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I Missionari Scalabriniani al fianco della Conferenza episcopale USA: No alle deportazioni

La Direzione Generale dei Missionari di San Carlo Borromeo – Scalabriniani esprime piena solidarietà alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti e al suo presidente, Mons. Timothy Broglio, per la loro chiara posizione in difesa della dignità e dei diritti dei migranti.
In una lettera indirizzata a Mons. Broglio, Padre Leonir Chiarello, Superiore Generale della Congregazione, insieme a Padre Horecio Carlos Anklan, Superiore Provinciale della Provincia di San Carlo Borromeo e a Padre Giovanni Battista Bizzotto, Superiore Provinciale della Provincia di San Giovanni Battista, hanno manifestato forte preoccupazione per le recenti misure restrittive, che colpiscono chi cerca rifugio e nuove opportunità di vita.
“Abbiamo seguito con profonda apprensione la decisione dell’amministrazione Trump di intensificare le deportazioni di massa, autorizzando persino le forze dell’ordine a eseguire retate in chiese, ospedali e scuole, luoghi che la tradizione umana e cristiana riconosce come rifugi sacri per i bisognosi. In questo contesto, ci uniamo alla vostra voce per ribadire che la protezione dei migranti e dei rifugiati non è un’opzione, ma un dovere morale”, ha affermato Padre Leonir Chiarello.
Da 138 anni, i Missionari Scalabriniani operano al fianco dei migranti negli Stati Uniti e in altri 35 Paesi, accompagnandoli nei percorsi di integrazione attraverso parrocchie, centri di accoglienza e assistenza legale e pastorale. “Conosciamo i volti di questi uomini, donne e bambini. Sappiamo delle loro notti insonni, delle paure per il domani, delle lacrime versate per le famiglie divise. Ma sappiamo anche della loro forza, della loro voglia di lavorare, del loro desiderio di contribuire al bene comune”, ha continuato Padre Leonir Chiarello.
Accogliere e governare i flussi migratori con giustizia e umanità è una necessità imprescindibile. “La Chiesa riconosce il diritto e il dovere degli Stati di regolamentare le migrazioni, ma filtrare non significa respingere indiscriminatamente. Un’affluenza incontrollata può creare instabilità sociale, ma una chiusura cieca alimenta solo sofferenza e ingiustizia. Le politiche attuali rischiano di trasformare le famiglie in bersagli, di marginalizzare ulteriormente i più deboli e di minare la coesione della società americana”, ha sottolineato Padre Leonir Chiarello.
Da decenni, i Missionari Scalabriniani partecipano attivamente al dibattito sulle politiche migratorie statunitensi, attraverso il Center for Migration Studies di New York (CMS) e lo Scalabrini International Migration Network (SIMN), promuovendo una governance che tenga insieme legalità, diritti e inclusione.
Richiamando il passo biblico della Genesi, Padre Leonir Chiarello ha ricordato che la domanda di Dio a Caino – “Dov’è tuo fratello?” – interpella le coscienze di oggi. “Oggi la voce dei migranti respinti, perseguitati, deportati, risuona nelle nostre coscienze. Non possiamo restare indifferenti e chiudere i nostri cuori alla sofferenza di chi bussa alle nostre porte”.
In tutto il mondo i Missionari Scalabriniani portano avanti l’insegnamento di San Giovanni Battista Scalabrini, che vedeva in ogni migrante un fratello e una sorella da accogliere, proteggere e accompagnare. Con questo spirito, la Congregazione intende rafforzare la collaborazione con la Chiesa americana, lavorando insieme alla Conferenza Episcopale e alle diocesi in cui è presente per costruire percorsi di integrazione che garantiscano dignità e diritti, offrendo alternative concrete alle politiche di chiusura.
Nel rinnovare la propria vicinanza alla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, la Direzione Generale dei Missionari Scalabriniani ribadisce il proprio impegno concreto e sinodale per una società più giusta e solidale, con la certezza che il Signore non abbandona chi opera per la giustizia.
La Fondazione Migrantes: non adeguate le risposte alla migrazione

Nelle scorse settimane è stata presentata l’ottava edizione del report che la Fondazione Migrantes dedica al mondo delle migrazioni forzate, ed anche quest’anno legge e interpreta dati, norme, politiche e storie, portando alla luce come nell’Unione europea ed in Italia ad essere sempre più a rischio sia il diritto d’asilo stesso. Le persone in fuga nel mondo hanno superato quota 120.000.000 a causa di guerre e conflitti che si allargano di anno in anno, portando a un ulteriore incremento delle vittime, specie tra i civili.
In Medio Oriente la guerra tra Hamas e Israele si è estesa con il coinvolgimento della Cisgiordania, dell’Iran e del Libano. Le armi continuano a essere le uniche a parlare tra Ucraina e Russia, mentre anche situazioni estreme legate al cambiamento climatico contribuiscono a far crescere il numero delle persone costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra per un tempo sempre più lungo.
Non sono invece altrettanto celeri le risposte alle cause profonde di queste migrazioni forzate, e troppo poche le autorità di governo e le istituzioni che, con serietà ed autorevolezza, intendono perseguire obiettivi di pace e giustizia, mentre prosegue una folle corsa agli armamenti. Nel frattempo, poco prima della chiusura della scorsa legislatura europea è stato approvato il ‘nuovo’ Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, un compromesso al ribasso in cui si assiste a un ulteriore impoverimento dei diritti di richiedenti asilo e rifugiati.
Alla fine del 2023 il numero di persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni a livello mondiale ha superato i 117.000.000 e saranno oltre 130.000, secondo l’UNHCR, l’Agenzia ONU per i rifugiati, le persone bisognose di protezione a fine 2024. Di queste, più di 68.000.000 rimangono all’interno del proprio Paese, mentre i rimanenti passano il confine alla ricerca di protezione e sicurezza.
La maggior parte, circa il 69%, si sposta in Paesi confinanti e solo una piccola frazione inizia un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa, che presenta una forte carenza di canali di ingresso legali e sicuri e, anzi, continua a rendere l’arrivo sempre più complesso e pericoloso per chi fugge. Sono stati infatti poco più di 520.000 gli ingressi irregolari in Europa tra il 2023 e i primi nove mesi del 2024, mentre sono state più di 1.500.000 le richieste d’asilo presentate nello stesso periodo.
Il Report include un contributo sulla riforma del Sistema europeo comune di asilo (CEAS), focalizzato sul ‘nuovo’ Patto migrazione e asilo. Nonostante la dichiarazione solenne sul diritto d’asilo come inviolabile, le recenti riforme limitano l’accesso a tale diritto. In particolare, l’introduzione di procedure accelerate e di restrizioni per chi richiede asilo alle frontiere esterne dell’UE accentua la detenzione in aree di transito e riduce l’efficacia del ricorso legale contro il respingimento.
