Il papa incontra il mondo della sofferenza: “Guardate a Cristo”. E ai medici: “Difendete la vita”

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Portare “un pò di conforto, rinnovarvi il mio sostegno ed invitarvi a rivolgervi a Cristo e a Maria”. E’ con questo spirito che Benedetto XVI ha voluto incontrare il vasto mondo dei malati camerunensi, e, tramite loro, tutti coloro che vivono “il peso della malattia e della sofferenza”. Scenario della visita il “Centre national de Rehabilitation des Hàndicapes” di Yaundèe, dove il papa ha salutato commosso tanti bambini e adulti colpiti da disagio fisico e mentale, tra gli spettacolari canti africani in sottofondo. Subito dopo la sosta in preghiera nella cappella, la cerimonia ufficiale nel vicino campo di basket.

“Da questo Centro, che porta il nome del Cardinale Paolo Emilio Léger, figlio del Canada, che venne tra voi per curare i corpi e le anime, io non dimentico coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati o nei dispensari, sono portatori di un handicap, sia motorio che mentale, né coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre”, dice Benedetto XVI.

“Penso – aggiunge – anche a tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente.”
Nessun riferimento alle polemiche sull’Aids dei giorni scorsi, ma un invito a guardare a Cristo, “colui che vuole il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci – ha esortato il papa – nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma”.

Citando il brano biblico di Giobbe, il papa ha parlato dello stato di sconforto in cui versano non solo i malati, ma anche coloro che vivono accanto.
“Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del
dolore”, ha detto il papa. “Gesù stesso ha gridato poco prima di morire – ha aggiunto –  Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza
di Dio nella loro esistenza”
E’ qui, ha ricordato il papa, che deve prendere corpo il vero significato dell’essere cristiani. “In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi.”
Da qui l’invito a non abbandonare i fratelli che soffrono, ma a prendere la “croce”, come l’“africano, Simone di Cirene”. Così come il cireneo, che capì il suo gesto solo dopo la resurrezione di Cristo, così ciascun cristiano è invitato a comprendere nel “cuore della disperazione, della rivolta” che “il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere che egli ci è accanto”, perché “solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove”.
Come hanno fatto tanti “testimoni” di vita cristiana, il papa invita a guardare a Cristo, che “risponde alla nostra invocazione e alla nostra preghiera come Egli vuole e quando vuole, per il nostro bene e non secondo i nostri desideri. Sta a noi discernere – aggiunge – la sua risposta e accogliere i doni che Egli ci offre come una grazia. Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni.”

Non poteva mancare, ancora una volta nel giorno della sua festa liturgica, l’esempio di San Giuseppe, suggerito come “esempio di preghiera”, come testimoniato persino da Santa Teresa d’Avila, che secondo il papa, vedeva nello sposo di Maria “un intercessore per la salute dell’anima, un maestro di orazione, di preghiera.”

In conclusione, prima di salutare moltissimi altri malati che attendevano una sua parola, il papa ha ringraziato il “personale ospedaliero” e “tutti coloro che lavorano nel mondo della sanità”, protagonisti di “un atto di carità e di amore che Dio riconosce”, soprattutto quando compiuto nel rispetto della vita umana.
“A voi, ricercatori e medici, – dice il papa – spetta mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore; spetta a voi in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio.”

Uno sprone e un ringraziamento che si estende a quanti operano perché ogni malato “non si senta mai solo”. “Incoraggio i sacerdoti e i visitatori degli ammalati – ha detto il papa – a impegnarsi con la loro presenza attiva ed amichevole nella pastorale sanitaria negli ospedali o per assicurare una presenza ecclesiale a domicilio, per il conforto e il sostegno spirituale dei malati. Secondo la sua promessa, Dio vi darà il giusto salario e vi ricompenserà in cielo”.

foto: Reuters

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