi, come anche in parrocchia o in famiglia, l’accoglienza di un richiedente asilo “ha bisogno di essere preparata e accompagnata, sia nei delicati aspetti umani (sociali, sanitari) come negli aspetti legali, da un ente (nelle grandi diocesi anche più enti) che curi i rapporti con la Prefettura di competenza”.

Altro punto fondamentale riguarda ‘le pratiche per i documenti, i vari problemi amministrativi e anche l’eventuale esito negativo della richiesta d’asilo’. A tal proposito nel Vademecum è tracciato un profilo delle categorie dei migranti che possono ricevere ospitalità nelle diverse strutture:

una famiglia; persone della stessa nazionalità che hanno presentato la domanda d’asilo e sono ospitati in un Centro di accoglienza straordinaria; persone che hanno visto accolta la propria domanda d’asilo e rimangono in attesa di entrare in un progetto del Sistema nazionale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati, per un percorso di integrazione sociale nel nostro Paese.

Ancora: chi ha avuto una forma di protezione internazionale o ha già concluso un percorso nel Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati e non ha prospettive di inserimento sociale, per favorire un ‘cammino di autonomia’, prendendo a modello l’esempio dei gesuiti del Centro Astalli.

Riguardo ai minori, la CEI ha sconsigliato l’accoglienza di minorenni non accompagnati, in quanto ‘per la delicatezza della tipologia di intervento, in termini giuridici, psicologici, di assistenza sociale’, intrinseci alla condizione stessa del bambino, ‘il luogo più adatto per la sua accoglienza non è la parrocchia, ma la famiglia affidataria o un ente accreditato come casa famiglia, in conformità alle norme che indicano l’iter e gli strumenti di tutela’.

Però la Cei si spinge un po’ più in là della semplice accoglienza; ricordando le parole di papa Giovanni Paolo II (‘diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione’) essa si impegna

“a valorizzare le esperienze di cooperazione internazionale e di cooperazione missionaria, attraverso le proposte di Caritas Italiana e di Missio, della FOCSIV e della rete dei missionari presenti nelle diverse nazioni di provenienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Nell’anno giubilare le Chiese in Italia si impegneranno a sostenere 1000 microrealizzazioni nei Paesi di provenienza dei migranti in fuga da guerre, fame, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose”.

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