Il Papa punge la Chiesa di Germania. Che invece si orienta sull’agenda progressista.
È stata un’intervista del cardinale Karl Lehmann ha riportare alla luce tutta l’amarezza dei vertici della Chiesa di Germania per le parole di Benedetto XVI nel suo recente viaggio. Invece di lodare le iniziative di una Chiesa ricca – grazie anche alla Kirchensteuer, la tassa sulla religione inventata da Hitler che impone a qualunque cittadino austriaco o tedesco di pagare un’altissima imposta alla sua religione di appartenenza, altrimenti non può nemmeno avere un funerale nella sua confessione – Benedetto XVI ha puntato su quanto l’eccedenza di strutture possa far perdere di vista l’obiettivo principale della Chiesa, cioè di Dio. Ha fatto di più: ha affermato che la secolarizzazione è persino provvidenziale, perché restituisce la Chiesa alla sua novità missionaria.
Lehmann non attacca direttamente le parole di Benedetto XVI. Però allo stesso tempo fa notare che c’è stata “una certa amarezza” nei confronti delle parole del Papa. Una critica velata e sofisticata, che racconta molto dell’umore con cui le parole di Benedetto XVI sono state accolte dalla parte alta della Chiesa di Germania, e non solo. Le sue parole hanno graffiato anche lo Zdk, il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi, di fatto il “braccio armato” di una lobby che in Germania spinge la Chiesa verso un forte progressismo, caratterizzato dalle parole d’ordine: revoca del celibato sacerdotale, sacerdozio femminile, comunione ai divorziati risposati e coinvolgimento del popolo nella scelta dei vescovi. Zdk al quale lo stesso Lehamann è indirettamente legato.
Da molti Lehamn è considerato “il cardinale creato da Kohl”. Divenuto presidente della Conferenza Episcopale Tedesca nel 1988, dovette attendere a lungo la berretta cardinalizia. Arrivò nel 2002: Giovanni Paolo II fece un concistoro monstre, nel quale non compariva il nome di Lehmann. Ma poi ci fu un intervento personale di Helmut Kohl – che già era fuori dalla politica, ma aveva ancora una certa influenza – e Giovanni Paolo II aggiunse due nomi alla lista dei nuovi cardinali: quello di Lehmann e quello di Degenhard, vescovo di Pandendorm, di diverso orientamento teologico.
E si definisce così anche il perché dell’agenda del Papa in Germania: l’incontro con Kohl, e quello con lo Zdk bilanciato poi da quello domenicale con i cattolici tedeschi impegnati in società della domenica. Incontri delicati. In questi giorni la Conferenza Episcopale tedesca è riunita in assemblea. Robert Zoellitsch, il presidente, considerato da alcuni una “marionetta” nelle mani dei potenti vescovi dall’agenda progressista, nelle celebrazioni di martedì e mercoledì ha cercato di equilibrare le parole del Papa, che vuole “riportare tutti a Dio”.
Le parole d’ordine del progressismo della Chiesa di Germania sono state reiterate l’anno scorso nel documento di circa150 teologi tedeschi in Germania, e nella “Iniziativa Parroci” promossa dall’ex vicario di Vienna Helmut Schuller, che prima ha coadiuvato il cardinal Schoenborn quando questi ha preso la guida della diocesi di Vienna, e ora lo attacca dall’altro lato. Per tutta risposta, Schoenborn lo scorso anno ha fornito pure lui ai media la sua agenda progressista. Un tentativo maldestro di equilibrare una Chiesa austriaca fortemente modellata sulla Chiesa tedesca. Se in Germania il braccio armato del progressismo è lo Zdk, in Austria è l’Azione Cattolica a fare un movimento di lobbying molto forte. Molti dei suoi quadri sono stati formati in Noi Siamo Chiesa, movimento progressista creato nel 1995 con un “Appello del popolo di Dio”, che già prima della visita aveva sostenuto come “non si possono mettere l’una contro l’altra la crisi di Dio e la crisi della Chiesa”
Benedetto XVI però ha spiazzato tutti. Le sue parole hanno puntato direttamente al concetto di Dio. Addirittura, nel suo intervento con i seminaristi ha usato il termine “Noi siamo Chiesa”. E ne ha rovesciata l’interpretazione: da un noi separato, a un noi che comprende la globalità della Chiesa.