Papa Francesco ai Gesuiti: seguite l’esempio di p. Matteo Ricci
Nei giorni scorsi La Civiltà Cattolica ha pubblicato l’incontro di papa Francesco con i gesuiti avvenuto durante il viaggio apostolico in Lussemburgo ed in Belgio alla presenza di circa 150 gesuiti, residenti in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, tra cui il provinciale della Provincia dell’Europa occidentale francofona, p. Thierry Dobbelstein, ed il superiore della Regione indipendente dei Paesi Bassi, p. Marc Desmet, alla presenza anche del card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale:
“Buonasera a tutti! Sono stato qui in questo luogo altre due volte in passato e mi fa piacere tornarvi. Devo dirvi la verità: una volta qui ho commesso un furto. Andavo a celebrare la Messa, e ho visto un plico di fogli che mi ha incuriosito. Erano dispense di lezioni sul libro di Giobbe. Quell’anno in Argentina dovevo fare lezioni proprio su Giobbe. Ho sfogliato le pagine e mi hanno colpito. Alla fine, quegli appunti me li sono presi!”
Molte le domande, ma soprattutto la prima si è concentrata sulla missione dei Gesuiti nel Nord Europa: “Guarda, non conosco bene la vostra situazione, e quindi non so dire quale debba essere la vostra missione in questo contesto specifico. Ma posso dirti una cosa: il gesuita non deve spaventarsi di nulla. E’ un uomo in tensione tra due forme di coraggio: coraggio di cercare Dio nella preghiera e coraggio di andare alle frontiere.
Questa è davvero la ‘contemplatività’ nell’azione. Credo che sia proprio questa la missione principale dei gesuiti: immergersi nei problemi del mondo e lottare con Dio nella preghiera. C’è una bella allocuzione di san Paolo VI ai gesuiti all’inizio della Congregazione Generale XXXII: nei crocevia delle situazioni complesse c’è sempre un gesuita, diceva. Quella allocuzione è un capolavoro e dice chiaramente ciò che la Chiesa vuole dalla Compagnia. Vi chiedo di leggere quel testo. Lì troverete la vostra missione”.
Eppoi sull’inculturazione ha citato l’esempio di p. Matteo Ricci: “Il limite dell’inculturazione lo troviamo studiando gli inizi della Compagnia. I vostri maestri siano p. Matteo Ricci, p. Roberto De Nobili, e gli altri grandi missionari che pure hanno spaventato alcuni nella Chiesa per la loro azione coraggiosa. Questi nostri maestri hanno tracciato il limite dell’inculturazione. Inculturazione della fede ed evangelizzazione della cultura vanno sempre insieme.
Dunque, qual è il limite? Non c’è un limite fisso! Lo si deve cercare nel discernimento. E si discerne pregando. Mi colpisce, e lo ripeto sempre: nel suo ultimo discorso p. Arrupe diceva di lavorare sulle frontiere e insieme di non dimenticare mai la preghiera. E la preghiera del gesuita si sviluppa nelle situazioni limite, difficili. Questa è la cosa bella della nostra spiritualità: rischiare”.
Eppoi ha risposto ad una domanda sul ruolo della donna nella Chiesa: “Ripeto spesso che la Chiesa è donna. Vedo la donna nel cammino dei carismi, e non voglio limitare il discorso del ruolo della donna nella Chiesa al tema del ministero. Poi, in generale, maschilismo e femminismo sono logiche di «mercato». In questo tempo sto cercando sempre di più di far entrare le donne in Vaticano con ruoli di responsabilità sempre più alta. E le cose stanno cambiando: lo si vede e lo si sente. La vicegovernatrice dello Stato è una donna.
Poi il Dicastero per lo sviluppo umano integrale ha anch’esso come vice una donna. Nell’équipe per la nomina dei vescovi ci sono tre donne, e da quando ci sono loro che selezionano i candidati, le cose vanno molto meglio: sono acute nei loro giudizi. Nel Dicastero per i religiosi la vice è una donna. La vice del Dicastero per l’economia è una donna. Le donne, insomma, entrano in Vaticano con ruoli di alta responsabilità: proseguiremo su questa strada. Le cose funzionano meglio di prima”.
E non poteva mancare una domanda sull’apostolato culturale: “L’apostolato intellettuale è importante ed è parte della nostra vocazione di gesuiti, che devono essere presenti nel mondo accademico, nella ricerca e anche nella comunicazione. Sia chiaro: quando le Congregazioni Generali della Compagnia di Gesù dicono di inserirsi nel popolo e nella storia non significa ‘fare il carnevale’, ma inserirsi nei contesti anche più istituzionali, vorrei dire, con qualche ‘rigidità’, nel buon senso della parola. Non bisogna cercare sempre l’informalità”.
Infine sulle migrazioni: “Il problema della migrazione deve essere affrontato e studiato bene, e questo è vostro compito. Il migrante deve essere ricevuto, accompagnato, promosso e integrato. Non deve mancare nessuna di queste quattro azioni, altrimenti è un problema serio. Un migrante che non è integrato finisce male, ma finisce male anche la società nella quale si ritrova. Pensate, ad esempio, a quel che è accaduto a Zaventem, qui in Belgio: quella tragedia è anche frutto di una mancata integrazione.
E questo lo dice la Bibbia: bisogna prendersi cura della vedova, del povero e dello straniero. La Chiesa deve prendere sul serio il lavoro con i migranti. Io conosco il lavoro di «Open Arms», ad esempio. Nel 2013 sono stato a Lampedusa per fare luce sul dramma migratorio. Ma aggiungo una cosa che mi sta a cuore e che sto ripetendo spesso: l’Europa non ha più figli, sta invecchiando. Ha bisogno dei migranti perché si rinnovi la vita. E’ diventata ormai una questione di sopravvivenza”.
(Foto: Civiltà Cattolica)