Inoltre, si introduce la finzione giuridica del ‘non ingresso’, che considera alcuni richiedenti asilo come non presenti sul territorio, permettendo l’adozione di misure restrittive e respingimenti immediati. Una delle poche aperture positive riguarda invece il ‘reinsediamento umanitario’, che rimane però opzionale per gli Stati membri.
Inoltre il protocollo migratorio firmato il 6 novembre 2023 tra Italia e Albania mira a combattere l’immigrazione illegale attraverso la costruzione di centri di accoglienza e identificazione in Albania, finanziati dall’Italia. Questi centri hanno il compito di ospitare migranti soccorsi nel Mediterraneo per determinare la loro idoneità alla protezione internazionale o, in caso contrario, per il rimpatrio.
Presentato come una ‘soluzione innovativa’, l’accordo, che ha una chiara funzione deterrente, ha tuttavia sollevato dubbi tra i giuristi e le organizzazioni per i diritti umani: malgrado i significativi costi economici, il protocollo potrebbe risultare inefficace rispetto ai suoi stessi obiettivi e dannoso per i diritti fondamentali dei migranti, creando di fatto un sistema di ‘esternalizzazione’ che isola i migranti dal territorio e dalla società italiana.
Quindi, nonostante il divieto di trattenimento per i MSNA previsto dalla legge italiana, molti minori sono trattenuti in centri inadeguati, quali hotspot e centri governativi di accoglienza, spesso in condizioni critiche e promiscue con adulti. Questi centri non garantiscono un’adeguata tutela legale, né la possibilità di chiedere asilo o permessi di soggiorno, lasciando i minori in uno stato di isolamento e incertezza.
La recente legge 176/2023 ha legalizzato il collocamento dei MSNA sopra i 16 anni in strutture per adulti, una misura che contrasta con il superiore interesse del minore sancito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia. Le ripetute violazioni dei diritti fondamentali sono state confermate da sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nei confronti di minori collocati proprio in strutture per adulti. Nonostante le condanne, tuttavia, le prassi non sono state modificate e la gestione emergenziale continua a prevalere.
Dopo l’entrata in vigore della legge n. 50/2023, la rete di società civile del Forum per cambiare l’ordine delle cose ha condotto un monitoraggio in diversi territori su quattro macro‐tematiche: le procedure accelerate in zone di frontiera o transito; i tempi e le prassi di convocazione per le audizioni e i tempi di decisione delle Commissioni territoriali; i criteri di riconoscimento della protezione speciale fondata sul rispetto dell’articolo 8 CEDU; i tempi e le prassi nei casi di rinnovo e conversione della protezione speciale.
Il contributo del Report, frutto di un inedito monitoraggio che ha coinvolto le congregazioni religiose femminili presenti in aree di transito e permanenza, evidenzia come in Italia l’esperienza della ‘frontiera’ venga interpretata in modo vario e poliedrico dalle religiose. Le loro comunità, dalla Sicilia alla Lombardia, sono esposte a situazioni difficili, fornendo assistenza umanitaria a migranti che affrontano povertà, violenze e vulnerabilità sociali.
Operano spesso in collaborazione con enti locali, associazioni laiche e strutture sanitarie, ma si scontrano con risorse insufficienti e politiche restrittive. Attraverso scuole di lingua, supporto psicologico e integrazione lavorativa costruiscono percorsi di riscatto in particolare a favore delle donne vittime di tratta. Ma la mappatura ha portato alla luce, in realtà, un’ampia varietà di risposte ed esperienze, dai dormitori per migranti in transito alle strutture educative per donne e bambini.
Presentato il Rapporto Immigrazione ‘Popoli in cammino’

Mercoledì 16 ottobre a Roma è stata presentata la XXXIII edizione del Rapporto Immigrazione ‘Popoli in cammino’, realizzato dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes, sottolineando che sono oltre 5.300.000 i cittadini stranieri residenti in Italia (+3,2% rispetto allo scorso anno), di cui oltre 200.000 hanno conseguito la cittadinanza lo scorso anno ed in media rappresentano il 9% della popolazione residente in Italia. Questa edizione è stata integrata da 4 ricerche inedite, frutto delle reti territoriali dei due organismi pastorali della Conferenza episcopale italiana su lavoro, scuola e appartenenza religiosa.
Tra coloro che hanno conseguito la cittadinanza lo scorso anno, un dato in linea con gli anni precedenti, prevale la modalità di acquisizione ‘altro’ (46,1%) rispetto alla residenza continuativa (45,1%) e al matrimonio con un/a cittadino/a italiano/a (8,8%). Si tratta prevalentemente dei neomaggiorenni nati in Italia.
Lo scorso anno il tasso di occupazione dei lavoratori non-Ue si è avvicinato maggiormente (60,7%) a quello della totalità dei lavoratori (61,5%). Tra il 2019 e il 2023, la domanda di lavoratori immigrati è aumentata significativamente e la quota di lavoratori stranieri sulle assunzioni totali è salita dal 13,6% del 2019 al 19,2% del 2023. I servizi sono l’ambito che ne assorbe di più, e in cui l’aumento delle assunzioni è stato nell’ordine del 58,9%, in particolare, nel settore della cura alle persone e del lavoro domestico (10,6% delle attivazioni). In generale, però, le attivazioni che hanno riguardato i cittadini stranieri sono state come ‘personale non qualificato’; le donne presentano tassi occupazionali inferiori a quello delle italiane e degli stessi lavoratori stranieri e un tasso di disoccupazione più elevato.
Il tasso di occupazione più alto è tra i giovani non comunitari (42%), seguito dai comunitari (38,6%) e dagli italiani (34%). Ma non si tratta necessariamente di un dato incoraggiante: si ricollega, almeno in parte, all’alto tasso di abbandono scolastico (quasi un terzo di loro, lascia prematuramente la scuola, tre volte di più rispetto ai giovani italiani).
A proposito di scuola il totale degli alunni con cittadinanza non italiana nell’anno scolastico 2023/2024 è stato di quasi 915.000, e la percentuale dei nati in Italia cresce sempre più fino ad arrivare al 65,4%. Tra le principali difficoltà si segnalano la ridotta frequenza della scuola dell’infanzia; il ritardo scolastico; la difficoltà nel completamento e proseguimento degli studi; l’abbandono scolastico, in particolare dopo la scuola secondaria di primo grado.
L’impatto dei doposcuola diocesani nel supporto alla didattica dei minori stranieri, già strutturato in particolare nel periodo della pandemia, è stato pressoché mantenuto e nel 36% dei casi anche ampliato sia nella tipologia dei destinatari (giovani con un’età media più elevata e maggiore partecipazione delle ragazze), sia per il tipo di supporto offerto.
