Benedetto XVI: la famiglia alimento della società
Nell’omelia della conclusione dell’incontro mondiale delle famiglie a Milano nel 2012 papa Benedetto XVI aveva ribadito l’importanza della famiglia nell’economia della Chiesa: “Il progetto di Dio sulla coppia umana trova la sua pienezza in Gesù Cristo, che ha elevato il matrimonio a Sacramento. Cari sposi, con uno speciale dono dello Spirito Santo, Cristo vi fa partecipare al suo amore sponsale, rendendovi segno del suo amore per la Chiesa: un amore fedele e totale.
Se sapete accogliere questo dono, rinnovando ogni giorno, con fede, il vostro ‘sì’, con la forza che viene dalla grazia del Sacramento, anche la vostra famiglia vivrà dell’amore di Dio, sul modello della Santa Famiglia di Nazaret. Care famiglie, chiedete spesso, nella preghiera, l’aiuto della Vergine Maria e di san Giuseppe, perché vi insegnino ad accogliere l’amore di Dio come essi lo hanno accolto. La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo”.
Però, nei suoi otto anni di pontificato il Papa emerito non ha mai dedicato documenti espliciti alla famiglia sebbene, in particolare all’interno di due encicliche (Deus caritas est e Caritas in Veritate) nonché in molti dei suoi interventi pubblici, ha ribadito il ruolo fondamentale della famiglia fondata nel matrimonio la quale costituisce non solo un patrimonio dell’umanità ma, al contempo, una cellula vitale definendola ‘pilastro delle società’.
Il papa emerito era consapevole di quanto il messaggio cristiano in tema di matrimonio e di famiglia potesse risultare in apparenza privo di attualità, ma i suoi insegnamenti partono dalla convinzione sull’intrinseca bontà dell’istituto familiare, la cui verità riteneva particolarmente utile in mezzo alla diffusione di concezioni materialistiche sull’uomo, sulla sua libertà e sull’amore.
Nell’enciclica ‘Deus caritas est’ egli mette al centro la famiglia come archetipo di amore fraterno: “In tutta questa molteplicità di significati, però, l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono…
Diciamo già in anticipo che l’Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all’amore, eros, philia (amore di amicizia) e agape, gli scritti neotestamentari privilegiano l’ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini”.
L’agape è il fondamento della famiglia ed alimento della società, come ha sottolineato nella messa conclusiva dell’incontro mondiale delle famiglie a Valencia nel 2006: “La famiglia cristiana, padre, madre e figli, è chiamata, dunque, a perseguire gli obiettivi indicati non come qualcosa imposta dall’esterno, bensì come un dono della grazia del sacramento del matrimonio infusa negli sposi. Se questi rimangono aperti allo Spirito e chiedono il suo aiuto, egli non cesserà di comunicare loro l’amore di Dio Padre manifestato e incarnato in Cristo.
La presenza dello Spirito aiuterà i coniugi a non perdere di vista la fonte e la dimensione del loro amore e della loro reciproca donazione, come anche a collaborare con lui per riverberarlo e incarnarlo in tutte le dimensioni della loro vita”. E nel discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Sacra Rota (2007) ha ribadito la verità antropologica e salvifica del matrimonio, fondata nella Sacra Scrittura che vede l’unione tra un uomo e una donna come frutto del disegno di Dio:
“Il diritto a sposarsi, o ius connubii, va visto in tale prospettiva. Non si tratta, cioè, di una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori mediante un mero riconoscimento formale, indipendentemente dal contenuto effettivo dell’unione. Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale. Lo ius connubii, infatti, si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio.
Non si negherebbe, quindi, lo ius connubii laddove fosse evidente che non sussistono le premesse per il suo esercizio, se mancasse, cioè, palesemente la capacità richiesta per sposarsi, oppure la volontà si ponesse un obiettivo che è in contrasto con la realtà naturale del matrimonio”.
Quindi la famiglia ha un’importante funzione sociale, come ha ribadito nel messaggio per la pace dello stesso anno: ‘Famiglia umana, comunità di pace’: “La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d’amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, costituisce ‘il luogo primario dell’umanizzazione della persona e della società’, la ‘culla della vita e dell’amore’.
A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, ‘un’istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale’. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace”.