Don Matteo Cella: dalla pandemia si esce uniti

Nei giorni scorsi a Caravaggio i vescovi delle diocesi lombarde hanno condiviso una proposta per ricordare le vittime della pandemia di coronavirus esplosa 5 anni fa, che in questa regione manifestò gli effetti più drammatici: “Troppo profonde sono le ferite, troppo diffuse sono le lacrime che la pandemia del Covid ha lasciato nelle nostre terre, troppo deprimenti sono le memorie… A cinque anni dalla fase più acuta della pandemia, continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie e le persone ferite dalla morte in quei mesi. Preghiamo e invitiamo a pregare perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia: la solidarietà necessaria, la vigilanza attenta, la speranza invincibile che nasce della fede nel Risorto”.
Infatti tra il 21 e il 25 febbraio 2020 diventa evidente l’esistenza del focolaio di Alzano-Nembro e da queste giornate drammatiche, a distanza di anni, don Matteo Cella, che è stato sacerdote dell’oratorio di Nembro dal 2011 al 2022, e Claudio Cancelli, che è stato sindaco di quel comune dal 2012 al 2022, hanno scritto ‘Carovane. La tempesta del Covid ed il futuro di una comunità’, dedicato alla comunità di Nembro: i protagonisti dei racconti dei due autori sono le donne e gli uomini di questa comunità che, nel periodo più buio della sua storia durante la pandemia, si sono attivati in modo generoso e corale, facendosi carico sia dei bisogni concreti e materiali sia di quelli di vicinanza e di cura delle persone nelle loro più intime emozioni:
“Ciò ha permesso di attraversare la tempesta senza perdere la traccia e il senso della nostra esistenza di fronte al dramma che si stava vivendo. E così è stato possibile legare l’eredità delle vite di chi ci ha lasciato con il progetto del nostro futuro comune: di generazione in generazione… Ciò che è avvenuto non deve andare perduto: va narrato e diventare tema di riflessione.
Perché è stata possibile questa risposta? Come si può affrontare il lutto e come riuscire ad essere buoni eredi? Come conciliare la memoria del nostro passato con i nostri progetti futuri? Sapremo essere migliori o tutto ritornerà come prima? Ciò che di ‘buono’ abbiamo scoperto in questa drammatica esperienza saremo in grado di renderlo vivo ogni giorno e non solo nel tempo pandemico? Sono solo alcune delle domande a cui viene cercata una provvisoria risposta”.
Il libro è composto di due parti, ognuna suddivisa in sette capitoli. La prima parte ha per titolo ‘I Racconti’ ed è una narrazione a due voci di ciò che la comunità ha provato e vissuto, dai due punti di vista del sindaco e del sacerdote. I protagonisti dei racconti sono le persone che hanno segnato l’esperienza di quei mesi. La seconda parte ha per titolo ‘Le trame’ ed è una riflessione comune orientata al futuro sul significato e il valore della risposta della comunità nella tempesta. Nasce da un dialogo tra il laico e il religioso, tra il sindaco e il sacerdote, che riscoprono intrecci e sensibilità oltre i ruoli e finiscono per unire le loro voci in una condivisione di esperienze e valori profondi che trasforma entrambi.
A don Matteo Cella chiediamo di spiegarci il titolo: “Il titolo ‘Carovane’ fa immaginare un gruppo unito, diversificato al suo interno ma coeso, cha affronta una tempesta, una prova difficile. Solo insieme agli altri, riconoscendo il cammino di chi precede e di chi segue, si può sopravvivere. ‘Il futuro è segnato dalla presenza di un Altro che ci sta di fronte, ci interroga, ci offre delle possibilità e ci arricchisce rispondendo alle nostre attese’, scriviamo nell’ultimo capitolo del libro. La convinzione che l’esperienza del Covid a Nembro ci ha consegnato è che si può uscire dell’emergenza e immaginare un futuro buono solo insieme e uniti.
C’è una domanda che non possiamo tacere: dopo la pandemia siamo diversi, migliori di come eravamo prima? Se le persone hanno intuito il valore della cura e del rispetto per la vita e l’hanno fatto diventare una scelta convinta allora possiamo rispondere di si. Per molti non sarà così: ecco perché abbiamo deciso di scrivere questo libro, per non sprecare l’occasione di cambiamento. Tanta fatica, tanto dolore non possono essere passati invano”.
Quanto è importante una comunità per affrontare la tempesta?