La popolazione di cittadinanza straniera è nettamente più giovane rispetto a quella italiana: nella prima, la classe di età prevalente è quella fino a 17 anni (20,6%), seguita dalla fascia opposta; ovvero quella dei 60enni e over (10,8%); dai 35-39enni (10,7%) e dai 40-44enni (10,2%). La totalità dei permessi di soggiorno validi fino ai primi 3 mesi del 2024 è di 4.244.521, in leggero aumento dal 2023 (+0,4%). Quanto alle prime dieci nazionalità dei titolari, il primato spetta ancora al Marocco, seguito da Albania e Ucraina. Nella stessa graduatoria riappare al decimo posto la Tunisia, che lo scorso anno era stata sopravanzata dalla Moldavia.
Per quanto riguarda la salute nel 2022, su 7.002.779 dimissioni per acuti registrate, relative sia ai ricoveri ordinari che a quelli in Day Hospital, 6.536.427 riguardavano cittadini italiani e 458.890 cittadini non italiani (il 6,6% del totale). Tra i cittadini stranieri si mostra una predominanza di pazienti provenienti dall’Europa, il 50,7% del totale. I pazienti di origine africana costituiscono quasi un quarto del totale, con il 23,2%, mentre gli asiatici sono il 15,9%.
Le complicazioni legate alla gravidanza, al parto e al puerperio hanno rappresentato la diagnosi principale (24,03% dei casi). Le interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) notificate sono state 63.653 (-4,2% rispetto a quelle notificate nel 2020). Le IVG relative alle donne di cittadinanza straniera sono state il 27% di tutte quelle praticate in Italia (28,5% nel 2020), pari a 17.130. Nel Sistema informativo per il monitoraggio e la tutela della salute mentale (SISM) è riportata la distribuzione per diagnosi degli utenti di nazionalità non italiana che hanno avuto almeno un contatto con i Dipartimenti di salute mentale (DSM), pari nel 2022 a 39.584.
All’inizio del 2024 i cristiani tornano ad incidere sul totale della popolazione straniera iscritta nelle anagrafi dei comuni italiani per il 53,0% sul totale, mantenendo il proprio ruolo di maggioranza assoluta; quello di maggioranza relativa passa per molto poco ai musulmani, col 29,8% d’incidenza (1.582.000). Nella pratica religiosa comunitaria il ruolo dei cattolici immigrati (consacrati e laici, provenienti da Paesi extra-europei e in massima parte più giovani rispetto agli autoctoni) appare fondamentale, sebbene ancora oggi non pienamente espresso, anche a causa del perdurare di alcuni stereotipi sull’immigrazione.
Presentando il rapporto il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha invitato a superare una visione emergenziale: “Spesso assistiamo al perdurare di un approccio orientato soltanto all’emergenza, che trascura promozione e integrazione: dimentichiamo che l’immigrazione, se ben gestita, può essere una risorsa per la società… L’eccessiva politicizzazione del fenomeno migratorio, fondata sulla ricerca del consenso e sulle paure, impedisce la creazione di un sistema di accoglienza autentico e non opportunistico. Ed è invece di questo che abbiamo bisogno, per la sicurezza reciproca, di chi parte e di chi accoglie”.
Mentre il direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Pierpaolo Felicolo, ha auspicato che i migranti possano diventare ‘soggetti attivi’ nella società italiana: “Non è possibile realizzare un’efficace e autentica accoglienza dei migranti (né una loro protezione, promozione e integrazione) se si curano solo gli aspetti economici o lavorativi, ignorando le dimensioni sociali e relazionali…
Qualsiasi concezione di accoglienza che concepisse quest’ultima solo come impegno materiale sarebbe una pericolosa riduzione. Un’autentica inclusione della persona migrante può dirsi compiuta quando da ospite (spesso considerato passivo oppure costretto alla passività) diventa soggetto partecipe e attivo, offrendo un contributo personale alla crescita del tessuto sociale, del quale fa parte”.
Manuela De Marco, una delle curatrici del Rapporto, ha evidenziato un aumento dei cittadini stranieri residenti in Italia nel 2024 rispetto all’anno precedente, in controtendenza rispetto al calo registrato nel periodo Covid, “con una significativa volatilità nella prevalenza di una nazionalità rispetto a un’altra, che è cartina di tornasole delle vicende politiche che spingono le popolazioni a migrare dai loro Paesi”.
Sul piano del lavoro ha affermato che è in aumento la richiesta anche di operai stranieri qualificati: “Pur continuando a dominare i settori del lavoro domestico, turistico e delle costruzioni e nonostante continui ad essere prevalente l’assunzione con qualifica di operaio qualcosa si sta muovendo: aumenta la richiesta di lavoratori con profili sempre più specializzati ed emerge un fabbisogno di lavoratori stranieri aumentato in 4 anni del 20%, con aumenti importanti anche nel settore dei servizi e dell’industria.
Occorre andare oltre la rappresentazione di una richiesta dell’occupazione straniera che riguarda solo lavori a basso profilo. C’è una richiesta di miglioramento dei profili professionali che dovrebbe essere recepito nei percorsi di formazione per creare un matching virtuoso tra chi cerca lavoro e i datori di lavoro”.
(Foto: Fondazione Migrantes)
Papa Francesco ai Gesuiti: seguite l’esempio di p. Matteo Ricci

Nei giorni scorsi La Civiltà Cattolica ha pubblicato l’incontro di papa Francesco con i gesuiti avvenuto durante il viaggio apostolico in Lussemburgo ed in Belgio alla presenza di circa 150 gesuiti, residenti in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, tra cui il provinciale della Provincia dell’Europa occidentale francofona, p. Thierry Dobbelstein, ed il superiore della Regione indipendente dei Paesi Bassi, p. Marc Desmet, alla presenza anche del card. Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale:
“Buonasera a tutti! Sono stato qui in questo luogo altre due volte in passato e mi fa piacere tornarvi. Devo dirvi la verità: una volta qui ho commesso un furto. Andavo a celebrare la Messa, e ho visto un plico di fogli che mi ha incuriosito. Erano dispense di lezioni sul libro di Giobbe. Quell’anno in Argentina dovevo fare lezioni proprio su Giobbe. Ho sfogliato le pagine e mi hanno colpito. Alla fine, quegli appunti me li sono presi!”
Molte le domande, ma soprattutto la prima si è concentrata sulla missione dei Gesuiti nel Nord Europa: “Guarda, non conosco bene la vostra situazione, e quindi non so dire quale debba essere la vostra missione in questo contesto specifico. Ma posso dirti una cosa: il gesuita non deve spaventarsi di nulla. E’ un uomo in tensione tra due forme di coraggio: coraggio di cercare Dio nella preghiera e coraggio di andare alle frontiere.
