Il direttore del Centro Televisivo Vaticano racconta Papa Francesco

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“Tutto iniziò con un grande silenzio”. Un silenzio denso di preghiera, chiesta da quel vescovo “venuto dalla fine del mondo” ai fedeli che gremivano piazza S. Pietro. Cominciò così, “in modo assolutamente antitelevisivo”, un pontificato che già dopo poche ore raccoglieva un successo mediatico senza precedenti. Un silenzio che benediceva l’uomo arrivato dall’Argentina “non per applicare una propria idea di Chiesa, bensì per servire quell’unico grande progetto che Dio ha su di essa, obbedendo al suo Spirito”. Non ha dubbi mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano, intervenuto nei giorni scorsi in una parrocchia del Lago Maggiore: “Papa Francesco è così, come immerso nel cuore di Dio: non può pensare se non come pensa Dio.”

Si alza molto presto, alle quattro: “Dario – mi ha detto un giorno – se non prego al mattino, poi è difficilissimo.” E le prediche di S. Marta toccano il cuore dei fedeli proprio perché rendono viva quella Parola che prima di tutto ha messo radice nel suo. Quando parla inoltre, “parla anche il suo fare: siamo di fronte a un uomo le cui mani sono segnate dalla carità, i cui piedi sono consumati dai chilometri in mezzo alla povertà e il cui cuore è radicato nell’amore”.

E’ in quest’ottica allora che vanno interpretati i gesti, le telefonate, gli abbracci cui ci ha abituati in questo primo anno di pontificato. “E’ incredibile quanto si lasci consumare dalla folla, ma al tempo stesso sia molto attento alle singole persone.”

“Papa Francesco dice come la straordinarietà dell’esperienza di Dio si dia nella totale normalità”

Come la Domenica delle Palme dello scorso anno, quando “un nostro operatore cadde in piazza san Pietro, scivolando sulla pietra nel tentativo di risalire sulla papamobile. Francesco lo vide, e dopo tre quarti d’ora ci telefonò per sapere se si fosse fatto male.” Pochi giorni dopo invece, il Giovedì Santo, per la lavanda dei piedi a Casal del Marmo, il Papa diede ordine di disporre le sedie dei ragazzi direttamente per terra al posto che sulla pedana, in modo da potersi chinare completamente di fronte a loro. “Arrivati lì, come prima cosa Francesco volle andare nella cappella, per verificare che avessero soddisfatto la sua richiesta: ci teneva moltissimo.”

Mons. Viganò ricorda poi con particolare affetto il pranzo del 25 giugno, assieme anche ad un amico comune. “Francesco chiese al cameriere se ci fosse una bottiglia di spumante per festeggiare il compleanno del suo ospite: “Ma già stappata, mi raccomando!” Il cameriere ovviamente tornò con una bottiglia appena aperta. Il Papa allora, poco convinto: “Davvero era già stappata?”. Seppe tra l’altro in quell’occasione che di lì a poco avrei compiuto gli anni anch’io. Be’, quel giorno alle nove mi telefonò per gli auguri e mi fece recapitare due bottiglie di vino.”

Un’attenzione che il Papa però non riserva solo ai propri collaboratori, anzi mostra soprattutto nei confronti di chi gli chiede aiuto, e da qualsiasi parte del mondo, in modo semplice e umile. “Un pomeriggio mi recai a S. Marta. Francesco prese dalla scrivania un fazzoletto di carta e lo aprì: era tutto scritto. Mi raccontò che quella speciale lettera gli era stata scritta da una signora delle pulizie argentina. Lavorava in aereoporto, e aveva incrociato per caso un sacerdote diretto da lui. Era una mamma disperata per il figlio tossicodipendente. Il Papa non esitò a chiamarla: “Pensa – mi disse – il figlio era ancora a letto, lei già a lavorare, e allora l’ho sgridato.”

