Non dimentichiamo i siriani! La voce di AVSI al Parlamento Europeo

Martedì 24 giugno, AVSI ha partecipato alla tavola rotonda ‘Non dimentichiamo i siriani’, per discutere dei bisogni concreti e delle prospettive future per la Siria, promossa dall’europarlamentare e vice-presidente del gruppo del Partito Popolare Europeo Massimiliano Salini, con la partecipazione di Dubravka Šuica, Commissaria per il Mediterraneo.
Mentre l’attenzione internazionale si concentra sulla transizione politica in Siria, il popolo siriano chiede aiuto, oggi più che mai. Questo è un momento cruciale per il Paese e finalmente gli interventi emergenziali ancora necessari possono integrarsi e man mano cedere il passo ad azioni di ricostruzione.
La decisione dell’Unione Europea di non rinnovare le sanzioni in settori chiave dell’economia siriana, la risoluzione del Parlamento Europeo che sollecita un sostegno dell’UE per una transizione e una ricostruzione giuste, insieme alla IX Conferenza di Bruxelles ‘Al fianco della Siria: soddisfare i bisogni per una transizione di successo’, testimoniano un rinnovato impegno europeo nei confronti della Siria, inserito nel più ampio quadro del Nuovo Patto per il Mediterraneo.
In questo scenario, le voci siriane giocano un ruolo fondamentale nella messa a fuoco dei bisogni reali presenti ora e nella promozione di un dialogo tra diversi attori, a partire da esperienze concrete. La discussione si è concentrata sulle condizioni indispensabili per costruire il futuro della Siria: sicurezza, pace, accesso a educazione e salute per le generazioni cresciute in guerra, per gli sfollati interni e per i rifugiati che stanno tornando a casa; l’impatto delle sanzioni; la trasformazione dell’aiuto umanitario in sviluppo sostenibile; la partecipazione attiva della società civile e su come l’Unione Europea può agire per concorrere a rendere tutto questo possibile.
I lavori sono stati aperti da Dubravka Šuica, Commissaria per il Mediterraneo: “Don’t forget Syrians. Non potrei essere più d’accordo con il titolo scelto. Perché la Siria è un paese è molto importante, a maggior ragione in questo momento così complesso in Medio Oriente. L’Unione europea può giocare un ruolo chiave nell’assicurare la ricostruzione e la ripartenza dopo la guerra, che tenga conto delle tempistiche del nuovo governo, delle esigenze dei siriani e che includa tutte minoranze”.
Mentre il segretario generale dell’AVSI, Giampaolo Silvestri, ha sottolineato i bisogni dei siriani: “La situazione umanitaria è in costante peggioramento e su una popolazione totale di 23.700.000 persone, 16.500.000 necessitano aiuto umanitario. I siriani hanno bisogno in primis di cibo, educazione, cure sanitarie, lavoro, sicurezza. Sono necessari interventi integrati per riportare a scuola i bambini e ragazzi e per garantire loro insegnanti preparati e con salari giusti; i siriani hanno fame, hanno bisogno di cure, hanno bisogno di opportunità di lavoro e quindi di formazione al lavoro, e di attività generatrici di reddito. I siriani hanno bisogno di poter muoversi, di infrastrutture e di sicurezza che permetta anche a chi si è rifugiato all’estero di ritornare in sicurezza”.
Quindi ha chiesto cosa può fare l’Europa?
“Mentre le condizioni economiche del paese vanno peggiorando, ci sono due dati positivi ora da cui possiamo partire: il mancato rinnovo delle sanzioni, da parte dalle principali istituzioni internazionali, tra cui l’Unione Europea; la proposta della Commissaria Suica di stanziare 175 milioni di euro per sostenere la ripresa sociale ed economica della Siria. Sono due condizioni fondamentali per avviare la ricostruzione e lo sviluppo del Paese dopo anni di emergenza, è un momento favorevole per ribaltare le attuali condizioni; portare a una stabilizzazione del Paese; consentire l’emergere di uno Stato unito e responsabile; favorire il ritorno dei siriani fuggiti all’estero; contenere la continua fuga all’estero di chi cerca mezzi di sostentamento e sicurezza”.
Ed ha chiesto maggior attenzione per una ricostruzione del Paese: “Ma occorre vigilare, l’Europa può e deve farlo, per governare bene questi fermenti ed evitare un rischio che si mostra già: il rischio che la ricostruzione sia pensata e finanziata come ricostruzione di infrastrutture fisiche, economiche, finanziarie, che sia un grande giro di investimenti e di affari, e dimentichi o metta in secondo piano la ricostruzione del capitale più importante, il capitale umano.