Questa è davvero la ‘contemplatività’ nell’azione. Credo che sia proprio questa la missione principale dei gesuiti: immergersi nei problemi del mondo e lottare con Dio nella preghiera. C’è una bella allocuzione di san Paolo VI ai gesuiti all’inizio della Congregazione Generale XXXII: nei crocevia delle situazioni complesse c’è sempre un gesuita, diceva. Quella allocuzione è un capolavoro e dice chiaramente ciò che la Chiesa vuole dalla Compagnia. Vi chiedo di leggere quel testo. Lì troverete la vostra missione”.
Eppoi sull’inculturazione ha citato l’esempio di p. Matteo Ricci: “Il limite dell’inculturazione lo troviamo studiando gli inizi della Compagnia. I vostri maestri siano p. Matteo Ricci, p. Roberto De Nobili, e gli altri grandi missionari che pure hanno spaventato alcuni nella Chiesa per la loro azione coraggiosa. Questi nostri maestri hanno tracciato il limite dell’inculturazione. Inculturazione della fede ed evangelizzazione della cultura vanno sempre insieme.
Dunque, qual è il limite? Non c’è un limite fisso! Lo si deve cercare nel discernimento. E si discerne pregando. Mi colpisce, e lo ripeto sempre: nel suo ultimo discorso p. Arrupe diceva di lavorare sulle frontiere e insieme di non dimenticare mai la preghiera. E la preghiera del gesuita si sviluppa nelle situazioni limite, difficili. Questa è la cosa bella della nostra spiritualità: rischiare”.
Eppoi ha risposto ad una domanda sul ruolo della donna nella Chiesa: “Ripeto spesso che la Chiesa è donna. Vedo la donna nel cammino dei carismi, e non voglio limitare il discorso del ruolo della donna nella Chiesa al tema del ministero. Poi, in generale, maschilismo e femminismo sono logiche di «mercato». In questo tempo sto cercando sempre di più di far entrare le donne in Vaticano con ruoli di responsabilità sempre più alta. E le cose stanno cambiando: lo si vede e lo si sente. La vicegovernatrice dello Stato è una donna.
Poi il Dicastero per lo sviluppo umano integrale ha anch’esso come vice una donna. Nell’équipe per la nomina dei vescovi ci sono tre donne, e da quando ci sono loro che selezionano i candidati, le cose vanno molto meglio: sono acute nei loro giudizi. Nel Dicastero per i religiosi la vice è una donna. La vice del Dicastero per l’economia è una donna. Le donne, insomma, entrano in Vaticano con ruoli di alta responsabilità: proseguiremo su questa strada. Le cose funzionano meglio di prima”.
E non poteva mancare una domanda sull’apostolato culturale: “L’apostolato intellettuale è importante ed è parte della nostra vocazione di gesuiti, che devono essere presenti nel mondo accademico, nella ricerca e anche nella comunicazione. Sia chiaro: quando le Congregazioni Generali della Compagnia di Gesù dicono di inserirsi nel popolo e nella storia non significa ‘fare il carnevale’, ma inserirsi nei contesti anche più istituzionali, vorrei dire, con qualche ‘rigidità’, nel buon senso della parola. Non bisogna cercare sempre l’informalità”.
Infine sulle migrazioni: “Il problema della migrazione deve essere affrontato e studiato bene, e questo è vostro compito. Il migrante deve essere ricevuto, accompagnato, promosso e integrato. Non deve mancare nessuna di queste quattro azioni, altrimenti è un problema serio. Un migrante che non è integrato finisce male, ma finisce male anche la società nella quale si ritrova. Pensate, ad esempio, a quel che è accaduto a Zaventem, qui in Belgio: quella tragedia è anche frutto di una mancata integrazione.
E questo lo dice la Bibbia: bisogna prendersi cura della vedova, del povero e dello straniero. La Chiesa deve prendere sul serio il lavoro con i migranti. Io conosco il lavoro di «Open Arms», ad esempio. Nel 2013 sono stato a Lampedusa per fare luce sul dramma migratorio. Ma aggiungo una cosa che mi sta a cuore e che sto ripetendo spesso: l’Europa non ha più figli, sta invecchiando. Ha bisogno dei migranti perché si rinnovi la vita. E’ diventata ormai una questione di sopravvivenza”.
(Foto: Civiltà Cattolica)
Papa Francesco ai belgi: la misericordia costruisce il futuro

Al termine della recita dell’Angelus papa Francesco ha preso da Bruxelles per rientrare a Roma con un volo della Brussels Air Line il Papa fa rientro in Vaticano, salutando la delegazione belga con un pensiero nel libro d’onore dell’aeroporto: “Grato per l’accoglienza ricevuta alla Basa aerea di Melsbroek, auspico che essa sia sempre a servizio della pace nel Belgio, in Europa e nel mondo intero”.
E prima del ritorno in Vaticano papa Francesco ha ricordato la Giornata del Migrante e del Rifugiato, sottolineando che il Belgio è terra di arrivo di tanti migranti: “Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema ‘Dio cammina con il suo popolo’.
Da questo Paese, il Belgio, che è stato ed è tuttora meta di tanti migranti, rinnovo all’Europa e alla Comunità internazionale il mio appello a considerare il fenomeno migratorio come una opportunità per crescere insieme nella fraternità, e invito tutti a vedere in ogni fratello e sorella migrante il volto di Gesù che si è fatto ospite e pellegrino in mezzo a noi”.
Inoltre ha invitato a pregare per le nazioni martoriate dalla guerra: “Continuo a seguire con dolore e con tanta preoccupazione l’allargamento e l’intensificazione del conflitto in Libano. Il Libano è un messaggio, ma in questo momento è un messaggio martoriato, e questa guerra ha effetti devastanti sulla popolazione: tante, troppe persone continuano a morire giorno dopo giorno in Medio Oriente.
Preghiamo per le vittime, per le loro famiglie, preghiamo per la pace. Chiedo a tutte le parti che si cessi immediatamente il fuoco in Libano, a Gaza, nel resto della Palestina, in Israele. Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina”.
Infine ha sottolineato l’importanza della recita dell’Angelus: “Questa preghiera, molto popolare nelle passate generazioni, merita di essere riscoperta: è una sintesi del mistero cristiano, che la Chiesa ci insegna a inserire in mezzo alle occupazioni quotidiane. Ve la consegno, specialmente ai giovani, e vi affido tutti alla nostra Madre Santissima, che qui, accanto all’altare, è raffigurata come Sede della Sapienza. Sì, abbiamo bisogno della sapienza del Vangelo! Chiediamola spesso allo Spirito Santo”.
Nell’omelia della celebrazione eucaristica conclusiva del viaggio apostolico nello stadio ‘Re Baldovino’ papa Francesco ha parlato della libertà dello Spirito Santo: “Ce ne parlano la prima Lettura e il Vangelo, mostrandoci l’azione libera dello Spirito Santo che, nel racconto dell’esodo, riempie del suo dono di profezia non solo gli anziani andati con Mosè alla tenda del convegno, ma anche due uomini che erano rimasti nell’accampamento”.
