Il Natale secondo don Lorenzo Milani

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In quest’anno, che si sta chiudendo, ricorrono i sessantesimi anniversari dell’arrivo di don Lorenzo Milani a Barbiana, il 6 dicembre 1954, e la pubblicazione del ‘Catechismo’. Ancora giovane, alle prime armi catechistiche, mi capitò, nella biblioteca dell’oratorio, tra le mani una copia. Lo lessi, ma non compresi, sia perché avevo 16 anni sia anche per quell’italiano un po’ antiquato.

A distanza comprendo l’immenso valore di questa pubblicazione che, prima del Concilio Vaticano II e molti anni prima di papa Francesco, segnalava i limiti di una narrazione del Vangelo non incarnata nella realtà. Il Catechismo di don Milani ha come sottotitolo ‘documenti e lezioni secondo uno schema storico’: alla fine degli Anni Quaranta quel metodo era innovativo rispetto al Catechismo vigente delle forme imparate a memoria e del ‘botta e risposta’.

Quel Catechismo seguiva linearmente cronologia e racconto dei Vangeli, collegando dottrina e storia, perciò don Milani, nella sua stesura, si serve degli studi degli autorevoli esegeti contemporanei, ma cerca autonomia pedagogica e narrativa per insegnare ai bambini delle colline fiorentine, che non potevano frequentare la scuola. Infatti il fraseggio è semplicissimo, ma altrettanto convincente. La novità più sorprendente di questo Catechismo è la maniera della stesura: le lezioni sono assemblate con le parole degli scolari delle elementari, testimonianze di come loro hanno assimilato il racconto.

Comunque la semplicità del Catechismo di don Milani non è semplicismo, ossia disimpegno superficiale relativamente alle tematiche, anche quelle di alta teologia e impegnative nella fede: equivaleva ad affermazione essenziale, dentro e oltre la quale occorreva via via cercare e spiegare e riflettere. Don Milani si impegnò con forza perché il metodo tradizionale di apprendimento mnemonico di formule ordinate sulla base delle varie parti del deposito dottrinale cattolico venisse sostituito da quello che egli poi chiamò schema cronologico: vale a dire una narrazione della storia sacra ordinata secondo l’effettiva successione temporale degli eventi.

L’obiettivo milaniano era giungere, dopo alcuni anni di sperimentazione da parte del clero della zona, alla pubblicazione di un nuovo testo di catechismo così impostato, come scrisse in un articolo del 20 giugno 1950, scritto per una rivista diretta agli insegnanti, ma mai pubblicato : “Siamo tutti preoccupati dell’ignoranza religiosa del nostro popolo. Eppure non si può dire che il nostro popolo non sia venuto a dottrina…

(Il catechismo) Lo vorremmo consistente in una Storia Sacra scientificamente fondata, illustrata con carte geografiche e fotografie e con la dottrina sintetizzata in fondo ai capitoli da poche essenziali formule mnemoniche. Non ci importerà che ogni capitolo abbia le sue formule né che queste formule siano disposte secondo un ordine logico, ma ci importerà solo che esse non giungano mai prima che sia stato ben stabilito il loro substrato storico. Solo così fondate sulla roccia abbiamo fiducia che potranno reggere l’urto col mondo d’oggi e di domani”.

In questo modo, per esempio nella narrazione della nascita di Gesù i ragazzi di don Lorenzo sono convinti dell’amore filiale di Gesù verso Maria, che ritengono simile a quello di un qualunque ragazzo. Quindi i ragazzi sapevano la collocazione dei luoghi: nell’insegnamento del Catechismo egli documentava l’importanza, oltre che della storia, della geografia, tanto che il volume del Catechismo è corredato da una originale carta topografica schizzata da lui stesso e di alcune domande.

Nel Catechismo don Lorenzo così descriveva ai suoi ragazzi la Natività, con una cartina geografica al termine della lezione e quattro domande per riflettere: “Il bambino di Maria non nacque a Nazaret. Maria col suo sposo Giuseppe era dovuta partire proprio nei giorni in cui aveva da nascere. Fu per via del censimento, un grande elenco che aveva voluto fare l’Imperatore di Roma. Ognuno doveva farsi segnare al paese della propria famiglia. Maria e Giuseppe erano della famiglia di David, sicché dovettero andare a Betlemme in Giudea. A Betlemme c’era un albergo come se ne trova ancora in Palestina. Due o tre stanzette per chi se le può pagare.

Gli altri stanno a dormire tutti insieme coi cammelli e i cavalli sotto le logge del cortile. Chiasso, disordine, parolacce: ‘non era posto per loro’, dice il vangelo. Avevano bisogno di silenzio e di raccoglimento quella notte. Meglio dormire in una grotta che avevano visto lungo la strada. Era una grotta dove i pastori riparavano le bestie quando era troppo brutto tempo per tenerle all’aperto.

Ma quella era una notte serena e la grotta era vuota. Fu lì che nacque il bimbo. Maria lo fasciò e lo mise sulla paglia della mangiatoia che era scavata lungo la parete. Era nato il Salvatore del mondo, ma il mondo non se ne accorse. Non lo seppe nessuno, altro che Maria , Giuseppe e dei poveri pastori. Erano a vegliar le pecore all’aperto poco lontano dalla grotta. Vennero perché li avvertì un Angelo.

Ma fu meglio che nessuno lo sapesse, tanto nessuno l’avrebbe creduto che quel bambino uguale a tanti altri bambini di questo mondo, fosse il Re del Cielo, il Cristo che gli ebrei aspettavano da tanto tempo. Noi invece lo sappiamo. E quella nascita ci pare tanto importante che anche gli anni li contiamo da quel giorno. Se vuoi sapere quanti anni fa successe guarda la data d’oggi: ‘Millenovecento…’.

Maria obbedì all’Angelo e mise nome al bambino Jesciù, perché Jesciù vuol dire appunto: Diosalva. Noi invece che Jesciù d’ora in poi lo chiameremo Gesù come s’usa in Italia”.

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