Leadership morale e comunicazione nel nome di Joaquín Navarro-Valls

Oggi che ricorre l’ottavo anniversario della morte di Joaquín Navarro-Valls (1936-2017), lo storico portavoce di san Giovanni Paolo II e direttore della Sala stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006, vale la pena soffermarsi sulla “lezione” a noi lasciata dalla vita e dagli scritti dell’indimenticato medico e giornalista spagnolo. Lo facciamo dopo pochi giorni da cui è assegnato il terzo “Premio internazionale per la leadership e la benevolenza Joaquín Navarro-Valls” (https://www.biomedicalfoundation.org/iii-edizione-del-premio-internazionale-per-la-leadership-e-la-benevolenza-joaquin-navarro-valls/), un riconoscimento promosso dall’ente no-profit Biomedical University Foundation, che lo stesso Navarro-Valls ha contribuito a istituire nel 2015 nell’ambito dell’Università e della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.
Già lo scopo del Premio, così come descritto dagli organizzatori, ci dice molto sul lascito culturale e direi spirituale di Navarro-Valls, la cui vita personale e professionale è stata sicuramente volta a «promuovere modelli che contribuiscono al miglioramento della società attraverso la solidarietà e la benevolenza per un mondo più responsabile, sostenibile e inclusivo». Certo, in questa serie di aggettivi relativi al mondo non avrebbe sfigurato la parola “vero”, in quanto contribuire, anche attraverso l’informazione, a rendere il mondo più vero (quindi più umano) avrebbe assommato e sintetizzato tutta la vocazione temporale cristiana.
Ma come non riconoscere l’assoluto valore umano e materiale dell’iniziativa intitolata al Portavoz, ovvero la creazione di borse di studio per migliaia di ragazzi che abitano in Paesi “difficili” come ad esempio la Siria, il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo, lo Yemen, la Colombia e l’India?
Ritornando ora specificamente alla persona di Navarro-Valls, spagnolo di Cartagena e membro numerario dell’Opus Dei, egli è ricordato soprattutto come “El Portavoz” per antonomasia, in quanto ha servito per tutta la vita con devozione e dedizione quel Papa del quale ha condiviso i modi ed i tempi della comunicazione istituzionale nonché l’ideale di una leadership morale unita all’umanità e alla benevolenza.
Non a caso Alessandro Gisotti, l’attuale vicedirettore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede che nel 2019 ha promosso l’intitolazione della sala riservata ai giornalisti della Sala Stampa vaticana allo stesso Navarro-Valls, ne ha sottolineato «l’importanza della cordialità con tutti i colleghi, con una distinzione di ruolo che non diventa mai distanza» (cit. in Michele Raviart, Leadership e benevolenza alla scuola di Navarro-Valls, L’Osservatore Romano, 9 luglio 2024, p. 7). Ecco, quindi, quello che definirei il suo primo lascito…
Poi Navarro-Valls è stato sicuramente una figura centrale del lungo pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005). In questo senso direi che il suo servizio alla Chiesa e al mondo è stato particolarmente fecondo in quanto preparato e accompagnato, oltre che dalla preghiera e dalla formazione professionale, anche dallo studio e dalla pratica in altri settori apparentemente diversi dal giornalismo, ovvero la medicina, la psichiatria e lo studio filosofico. In questo modo si delinea quello che considererei il secondo lascito del grande giornalista e medico spagnolo, ovvero la verità e la fecondità (anche nel mondo della comunicazione) dell’unità del sapere e del lavoro interdisciplinare, criterio enunciato da ultimo da Papa Francesco al n. 4 del Proemio della costituzione apostolica Veritatis gaudium (2018) circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche.
Alla cordialità e poliedricità nel modo di affrontare soggetti, sfide e contenuti della comunicazione, aggiungerei come terzo lascito quello della discrezione. Ogni volta che ha potuto Navarro-Valls è sempre rimato un passo indietro, perché l’ascolto e la comprensione siano sempre riservate alla parola, alla figura e all’esempio del Papa. Questo stile costantemente osservato come direttore della Sala stampa della Santa Sede è emerso dal libro di memorie personali I miei anni con Giovanni Paolo II. Note personali, pubblicato per volere dell’autore stesso dopo la sua scomparsa avvenuta il 5 luglio 2017. Uno dei curatori del volume, Diego Contreras, ha rivelato a questo proposito che Navarro-Valls rifiutò alla fine della sua vita un contratto da un milione di dollari per pubblicare lui vivente le sue memorie, in quanto credeva che la pubblicazione postuma avrebbe focalizzato l’attenzione sulla storia del Papa e non su sé stesso.
Ecco perché per capire davvero uomini come Papa Wojtyła e suoi stretti collaboratori come il ‘suo’ direttore della Sala stampa bisogna partire dall’esperienza di fede e dalla conseguente pratica delle virtù personali, cominciando appunto dall’umiltà. Mentre alcuni collaboratori della comunicazione della Santa Sede, anche involontariamente e come accade del resto nella maggior parte degli studi mediatici non-ecclesiastici, improntano il loro lavoro ponendo sé stessi al centro dell’attenzione, uomini come Navarro-Valls hanno perseguito l’obiettivo opposto, cioè quello di cercare di stare il più possibile ‘dietro le quinte’ per far sì che solo il messaggio del Papa e della Chiesa fossero al centro dell’attenzione.
Ecco, da giornalisti e fedeli vorremmo che questo ‘modello’ comunicativo, sempre valido nonostante l’evoluzione delle tecnologie e dei linguaggi, ritornasse al centro della comunicazione vaticana. Prendendo esempio dalla vita e dagli scritti di un grande comunicatore del nostro tempo.
Per fare solo alcuni esempi, già negli scorsi decenni, Navarro-Valls si lamentava della crescente burocratizzazione nella Santa Sede che non consentiva a giornalisti ed operatori di informare come si vorrebbe e dovrebbe. Oppure l’eccesso di informazione e la proposta di informazione ‘non giornalistica’ (quindi focalizzata troppo su aspetti personali o sentimentalistici della figura del Papa) che non aiutano certo i fruitori distratti della comunicazione a cogliere il cuore del messaggio della Fede. E qui ritorna il discorso della benevolenza che, ripeteva il giornalista e medico spagnolo, «fa allontanare l’essere umano dall’autoreferenzialità dei propri istinti».