Ed ha definito parole sagge quelle del libro dei Numeri: “Sono parole sapienti, che preludono a ciò che Gesù afferma nel Vangelo. Qui la scena si svolge a Cafarnao, e i discepoli vorrebbero a loro volta impedire ad un uomo di scacciare i demoni nel nome del Maestro, perché, affermano, ‘non ci seguiva’, cioè ‘non è nel nostro gruppo’…
Osserviamo bene queste due scene, quella di Mosè e quella di Gesù, perché riguardano anche noi e la nostra vita cristiana. Tutti infatti, con il Battesimo, abbiamo ricevuto una missione nella Chiesa. Ma si tratta di un dono, non di un titolo di vanto.., Egli continua a riporre in noi con amore di Padre, vedendo in noi quello che noi stessi non riusciamo a scorgere. Per questo ci chiama, ci invia e ci accompagna pazientemente giorno per giorno”.
E la libertà dello Spirito Santo avviene nella comunione, raccontata nella lettera dell’apostolo san Giacomo: “L’egoismo, come tutto ciò che impedisce la carità, è ‘scandaloso’ perché schiaccia i piccoli, umiliando la dignità delle persone e soffocando il grido dei poveri… Si crea un mondo in cui non c’è più spazio per chi è in difficoltà, né c’è misericordia per chi sbaglia, né compassione per chi soffre e non ce la fa. Non c’è”.
Ed ha rimarcato il dramma degli abusi sessuali nella Chiesa: “Pensiamo a quello che accade quando i piccoli sono scandalizzati, colpiti, abusati da coloro che dovrebbero averne cura, alle ferite di dolore e di impotenza anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nella comunità. Con la mente e con il cuore torno alle storie di alcuni di questi ‘piccoli’ che ho incontrato l’altro ieri. Li ho sentiti, ho sentito la loro sofferenza di abusati e lo ripeto qui: nella Chiesa c’è posto per tutti, tutti, tutti ma tutti saremo giudicati e non c’è posto per l’abuso, non c’è posto per la copertura dell’abuso”.
Quella del papa è stata una scelta precisa: “Chiedo a tutti: non coprite gli abusi! Chiedo ai vescovi: non coprite gli abusi! Condannare gli abusatori e aiutarli a guarire da questa malattia dell’abuso. Il male non si nasconde: il male va portato allo scoperto, che si sappia, come hanno fatto alcuni abusati e con coraggio. Che si sappia. E che sia giudicato l’abusatore. Che sia giudicato l’abusatore, sia laica, laico, prete o vescovo: che sia giudicato”.
E’ stato un chiaro invito alla scelta della misericordia: “Se vogliamo seminare per il futuro, anche a livello sociale ed economico, ci farà bene tornare a mettere alla base delle nostre scelte il Vangelo della misericordia. Gesù è la misericordia. Tutti noi, tutti, siamo stati misericordiati. Altrimenti, per quanto apparentemente imponenti, i monumenti della nostra opulenza saranno sempre colossi dai piedi di argilla. Non illudiamoci: senza amore niente dura, tutto svanisce, si sfalda, e ci lascia prigionieri di una vita sfuggente, vuota e senza senso, di un mondo inconsistente che, al di là delle facciate, ha perso ogni credibilità, perché? Perché ha scandalizzato i piccoli”.
Ed ha concluso l’omelia con la parola della testimonianza attraverso la vita di Anna di Gesù: “E così giungiamo alla terza parola: testimonianza. Possiamo prendere spunto, in proposito, dalla vita e dall’opera di Anna di Gesù, Anna de Lobera, nel giorno della sua Beatificazione. Questa donna è stata tra le protagoniste, nella Chiesa del suo tempo, di un grande movimento di riforma, sulle orme di una ‘gigante dello spirito’, Teresa d’Avila, di cui ha diffuso gli ideali in Spagna, in Francia e anche qui, a Bruxelles, e in quelli che allora erano chiamati Paesi Bassi Spagnoli”.
La vita povera è stata una sua scelta: “In un tempo segnato da scandali dolorosi, dentro e fuori la comunità cristiana, lei e le sue compagne, con la loro vita semplice e povera, fatta di preghiera, di lavoro e di carità, hanno saputo riportare alla fede tante persone, al punto che qualcuno ha definito la loro fondazione in questa città come una ‘calamita spirituale’.
Per scelta, non ha lasciato scritti. Si è impegnata invece a mettere in pratica ciò che a sua volta aveva imparato, e con il suo modo di vivere ha contribuito a risollevare la Chiesa in un momento di grande difficoltà”.
Infine, dopo aver visitato la tomba del re Baldovino, che rifiutò di firmare la legge sull’aborto nel 1990, annuncia che darà una nuova spinta alla causa di beatificazione del re, iniziata nel 1995, il papa ha invitato i vescovi belgi a portare a termine la causa di beatificazione: “Al mio rientro a Roma avvierò il processo di beatificazione di Re Baldovino. Che il suo esempio di uomo di fede illumini i governanti. Chiedo che i vescovi belgi si impegnino per portare avanti questa causa”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco a Timor Est per lodare l’esempio di pacificazione

A Dili papa Francesco è stato accolto dalla popolazione in festa, che nel discorso ai diplomatici ha evidenziato la fede che ha sostenuto il popolo nella liberazione prima dalla colonizzazione portoghese (1975), poi dal giogo indonesiano (2002) con un plauso al cammino di riconciliazione con la stessa Indonesia:
“Rendiamo grazie al Signore perché, nell’attraversare un periodo tanto drammatico della vostra storia, non avete perso la speranza, e per il fatto che, dopo giorni oscuri e difficili, è finalmente sorta un’alba di pace e di libertà”.
Ha ricordato la fede che hanno sempre mantenuto,, anche nelle circostanze sfavorevoli: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.
Ed ha menzionato la visita apostolica di san Giovanni Paolo II: “Nel conseguimento di queste importanti mete è stato di grande aiuto il vostro radicamento nella fede, come San Giovanni Paolo II mise in rilievo nella sua visita al vostro Paese. Egli, nell’omelia a Tasi-Tolu, ricordò che i cattolici di Timor-Leste hanno ‘una tradizione in cui la vita familiare, la cultura e i costumi sociali sono profondamente radicati nel Vangelo’; una tradizione ‘ricca degli insegnamenti e dello spirito delle Beatitudini’, di ‘umile fiducia in Dio, di perdono e misericordia e, quando necessario, di paziente sofferenza nella tribolazione’. E traducendo questo nell’oggi, io direi che voi siete un popolo che ha sofferto, ma saggio nella sofferenza”.
