Congo: appello dei vescovi per ‘essere artigiani della pace’
‘Essere artigiani di pace’: questo l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo (Cenco) in un messaggio diffuso per il nuovo anno, a firma di mons. Nicolas Djomo, presidente della Cenco, il quale ha sottolineato l’importanza di porre “la ricerca della pace e la testimonianza di una vita da artigiani di pace al cuore dell’azione pastorale diocesana”.
I vescovi della Cenco, nel testo pubblicato su Radio Vaticana, hanno elencato anche le violenze legate al contesto socio-politico ed elettorale, insieme alle tensioni causate da questioni economiche o dalla cattiva gestione dei terreni agricoli. E quindi hanno rilevato la mancanza di sanzioni esemplari, di una giustizia indipendente ed equa, di una vera autorità statale, evidenziando i rischi dell’esacerbarsi delle identità territoriali, delle violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini, della povertà, delle ingiustizie sociali:
“Come pastori condanniamo tutte queste forme di violenza e ci facciamo portavoci di tutte le vittime senza voce che reclamano giustizia… La pace si basa su quattro pilastri: giustizia, amore, verità e libertà: la Chiesa-famiglia di Dio, soprattutto in Africa, è chiamata a costruire una società pacifica in cui si vivano i veri valori di una vita familiare autentica”. Perciò in questa prospettiva, si legge ancora nel messaggio, “la Chiesa è chiamata a diventare per tutti un luogo di autentica riconciliazione, portando nel mondo il perdono di Cristo, Principe della pace”.
Allo stesso tempo, la Cenco ricorda che, oltre ad essere artigiani di pace, è necessario “intraprendere l’immenso compito di educare le comunità ed i bambini alla pace”, perché “la riconciliazione supera le crisi, restituisce la dignità alle persone ed apre la via allo sviluppo ed alla pace duratura tra tutti i popoli, a tutti i livelli”. Nel documento i vescovi della Cenco hanno elencato le violenze legate al contesto socio-politico ed elettorale, insieme alle tensioni causate da questioni economiche o dalla cattiva gestione dei terreni agricoli.
Non è la prima volta che la Chiesa locale interviene nelle situazioni del Paese; nel 2014 era già intervenuta ufficialmente altre due volte: la prima volta, nel mese di giugno, in una dichiarazione rilasciata a conclusione del plenum della Cenco, criticando l’eventuale modifica dell’articolo 220, che avrebbe consentito al capo di stato di candidarsi al terzo mandato nel 2016; la seconda volta, nel mese di settembre, durante la visita ad limina a Roma, hanno ribadito che l’articolo 220: “pone le basi per la stabilità e l’equilibrio del potere nelle istituzioni. Un cambiamento consentirebbe di fare marcia indietro sulla strada per la costruzione della nostra democrazia e potrebbe compromettere seriamente il futuro armonioso della nazione del paese…”.
Tale presa di posizione della Chiesa ha provocato una reazione del governo, che ha affermato che i vescovi non possono intromettersi nelle situazioni politiche del Paese. Infatti secondo una nota inviata all’Agenzia Fides dalla Rete Pace per il Congo, il governo ha annunciato l’organizzazione di un censimento generale della popolazione prima delle elezioni legislative e presidenziali del 2016.
Richard Muyej, ministro degli interni, ha affermato che è sulla base dei risultati di questo censimento che la Commissione Elettorale Indipendente (CENI) redigerà le liste degli adulti aventi diritto di voto e, in un Paese di 70.000.000 di abitanti e dotato di scarse vie di comunicazione, è poco probabile che tale operazione si concluda in meno di un anno. In questo caso, si assisterebbe ad un inevitabile slittamento delle operazioni elettorali del 2016.
Questo slittamento delle elezioni servirebbe alla maggioranza presidenziale come alibi per mantenere al potere il presidente Kabila, il cui secondo e ultimo mandato, secondo la Costituzione, termina il 19 dicembre 2016, suscitando la contrarietà dei Vescovi locali.
Nel frattempo nel Nord Kivu continua la strage di civili innocenti ad opera del gruppo di guerriglia di origine ugandese ADF-Nalu: ormai sono 88.500 gli sfollati nel territorio di Beni e di Walikale, nella provincia del Nord Kivu (est della Repubblica Democratica del Congo), in fuga dalle violenze delle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese ma attivo nell’est del Paese; mentre sono più di 500.000 le persone costrette a sfollare dai loro villaggi a causa delle violenze commesse dai milizia indipendentisti Bakata Katanga nella provincia del Katanga, nel sud della Repubblica Democratica del Congo.