L’altro consolatore
Il sublime precetto che Gesù dà ai suoi discepoli prima di ascendere al cielo è quello di rimanere nel suo amore. Per rimanere in quello stesso amore con cui Dio ci ha amato, bisogna morire a se stessi, rinunciare alla mentalità del mondo che è il peccato dell’auto-sufficienza, cioè, quell’impulso diabolico di volersi sostituire a Dio e piegare il suo volere per dare valore “sacro” ai gesti della propria assolutizzazione.
La nostra epoca sempre più secolarizzata sembrerebbe lontana, ma solo in apparenza, dalle così dette idolatrie; il dominio del mondo sulle coscienze, però, ha mutato forme di vivere e modi di pensare, ma in sostanza l’uomo è continuamente tentato di cedere ai falsi valori nei quali si condensano l’alienazione e la schizofrenia collettiva che portano alla distruzione di se stessi e del proprio simile. La superbia e la paura portano ad appoggiarsi nella triplice tentazione: il potere e il denaro, lo spettacolo con sceneggiatura di se stessi e delle proprie cose al fine di attirare l’attenzione e l’applauso degli sprovveduti e, infine, quella diabolica idolatria che antepone a Dio tutte le cose, sostituendolo.
Cristo è odiato perché la sua parola e le sue opere svelano la radicale insufficienza di questo mondo e la strutturale opposizione alla gloria di Dio e alla salvezza dell’uomo in Cristo mediante il suo Spirito. Con il radicale cambiamento di logica delle Beatitudini, Gesù capovolge la scala dei valori del mondo, ma proprio in questo capovolgimento è rivelata l’immagine della nuova umanità. Il cristiano che accoglie la logica delle Beatitudini è sempre il vero testimone e perciò l’autentico martire. Chi accoglie Cristo non è più del mondo e per questo subisce persecuzioni non solo da parte di chi nega Dio in nome dell’uomo, ma anche di chi nega l’uomo in nome di Dio. Quest’ultima è la subdola e diabolica tentazione dei falsi credenti che sono “del mondo”, nonostante la pubblica professione di fede.
Per Gesù, l’ascendere in cielo secondo la carne è stata condizione necessaria per l’inizio della missione secondo il suo Spirito che avrebbe parlato in tutte le lingue e avrebbe riempito la terra. Sparì, dunque, per rimanere: è il passaggio dal Gesù storico al Cristo della fede. Se la croce secondo la carne è morte e scomparsa dal mondo, la Croce secondo lo Spirito è elevazione e perenne presenza di Cristo nel mondo.
Nella Pentecoste, la missione dello Spirito Paràclito è di dimostrare la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato: di chi non crede in Dio e non accetta Cristo come inviato di Dio e come Dio stesso. Riguardo alla giustizia: perché il Risorto è salito al Padre. Riguardo al giudizio: perché il principe di questo mondo è già condannato (cf Gv 16,9-11). Siccome viviamo nell’attesa della venuta di Cristo nell’ultimo ritorno, lo Spirito trasforma la memoria in profezia, proiettando le cose ricordate verso il futuro. Il fluire del tempo che lega passato, presente e futuro non impedisce allo Spirito di attualizzare il passato nel presente e di anticipare il futuro in una dinamica protesa verso l’ultimo evento in cui risplenderà in eterno la verità intera.
L’evento Pentecoste non si esaurisce nel solo fenomeno prodigioso. Il mistero della Pentecoste è lo stesso della perenne presenza di Cristo nel mondo. Pentecoste è il giorno in cui iniziano l’apostolicità e la missionarietà della Chiesa. La Pentecoste è, infatti, l’epifania della Chiesa che, dallo Spirito, riceve il battesimo di fuoco e di ministero e, uscendo dal cenacolo, diventa a pieno titolo Chiesa di Cristo inviata nel mondo intero. Lo Spirito Santo, prendendo il ruolo di Cristo, che resta sempre Capo della sua Chiesa, agisce in essa e con essa, la anima, la fortifica, e la conduce al possesso della verità tutta intera.