A Dili è un cristianesimo che riesce ad inculturarsi per farsi presenza: “Il cristianesimo, nato in Asia, è arrivato a queste estreme propaggini del continente tramite missionari europei, testimoniando la propria vocazione universale e la capacità di armonizzarsi con le più diverse culture, le quali, incontrandosi con il Vangelo, trovano una nuova sintesi più profonda… Una delle dimensioni fondamentali del cristianesimo è l’inculturazione della fede e la cristianizzazione della cultura”.
Poi ha ricordato il periodo (dal 1975 al 2002) che è stato quello dell’indipendenza, grazie alla fede: “Avete mantenuto salda la speranza anche nell’afflizione e, grazie all’indole del vostro popolo e alla vostra fede, avete trasformato il dolore in gioia! Voglia il Cielo che pure in altre situazioni di conflitto, in diverse parti del mondo, prevalga il desiderio di pace, perché l’unità è superiore al conflitto, sempre. E questo richiede anche una certa purificazione della memoria, per sanare le ferite, per combattere l’odio con la riconciliazione, lo scontro con la collaborazione”.
Secondo il papa Timor-Leste “ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo ed oggi vive come un Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.
Inoltre per il papa non mancano sfide impegnative, che possono essere affrontate con un’azione corale, come il fenomeno migratorio e le povertà sociali: “Tra le molte questioni attuali, penso al fenomeno dell’emigrazione, che è sempre indice di una insufficiente o inadeguata valorizzazione delle risorse; come pure della difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base. E non sempre è un fenomeno esterno…
Penso alla povertà presente in tante zone rurali, e alla conseguente necessità di un’azione corale di ampio respiro che coinvolga molteplici forze e distinte responsabilità, civili, religiose e sociali, per porvi rimedio e per offrire valide alternative all’emigrazione”.
Inoltre papa Francesco ha auspicato che l’esempio di pacificazione di Timor Est sia esempio in altre situazioni di conflitto nel mondo, ed esorta “a proseguire con rinnovata fiducia nella sapiente costruzione e nel consolidamento delle istituzioni della vostra repubblica, in modo che i cittadini si sentano effettivamente rappresentati”, ed è necessaria “una purificazione della memoria”, perché l’unità sempre supera il conflitto.
Tra le questioni di attualità, Papa Francesco cita l’emigrazione, ma anche “la difficoltà di offrire a tutti un lavoro che produca un equo profitto e garantisca alle famiglie un reddito corrispondente alle loro esigenze di base”, e “non sempre sono situazioni esterne”, e la povertà “presente in tante zone rurali”, laddove serve “una azione corale di ampio respiro” che coinvolga tutti per “offrire valide alternative all’emigrazione”.
E non poteva mancare un appello ai giovani in un Paese, in cui Il 65% della popolazione di Timor-Lester è al di sotto dei 30 anni di età e molte sono le criticità per questa fascia della popolazione: “Date degli ideali ai giovani per tirarli fuori da queste trappole! E anche un fenomeno di arruolamento in certe bande che, forti della conoscenza delle arti marziali, invece di usarle al servizio degli indifesi, ne approfittano per mostrare il potere effimero e dannoso della violenza. La violenza è sempre un problema nei villaggi. E non dimentichiamo tanti bambini e adolescenti offesi nella loro dignità: tutti siamo chiamati ad agire con responsabilità per prevenire questo male sociale e garantire una crescita serena ai nostri ragazzi”.
E’ stato un invito ad investire nell’educazione: “Investite sull’educazione, sull’educazione nella famiglia e nella scuola. Un’educazione che metta al centro i bambini e i ragazzi e promuova la loro dignità. Sono rimasto contento vedendo i bambini sorridere, con quei denti bianchi! C’era pieno di ragazzi da tutte le parti. L’entusiasmo, la freschezza, la proiezione verso l’avvenire, il coraggio, l’intraprendenza, tipici dei giovani, uniti all’esperienza e alla saggezza degli anziani, formano una miscela provvidenziale di conoscenze e di slanci generosi verso il domani.
E qui mi permetto di dare un consiglio: mettete insieme i bambini con i nonni! L’incontro dei bambini e dei nonni provoca saggezza. Pensateci. Insieme, questo entusiasmo giovanile e questa saggezza sono una grande risorsa e non permettono la passività né, tantomeno, il pessimismo”.
Il discorso è stato anche un richiamo alla Dottrina Sociale della Chiesa, che è “un pilastro indispensabile su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini”.
Ha anche aggiunto che la dottrina sociale della Chiesa “costituisce un pilastro indispensabile, su cui costruire specifiche conoscenze e al quale sempre occorre appoggiarsi, per verificare se tali ulteriori acquisizioni siano andate veramente a favore dello sviluppo integrale o non risultino invece di ostacolo, producendo squilibri inaccettabili e una quota elevata di scartati, lasciati ai margini. La dottrina sociale della Chiesa non è un’ideologia, è basata sulla fraternità. E’ una dottrina che deve favorire, che favorisce lo sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri”.
Il discorso alle autorità è stato un invito a ‘prendersi cura’ dello sviluppo del popolo: “Che cosa è che ha questo Paese? Il popolo! Prendetevi cura del vostro popolo. Il popolo è meraviglioso. Nelle poche ore in cui sono stato qui si vede come è il popolo. Si esprime con dignità e con gioia”.
Infatti tutto ciò è stato reso possibile grazie alla determinazione del popolo: “Timor-Leste, che ha saputo far fronte a momenti di grande tribolazione con paziente determinazione ed eroismo, oggi vive come Paese pacifico e democratico, che si impegna nella costruzione di una società solidale e fraterna, sviluppando relazioni pacifiche con i vicini nell’ambito della comunità internazionale”.
(Foto: Santa Sede)
Le frontiere migranti di Abdou Boubacar

Quelle esistenti tra il Niger dei colonnelli e il Benin di Patrice Talon, re del cotone indiscusso e presidente del Paese, sono vergognosamente chiuse. A causa delle sanzioni applicate in risposta al golpe militare di fine luglio dell’anno scorso,centinaia di camion e container sono bloccati dall’altra parte del ponte. Adesso è pure l’innocua piroga, che permetteva ai passeggeri di attraversare il fiume Niger, ad aver ricevuto l’ordine di arresto.
Ciò significa che, come in un lontano passato, le frontiere tra i due Paesi confinanti sono completamente chiuse o quasi. In effetti c’è il disputato oleodotto che trasporta petrolio ‘cinese’ dal Niger alla costa atlantica del Benin che mantiene ‘in vita’ una frontiera che altrimenti sarebbe del tutto invalicabile. Il libero movimento di persone e beni nello spazio dei Paesi dell’Africa Occidentale, in breve la tanto contestata CEDEAO, si allontana dalla realtà una volta di più.