“Ecco – prosegue mons. Viganò – Papa Francesco è una persona che ci dice come la straordinarietà dell’esperienza di Dio si dia nella totale normalità”. Una normalità vissuta da lui con grande semplicità e sobrietà, rifuggendo la mondanità. “Non è uomo da concerto, film, eventi mondani. Deve impegnare tutto il proprio tempo per ciò che il Signore gli chiede prioritariamente per la sua Chiesa. Sa bene che deve fare i conti col tempo.” Sarà anche per questo forse che Papa Bergoglio “non ha il computer e, quando riceve mail, risponde a mano su un foglio poi copiato a tastiera dal segretario.”

 “Nessuna strategia di marketing né nuova governance dietro ai suoi gesti”

Nessuna strategia quindi. “Coloro che si occupano di brand pensano ci sia una consapevolezza strategico seduttiva per riposizionare la Chiesa, ma si sbagliano, perché Francesco è davvero così, un uomo così”. Non segue insomma alcun piano pensato a tavolino da un fantomatico “ufficio marketing”: il suo “segreto” è semplicemente essere testimone credibile di Cristo, immerso nel cuore di Dio. Si tratta allora forse di una nuova governance? Niente affatto. “Siamo semplicemente di fronte ad un vescovo che presiede nella carità e le cui azioni sono guidate dallo Spirito: come Papa Francesco stesso ricorda, l’ermeneutica, la logica per comprendere la Chiesa è di tipo spirituale.”

Un passaggio di testimone

Ecco allora la “novità”: ci troviamo in “un grande momento in cui abbiamo la possibilità di aprire il nostro cuore e convertirci per essere discepoli del Vangelo cogliendone l’essenzialità e liberandoci da ogni sovrastruttura. E’ come se Francesco avesse ereditato il testimone da Benedetto XVI e avesse quindi iniziato quel grande cammino di purificazione della Chiesa che lui stesso sentiva come indispensabile.”

“Anche ai nostri giorni, molte sono le persone pronte a stracciarsi le vesti per i peccati – naturalmente quelli degli altri – ma nessuno è disposto a convertire il proprio cuore”. Sono le parole durissime che Papa Ratzinger aveva pronunciato durante la Messa delle Ceneri di due anni fa. Un anno dopo, Papa Bergoglio iniziava così il proprio ministero papale, rivolgendosi ai cardinali: “Se noi non confessiamo Cristo crocifisso, la Chiesa è una ong pietosa.” Ecco allora la linea di continuità tra i due pontificati, il loro asse portante: “la denuncia della mondanità spirituale e il richiamo continuo alla conversione”, perchè essa, desiderata e ricercata prima di tutto per se stessi, è il primo passo verso la purificazione della Chiesa. Una sfida raccolta in primis dalla curia. “Quando ci sono dei cambiamenti, è normale ci sia qualche difficoltà, fisiologico. Ma mi pare che tutta la curia si sia messa dentro questo grande cammino”.

A sostenerlo, la preghiera di Benedetto XVI, che ha con Francesco “un rapporto spettacolare, vero, reale, confidente e servile che c’è da anni e si consolida ora grazie a momenti ufficiali e privati (ad esempio un paio di settimane fa si sono incontrati per il pranzo), telefonate… Perché Benedetto XVI non è una statua: è un’istituzione”.

“Misericordia non significa giustificare degli errori”

Infine, un appunto su quella che viene solitamente indicata come parola chiave del pontificato di Francesco: la misericordia. Non si tratta, secondo mons. Viganò, “dell’esito del pentimento, bensì della sua condizione”. La misericordia non è insomma il perdono ottenuto grazie al pentimento, bensì ciò che permette il pentimento stesso. “Il Papa allora non vuole giustificare degli errori. Al contrario, afferma semplicemente e con parole diverse ciò che già Giovanni XXIII ricordava: è indispensabile distinguere tra peccato e peccatore.”

“In quest’ottica, siamo allora chiamati da credenti a vivere la prossimità, a farci balsamo per le ferite dell’altro. Del resto Gesù ce lo dice espressamente: non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati.”

 

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