“Il termine comunità spesso è usato senza un grande significato, sembra una parola desueta oppure vaga. Le persone sembrano preferire considerarsi come individui a sé stanti. Invece la pandemia ci ha insegnato che non può essere così: che noi viviamo insieme ad altri e che condizioniamo le esistenze delle altre persone. Possiamo farlo negativamente oppure possiamo diventare risorsa gli uni per gli altri. L’esperienza di Nembro è stata quella di una vera comunità nella quale ognuno si è chiesto come poter contribuire al bene comune. E le ‘istituzioni’ hanno giocato il ruolo di coordinamento per le tante risorse che si sono attivate. E’ stata un’esperienza virtuosa che il giornalista Mario Calabresi nella prefazione a Carovane definisce con queste parole: Una comunità è più della somma delle sue parti”.
Come ha ‘reagito’ Nembro davanti alla ‘tempesta’ del Covid?
“Nelle settimane più dure della pandemia del 2020, dopo un iniziale stato di confusione collettiva dovuto anche alla mancanza di risposte chiare da parte delle istituzioni, la comunità ha cercato di reagire, ha dato il meglio di sé. Si è attivata una rete di volontari che hanno garantito tutto ciò che mancava: assistenza alle persone sole, un centralino telefonico per fornire ogni tipo di informazione, sostegno ai ragazzi a casa senza la scuola, aiuto ai malati o alle persone fragili non più raggiunte dai servizi sanitari. Anche i più giovani hanno deciso di fare la loro parte: tramite l’oratorio si sono resi protagonisti di gesti di altruismo e di servizio come la trasmissione della liturgia tramite i social, la ripulitura del cimitero, la diffusione delle informazioni e la distribuzione di materiali utili casa per casa, lo spazio compiti da remoto e molto altro ancora”.
In quale modo è possibile una rielaborazione del ricordo?
“Oggi a distanza di quattro anni il rischio è di dimenticare il dramma del Covid oppure di relegarlo alla dimensione del ricordo spiacevole. Invece quell’esperienza va rielaborata. Cosa abbiamo capito di noi e degli altri in quella circostanza? Che cosa ci ha tenuti uniti? Che cosa è mancato? Sono tutti interrogativi che devono trovare una risposta. Il covid ha sollevato molte questioni fondamentali che vanno chiarite per poter decidere che tipo di società vogliamo costruire per il domani: sanità, istruzione, cittadinanza attiva devono avere un ruolo centrale nel dibattito pubblico. Il libro che abbiamo scritto è l’invito a riflettere su come allenare il senso di una comune appartenenza per non farci trovare impreparati di fronte alle prossime sfide”.
Come trasformare la memoria in conoscenza ‘utile’?
“Alcune tra le persone che sono morte a causa del Covid erano pilastri della comunità. Senza di loro chi guiderà il volontariato o farà alcuni servizi? La domanda non è utilitarista: il tempo della crisi può diventare l’occasione di un rilancio. Capire la preziosità di chi è mancato può spronare ad assumere in maniera creativa quei ruoli: una memoria attiva che rigenera il tessuto sociale e consegna ai giovani uno spazio inedito di protagonismo”.
I proventi del libro sono stati destinati ad un’associazione giovanile: come hanno reagito i giovani di fronte alla pandemia?
“Dopo la pandemia a Nembro sono nate o si sono rafforzate molte iniziative promosse dai più giovani. L’associazione ‘Migliori di Così’ a cui sono destinati i proventi della vendita del libro è una di queste: un gruppo di ragazzi e ragazze che ha dato vita a un festival culturale estivo per riflettere sulla rinascita ovvero su come generare futuro. Chi si è sentito utile per la collettività ha preso coraggio e si è fatto avanti: questo dinamismo è prezioso, va alimentato”.
La pandemia ha fatto sperimentare la solitudine e la paura: cosa è necessario per una comunità, che vuole ‘rinnovarsi’?
“E’ fondamentale non solo ricordare ma anche rielaborare, far diventare quella che è stata un’esperienza per tanti aspetti traumatizzante, per altri molto nobile per tutto quel che di bene si è speso, far diventare questa esperienza una vera e propria sapienza. C’è bisogno di fare memoria, che sappia portare a razionalità le grandi sfide, anche le grandi risorse messe in atto. C’è bisogno di capire quali sono i processi che hanno reso una comunità unita, capace di aiutare gli altri, capace di generare iniziative, di attrarre energie anche in un momento in cui tutti erano intimoriti e avevano la preoccupazione di capire che cosa fosse giusto, opportuno e possibile”.
(Tratto da Aci Stampa)