Non affatto è il caso di Abdou Boubacar, uscito dall’ultima frontiera che lo ha imprigionato per quattordici mesi a causa di un reato mai commesso nella città di Dosso, non lontano dalla capitale Niamey. Dice di essere nato in Costa d’Avorio ma nel foglio di uscita del carcere c’è scritto Monrovia, la capitale della Liberia. Dice di aver studiato in Liberia dove si parla inglese ma il suo francese è quasi perfetto.
Afferma che, essendo sua madre ivoriana, passava le vacanze da lei e questo spiegherebbe tutto. Adolescente segue ii fratello maggiore fino in Mauritania per poi tornare in una patria a scelta del momento e delle circostanze. Abdou, secondo il foglio di rilascio, è nato nel 2003 circa e avrebbe dunque la bellezza di 23 anni e lo stesso numero di frontiere sedotte, se non di più. Decide di attraversare il mare e per questo parte dalla Liberia, passa la Guinea, il Mali e, navigato il deserto del Sahara, approda in Algeria.
Lavora per qualche mese ad Algeri nei cantieri edili come piastrellista, manovale e imbianchino. Il tempo necessario di andare in Libia e tentare finalmente il sogno del Mediterraneo per raggiungere l’Italia. Dopo un breve soggiorno a Tripoli paga 1700 E al ‘passeur’ per l’ultimo posto disponibile nel battello. Assicura che c’erano 113 passeggeri di tutte le nazionalità dell’Africa e altrove, comprese donne e bambini. Partiti all’imbrunire sono stati fermati dalla guardia costiera libica ad appena un centinaio di metri dalla costa.
Messo a lavorare per qualche mese gratuitamente da qualche capo, torna in Algeria dove, stavolta, le guardie e i militari lo arrestano e deportano sino al confine col Niger. Passa, con altri come lui, la frontiera invisibile tra i due Paesi la notte per raggiungere una cittadina abitata soprattutto da migranti espulsi chiamata Assamaka. Dopo un breve soggiorno, coi soldi nascosti nelle parte intime del suo corpo, raggiunge Arlit, Agadez e, nella cittadina di Dosso, passa la porta della prigione civile.
Esibisce il foglio di uscita del carcere come l’unico trofeo guadagnato in questi anni di trasgressioni delle frontiere. Quattordici mesi inutili di carcere per un giovane di poco più di vent’anni non sono pochi. Abdou si sorprende, affamato e sperduto, a contare il numero di frontiere che l’hanno attraversato da quando è nato non si sa dove, quando e perché. Forse tornerà dove era partito per tentare ancora la pazienza del deserto e l’incertezza del mare. Abdou chiederà la meta del suo viaggio alle frontiere che, finora, non l’hanno mai tradito.
L’ultima dimora di Eto’o, migrante senza fine

Era chiamato familiarmente Eto’o dai compagni viaggio, come il noto giocatore di calcio camerunese. Anche lui, Feliciano, era originario dello stesso Paese e, a suo modo, era famoso nell’ambito delle migrazioni. Partito in fretta per l’Algeria poi dalla Tunisia che aveva raggiunto, si era recato a Doubai e, da lì tornò al suo Paese natale. Ripartito per Doubai una seconda volta aveva conosciuto espulsione col ritorno forzato al Camerun.
Dopo qualche tempo, mosso da qualcosa di indefinibile, aveva raggiunto il Ghana e successivamente, con l’amico Giovanni, il Togo anch’esso adagiato sulle coste atlantiche. La voce che li chiamava si trasformava una volta di più in una irresistibile seduzione e, con l’amico hanno raggiunto la frontiera dell’Algeria. Vista la repressione delle autorità algerine nei confronti dei cercatori di utopie, hanno scelto di tornare indietro sullo stesso cammino dell’andata. Giunti a Niamey si sono sommariamente presentati agli altri residenti della diaspora camerunese e si sono in seguito eclissati in uno dei quartieri.
Eto’o ha cercato di curare i dolori atroci che sentiva al dente. In seguito all’assunzione forse esagerata di medicinali antidolorifici venduti in strada è stato costretto a usufruire delle cure di una clinica privata della zona. Nel frattempo le sue condizioni di salute peggioravano e, oltre ai dolori intestinali si era prodotto un blocco renale che rendeva la sua situazione disperata. Raggiunto il Servizio Migranti ormai moribondo è stato accompagnato all’ospedale universitario e operato d’urgenza.
Era però troppo tardi e Feliciano è morto all’età di 37 anni a Niamey da due giorni. Il feretro di legno compensato con apposta una croce sulla parte superiore è già pronto. La tomba è stata scavata nel nuovo cimitero cristiano della capitale e solo si aspetta che qualche membro della famiglia lo raggiunga per seppellirlo nella capiente e umile sabbia del Niger. Una croce porterà scritto il nome, la data di nascita e quella del transito migrante più impegnativo. Lui, Eto’o, che ha fatto della sua vita una migrazione e della migrazione la sua vita si è fermato a Niamey.
Oppure no. La casa a forma di tomba scavata nella sabbia carezzata dal vento e seccata dal calore della stagione è l’ultima per chi pensa che la migrazione di Eto’o sia terminata. Molti che l’hanno conosciuto giurano che non è così. Proprio adesso che tutto sembra finito è invece iniziato per Feliciano il viaggio verso ciò che ha sempre sperato, creduto e cercato.
Una dimora nella quale i Paesi, le frontiere e il colore del mare si mescolano con le lacrime di gioia di chi ha raggiunto, finalmente, ciò che molti non osano più immaginare. Nel silenzio che circonda il cimitero, il vento porta lontano la speranza che Eto’o ha camminato e che altri incauti avventurieri abiteranno nella sognata terra della libertà.
Italia sempre più vecchia

Al 1° gennaio di quest’anno, certificato dall’Istat, la popolazione residente in Italia è pari a 58.990.000 unità, in calo di 7.000 unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti), che conferma quanto già emerso nel 2022 (-33.000 unità) proseguendo il rallentamento del calo di popolazione che, dal 2014 al 2021 (-2,8 per mille in media annua), ha contraddistinto l’Italia nel suo insieme.
La variazione della popolazione nel 2023 rivela un quadro eterogeneo tra le ripartizioni geografiche: nel Mezzogiorno la variazione è negativa, peraltro consistente nella misura del -4,1 per mille, mentre nel Nord, invece, la popolazione aumenta del 2,7 per mille. Stabile quella del Centro (+0,1 per mille). A livello regionale, la popolazione risulta in aumento soprattutto in Trentino-Alto Adige (+4,6 per mille), in Lombardia (+4,4 per mille) ed in Emilia-Romagna (+4,0 per mille). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata (-7,4 per mille) e la Sardegna (-5,3 per mille).
