Simona Atzori: cosa ti manca per essere felice?
Nel libro ‘E li chiamano invisibili’ il giornalista Candido Cannavò ha dato questa definizione dell’artista e ballerina Simona Atzori: ‘Le sue braccia sono rimaste in cielo, ma nessuno ha fatto tragedie’. Non capita tutti i giorni vedere ballare un’artista e così ho approfittato per andare in un bel paese nell’alto maceratese, Caldarola, dove si è esibita Simona Atzori, ballerina e pittrice, illuminata da un bel sorriso, che ti lascia sorpreso, facendo del suo limite, l’assenza delle braccia, la sua più grande forza.
Dopo averci deliziato con i suoi passi di danza, si è raccontata: “La pittura e la danza sono state le ali che mi hanno portato fuori dalla gabbia, fatta di sguardi da poverina, dai limiti che sono soltanto negli occhi di chi guarda”. Con le sue ‘mani in basso’, i piedi come li ha definiti una bambina, Simona Atzori riesce a fare tutto, dipingere bellissimi quadri, danzare accanto alle sue colleghe con coreografie che l’hanno portata anche ad esibirsi sul palco dell’Ariston a Sanremo, e raccontare il suo mondo, finito in due libri, leggendo alcune pagine:
“Il primo ‘Cosa ti manca per essere felice’ è una domanda spinosa. Per essere felici basta riuscire a raggiungerne un briciolo, non sta chissà dove in cielo, basta un sorriso, una frase, il sole, uno splendido teatro come questo, avevo la scusa più grande, mi manca qualcosa, le braccia, ma grazie alla mia straordinaria famiglia, ai miei genitori che mi hanno semplicemente amato, senza fare tragedie, siamo riusciti a fare tutto, a danzare, anche se ci era stato detto che non potevo farlo, i miei piedi sono due vere mani”.
Poi ha raccontato che nella vita non si deve dimostrare nulla: “Ognuno è unico, si deve vivere per se stessi. I miei genitori anziché fermarsi a vedere ciò che non c’era, si sono fermati a vedere ciò che c’era, date valore alla vostra vita, si può donare la vita anche con una parte di sé, come i ‘donatori di vita’ che sono in questo teatro siamo tutti abili a fare qualcosa, i disabili innanzitutto vanno considerati come persone, quando ne incontrate uno chiedetevi se ama ballare, scrivere, sorridere, cosa c’è dentro il suo mondo.
A nessuno di noi piacciono le etichette, piace essere chiuso in gabbia, la danza e la pittura mi hanno dato due ali per uscire da questa gabbia, per questo ho deciso di diventare promotrice di gioia e condividere la mia vita”. Dirompente spontaneità di una giovane donna che, anche affrontando apertamente il tema della fede, parla di un rapporto diretto con Dio in questi termini:
“Ringrazio il Signore che mi ha disegnato come sono, mi ha creato così… Non mi sono mai chiesta con dolore perché Dio abbia voluto che proprio io nascessi così, senza le braccia, ma ho sempre pensato perché Dio invece mi avesse dato così tanto. Mi ha semplicemente disegnata così perché mi aveva in mente così”. Dietro quest’esistenza realizzata e serena c’è la forza di una famiglia, e in particolare di una madre, che ha accompagnato Simona nel suo modo di esplorare il mondo: a quattro anni la bimba si avvicina alla pittura con la bocca e con i piedi come autodidatta, a sei inizia a seguire corsi di danza classica.
Ricordiamo che nel Giubileo del 2000 è stata ambasciatrice per la Danza, ballando in chiesa, con una coreografia di Paolo Londi, ‘Amen’, che è stata inserita nella Grande Enciclopedia Multimediale del Vaticano; l’anno dopo si è laureata in ‘Visual Arts’ alla ‘University of Western Ontario’, in Canada.
Al termine dell’incontro le abbiamo chiesto di spiegarci perché ha scelto proprio la danza e la pittura: “Sono state la danza e la pittura a scegliere me, non io a scegliere loro. Sono due arti che mi sono entrate dentro fino quando ero bambina e mi hanno permesso di raccontare il mio mondo a tante persone, prima come un gioco eppoi nella vita”.
I suoi genitori hanno avuto qualche momento di ‘sconforto’ quando è nata?
“La parola accoglienza è la base della nostra vita. Io credo che sia partito tutto da lì, dal fatto che la mia mamma ma anche il mio papà mi hanno accolta; e questo è qualcosa che, nel corso della mia vita, ha sempre fatto grandissima differenza. Mi sono sentita accettata. E’ una parola altrettanto bella ma ha una sfumatura diversa perché presuppone uno sforzo, qualcosa di affermativo.
I miei genitori hanno sempre sentito che un figlio si deve accogliere a prescindere da ogni cosa, e questo per me è stato un atto d’amore molto grande e bello. Un amore che nella semplicità di come è stata espressa questa accoglienza è stato ancora più bello. Mi ha fatto sempre sentire amata e nel posto giusto”.
Ed ai giovani che si sentono sconfortati dalla vita, cosa suggerisce?
“Dico di provare ad amarsi come si è! Occorre scoprire dentro di sé tutte le grandi potenzialità: quello che si ha e si può fare”.
Candido Cannavò vi ha definito ‘invisibili’: come possono avere successo gli invisibili?
“L’invisibilità diventa visibile agli occhi di chi voglia guardare oltre. Candido Cannavò era uno di quelli e quindi ha dato voce a storie, la cui realtà ha portato fortuna, perché visti dalla sua prospettiva ha dato quel qualcosa che altre persone non ci credevano ed hanno iniziato a crederci”.
Ed il suo sorriso da dove deriva?
“Da dentro! Io dico che sono nata sorridendo, anche se forse non se ne sono accorti. E’ una cosa che ho dentro e mi viene spontanea e mi permette di avvicinarmi a più persone”.
Lei ha partecipato alle GMG ed ha ballato per papa Giovanni Paolo II e papa Francesco: quanto è stata importante la fede nella sua vita?
“La fede ha dato valore alla vita; mi fa credere che ogni cosa che io faccia abbia un valore più grande di quello che si vede. Mi dà ogni giorno, attraverso la danza e la pittura, l’opportunità di dire grazie per questo dono che ho avuto”.