Questa ricostruzione ‘materiale’ è necessaria, fondamentale, ma deve essere accompagnata e integrata alla ricostruzione del tessuto sociale: vanno rimesse al centro le persone con i loro bisogni autentici e integrali, soprattutto il bisogno di un presente e un futuro di pace”.
Inoltre ha citato una testimonianza particolare: “Vorrei condividere una testimonianza particolare. Nei giorni scorsi, nel sud del Libano, dove operiamo, abbiamo avuto modo di incontrare alcuni rifugiati siriani a Marj el Khok, area nei pressi del confine con Israele. Ebbene ci hanno raccontato che in molti dopo l’8 dicembre scorso, dopo la caduta di Assad, sono rientrati in Siria, ma poi sono ritornati in Libano: hanno preferito tornare a vivere su di una collina, vicino al confine israeliano, in una tenda, con acqua e luce incerta e guadagnando (quando un lavoro c’è) 1,5 usd l’ora le donne e 2,5 usd gli uomini. Una testimonianza che ci costringe a fare i conti con la realtà: bisogna dare ascolto alle persone, non si possono fare progetti a prescindere da loro. Bruxelles lo può fare”.
Ed ha concluso l’intervento con alcune raccomandazioni: “L’esperienza di questi anni ci ha insegnato che occorre partire da ciò che funziona, da progetti pilota e di successo, per avere impatto nella realtà. E qui vorrei evidenziare alcuni ambiti precisi ed esperienze connesse in cui ogni euro investito potrà divenire efficace:
Educazione. I nostri progetti mostrano che occorre agire su riabilitazione fisica delle strutture scolastiche, e insieme su formazione degli insegnanti e coinvolgimento delle famiglie, insieme istituzioni e osc. Partiamo da quanto funziona e allarghiamo il campo di azione: occorre proseguire con l’educazione formale, stabilire un dialogo sul rinnovamento dei curriculum con il governo.
Salute. scaliamo il modello “Ospedali aperti”, un progetto che ha permesso di formare personale e avere attrezzature adeguate in tre ospedali: l’Ospedale Italiano e quello Francese di Damasco e l’Ospedale St. Louis di Aleppo e 6 Centri Sanitari, chiamati Dispensari della speranza, nelle località di Kassab, Dwela, Kashkoul, Safita, Lattakya e Souedia. Questo è un esempio concreto di collaborazione tra strutture private che, adeguatamente sostenute, possono continuare a rispondere con servizi sanitari a un’amplissima domanda di aiuto e al contempo favorire una ricucitura del tessuto sociale siriano.
Lavoro. un progetto pilota ad Aleppo con un’importante fondazione italiana è stato pensato per riabilitare centri formativi per i giovani e procedere con formazione professionale volta all’inserimento nel mercato del lavoro. Questo attraverso una collaborazione tra imprese locali e internazionali, europee che possano trasferire il loro know how, rappresentando anche un pre-posizionamento strategico per il futuro delle imprese nel Paese e nella regione. Favorire l’autoimprenditorialità è la chiave per offrire ai giovani alternative concrete alla partenza o alla radicalizzazione.
Agricoltura. investiamo in agricoltura sostenibile per garantire sicurezza alimentare e autonomia economica alle famiglie favorendo il protagonismo dei beneficiari, lavorando sulla smart agriculture nelle aree rurali, che non possono essere lasciate indietro.
Tutela delle minoranze. Il tessuto sociale siriano è complesso, ma continuare a sostenere le minoranze è essenziale per verificare la loro accettazione nella società siriana che si trova in una nuova fase politica.
Approccio regionale. Nei paesi limitrofi in cui vivono siriani come la Giordania, il Libano e l’Iraq in cui lavoriamo, percepiamo la preoccupazione di un sempre più difficile rapporto tra ospiti e ospitanti. Si scatena una sorta di “guerra dei poveri”. I ritorni possono avvenire solo se creiamo condizioni di vivibilità, sicurezza, altrimenti come l’esempio di Marj el Khok, non rientreranno.
Approccio integrato e partecipativo. Dobbiamo coinvolgere la società civile siriana, le comunità locali, la diaspora e tutti gli attori della cooperazione internazionale. Le istituzioni devono farsi garanti di processi decisionali più veloci e meno burocratici, in questa fase è fondamentale sbloccare fondi per le organizzazioni locali, continuare a lavorare sulla revisione delle sanzioni, per sbloccare i settori chiave della ripresa e facilitare il ritorno volontario e sicuro dei rifugiati”.
(Foto: AVSI)