Però con appena 379.000 bambini nati, l’anno appena concluso ha messo in luce l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un processo, quello della denatalità, che dal 2008 (577.000nascite) non ha conosciuto soste. Calano anche i decessi (661.000), l’8% in meno sul 2022, dato più in linea con i livelli pre-pandemici rispetto a quelli che hanno caratterizzato il triennio 2020-22: emerge un saldo naturale ancora fortemente negativo (-281.000 unità).
Le iscrizioni dall’estero (416.000) e le cancellazioni per l’estero (142.000) determinano un saldo migratorio con l’estero positivo di 274.000 unità, compensando quasi totalmente il deficit dovuto alla dinamica naturale con una dinamica migratoria favorevole, con un sostanziale equilibrio.
La popolazione residente di cittadinanza straniera al 1° gennaio di quest’anno è 5.308.000 unità, in aumento di 166.000 individui (+3,2%) sull’anno precedente; di conseguenza l’incidenza sulla popolazione totale tocca il 9%. Il 58,6% degli stranieri, pari a 3.109.000 unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11,3%; altrettanto attrattivo per gli stranieri è il Centro, dove risiedono 1.301.000 individui (24,5% del totale) con un’incidenza dell’11,1%, mentre è più contenuta la presenza di residenti stranieri nel Mezzogiorno, 897.000 unità (16,9%), che raggiunge un’incidenza appena del 4,5%. Nel frattempo, sfiora 200.000 il numero di cittadini stranieri che nello scorso anno hanno acquisito la cittadinanza italiana, dato in linea con l’anno precedente (214.000), pur se in parziale calo.
Intanto i nati residenti in Italia sono 379.000, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022) e la riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50.000, 3.000 in meno rispetto al 2022. La diminuzione del numero dei nati residenti del 2023 è determinata sia da una importante contrazione della fecondità, sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15-49 anni), scesa a 11.500.000 al 1° gennaio, da 13.400.000 che era nel 2014 e 13.800.000 nel 2004. Anche la popolazione maschile di pari età subisce lo stesso destino nel medesimo termine temporale, passando da 13.900.000 nel 2004 a 13.500.000 nel 2014, fino agli odierni 12.000.000 persone.
Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995: nel Nord diminuisce da 1,26 figli per donna nel 2022 a 1,21 nel 2023, nel Centro da 1,15 a 1,12; infine il Mezzogiorno, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra una flessione inferiore rispetto all’1,26 del 2022. In tale contesto, riparte la posticipazione delle nascite, fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Dopo un biennio di sostanziale stabilità, nel 2023 l’età media al parto si porta a 32,5 anni (+0,1 sul 2022). Tale indicatore, in aumento in tutte le ripartizioni, continua a registrare valori nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9 anni) superiori rispetto al Mezzogiorno (32,2), dove però si osserva l’aumento maggiore sul 2022 (era 32,0).
Il Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,42, continua a detenere il primato della fecondità più elevata del Paese, sebbene sia tra le regioni con la variazione negativa maggiore rispetto al 2022 (1,51). Seguono Sicilia e Campania, con un numero medio di figli per donna rispettivamente pari a 1,32 e 1,29 (contro 1,35 e 1,33 nel 2022). In queste tre regioni le neo-madri risultano mediamente più giovani che nel resto del Paese: 31,7 anni l’età media al parto in Sicilia; 32,2 anni in Trentino-Alto Adige e Campania.
La Sardegna continua a essere la regione con la fecondità più bassa. Stabilmente collocata sotto il livello di un figlio per donna per il quarto anno consecutivo, nel 2023 si posiziona a 0,91 figli (0,95 nel 2022). La precedono altre due regioni del Mezzogiorno: la Basilicata, dove il numero medio di figli per donna scende da 1,10 nel 2022 a 1,08 nel 2023; il Molise rimasto stabile a 1,10. La Sardegna e la Basilicata sono, insieme al Lazio, le tre regioni in cui il calendario riproduttivo risulta più posticipato, con età medie al parto rispettivamente pari a 33,2, 33,1 e 33 anni.
Scendendo a livello provinciale, il più alto numero medio di figli per donna si registra nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen (1,56), che presenta una significativa discesa rispetto al 2022 (era 1,64). Seguono le Province di Gorizia (1,42), Palermo (1,39), Reggio Calabria (1,37), Ragusa (1,36) e Catania (1,36). Tutte le Province sarde, ai minimi nazionali, presentano una fecondità inferiore al figlio per donna: da quelle di Cagliari e del Sud Sardegna (0,86 per entrambe) a quelle di Oristano (0,93), Sassari (0,95) e Nuoro (0,99). A queste seguono la Provincia di Massa Carrara (1,02), nel Centro, e quella di Verbano-Cusio-Ossola (1,06), nel Nord.
Quindi ad inizio di quest’anno la popolazione residente presenta un’età media di 46,6 anni, in crescita di due punti decimali (circa tre mesi) rispetto all’inizio dello scorso anno: la popolazione ultrasessantacinquenne, che nel suo insieme ad inizio anno conta 14.358.000 individui, costituisce il 24,3% della popolazione totale, contro il 24% dell’anno precedente; è anche in aumento il numero di ultraottantenni, i cosiddetti grandi anziani: con 4.554.000 individui, quasi 50.000 in più rispetto a 12 mesi prima, questo contingente ha superato quello dei bambini sotto i 10 anni di età (4.441.000 individui). Questo rapporto, che è ora sotto la parità, era di 2,5 a 1 venticinque anni fa e di 9 a 1 cinquanta anni fa.
Diminuiscono inoltre gli individui in età attiva e i più giovani: i 15-64enni scendono da 37.472.000 (63,5% della popolazione totale) a 37 milioni 447mila (63,5%), mentre i ragazzi fino a 14 anni di età scendono da 7.344.000 (12,4%) a 7.185.000 (12,2%). Il Centro e il Nord, caratterizzati da una struttura di popolazione relativamente più anziana, presentano una proporzione di giovani (0-14 anni) rispettivamente pari al 12,1% e all’11,8%. Nel Mezzogiorno la quota è invece del 12,5%, ancora la più alta pur se in calo. In conclusione il numero stimato di ultracentenari (individui di 100 anni di età e più) raggiunge a inizio 2024 il suo più alto livello storico, superando 22.500 unità, oltre 2.000 in più rispetto all’anno precedente.
Fondazione Oasis: un nuovo sguardo sulle migrazioni

“Come avviene con numerose altre questioni, anche il dibattito pubblico sul fenomeno migratorio ha infatti un andamento altalenante. Esplode nei frangenti di particolare drammaticità per poi svanire fino all’emergenza successiva. Cambiare rotta, come recita il titolo di questo incontro, è perciò un invito di ordine culturale prima ancora di essere una proposta rivolta ai decisori politici.