Lo Spirito, inoltre, infonde i carismi e la potenza santificatrice. Questa trasformazione spirituale incide nello stile di vita dei discepoli: da gruppo spaurito e intimidito, essi diventano coraggiosi ed entusiasti, nessun ostacolo, infatti, impedirà o diminuirà il loro impegno apostolico. Diventati i mediatori dello Spirito, saranno nel tempo e nella storia i continuatori dell’opera redentrice di Cristo.
I doni dello Spirito serviranno per edificare l’unità della Chiesa. I carismi, infatti, non sono elargiti per essere utilizzati ad arbitrio dei singoli o per criteri utilitaristici, tanto meno per frantumare la comunione all’interno delle comunità credenti. San Paolo afferma che i carismi sono elargiti per l’utilità comune, cioè per edificare l’unica Chiesa di Cristo e per diffondere il suo Vangelo (cf 1Cor 12,7). Usarli per altri scopi, significa tradire lo Spirito che ha donato i preziosi doni di grazia. Pur essendo molti, tutti insieme formiamo un solo corpo: il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Una delle affermazioni più carismatiche del concilio Vaticano II la troviamo in Lumen Gentium, dove si dice che la Chiesa è il “sacramento del mondo”: «La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Introduzione, 1). Quella Chiesa uscita dal costato di Cristo e dal cuore della Pentecoste è, infatti, il segno efficace, cioè il sacramento, dell’unità e della comunione di tutta l’umanità. Si chiama satana chi distrugge questa comunione. La Chiesa della Pentecoste è la comunità d’amore degli uomini che vivono in comunione con Dio che è la Vita e il Vivente. Come sacramento, la Chiesa ha la missione di costruire la comunità dei fratelli in Cristo, come comunione tra gli uomini e il popolo di Dio.
Il ruolo dello Spirito Santo l’ha indicato Gesù stesso: Egli è il Consolatore, il Paràclito, il Conduttore, la Guida che orienta la Chiesa nel suo cammino verso la pienezza della verità santificandola con i molteplici doni e carismi. Grazie alla presenza dello Spirito, l’umanità si rinnova, viene santificata e divinizzata, consolidata nella giustizia, nella pace, nella libertà. Confortata nel dolore e nella persecuzione, la Chiesa viene ricolmata di speranza, di pazienza e di gioia. Senza lo Spirito, prevarrebbero le tenebre dell’ignoranza, la violenza dell’odio, della vendetta e ogni forma di corruzione e distruzione. Se la Chiesa fu edificata immediatamente all’interno della civiltà greca e romana, si deve all’opera dello Spirito Santo. In ogni luogo dove si recavano, gli Apostoli edificavano, fondavano Chiese e facevano numerosi discepoli. Nella Chiesa di Cristo, l’evento della Pentecoste è sempre costante ed efficace.
Pentecoste fa da perfetto contrappunto a Babele che è simbolo di un’umanità frantumata e dispersa su tutta la terra. L’incomprensione non è soltanto di tipo linguistico, è anche fattore d’inconciliabilità di pensiero, di religioni, di culture e d’interessi. Gli uomini, anche se credenti, divengono estranei gli uni gli altri perché dimenticano la comune origine dallo stesso Padre e la condivisione del medesimo destino. Nel tessuto ecclesiale, tutte le divisioni non sono soltanto mancanza d’amore, ma deformazione di fede e lacerazione dell’unico Corpo di Cristo. Per vocazione e per missione, la Chiesa è, dunque, «sacramento di unità» (SC 26) «segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1).
Quando nella vita della Chiesa viene a mancare la profezia dello Spirito, il gioco delle apparenze, che ne occultano la babele di confusione e il baccano del disorientamento, distrugge la vitalità interiore, la dinamica verso il futuro e la stessa credibilità per cui è stata inviata nel Giorno radioso e splendido della Pentecoste. Lo Spirito, però, non cessa mai di svolgere la sua azione silenziosa nel segreto delle coscienze, predisponendo gli animi ad accogliere l’annunzio della salvezza in Cristo morto e risorto. Soltanto lo Spirito saprà rendere fecondi i nostri sforzi, anche quando essi potrebbero apparire umanamente destinati al fallimento. Bisogna vivere nel coraggio della speranza perché l’effusione dello Spirito soccorre e scioglie sempre ogni residua babele.