In Rwanda il Giardino dei Giusti per un percorso di riconciliazione
Lo scorso 27 luglio 2024 è stato inaugurato a Kamonyi, in Rwanda, il primo ‘Giardino dei Giusti’, frutto della collaborazione tra la Fondazione Gariwo, Bene Rwanda Onlus e il partner locale ‘Sevvota’ (Solidarity for the Development of Widows and Orphans to Promote Self-Sufficiency and Livelihoods), come memoria di quelle donne e quegli uomini che hanno messo a rischio la propria vita per salvare persone durante il genocidio del 1994 (800.000 persone in 100 giorni), proteggendo persone tutsi e hutu moderati dalle violenze perpetrate da criminali appartenenti alla maggioranza hutu.
Alla cerimonia di inaugurazione hanno partecipato Alice Wairimu Nderitu, consigliere speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione dei genocidi; Godeliève Mukasarasi, fondatrice e presidentessa di ‘Sevota’; Françoise Kankindi, presidente di ‘Bene Rwanda Onlus’; Jean Paul Habimana, scrittore, insegnante e sopravvissuto al genocidio; Maria Urayeneza, giusta al Giardino di Milano e Benedetta Macripò, rappresentante di ‘Gariwo Network’.
I primi Giusti onorati nel Giardino sono Raphael Lemkin, Pierantonio Costa e Maria Urayeneza: Raphael Lemkin, ebreo polacco, ideatore della definizione di genocidio, che non smise mai di ricordare al mondo che la prevenzione di tali crimini e responsabilità dell’umanità intera; il console onorario Pierantonio Costa, che riuscì a portare in salvo almeno 2.000 persone; Maria Urayeneza, che con il marito ha nascosto, protetto e aiutato a fuggire moltissimi tutsi.
‘Sevota’ è nata grazie a Godeliève Mukasarasi, ‘giusta’ al Giardino di Milano nel 2022, che nonostante avesse subito orribili violenze e avesse perso gran parte della famiglia ha cercato di ritessere (a partire soprattutto dalle moltissime vedove e dalle migliaia di donne stuprate) il tessuto della società ruandese, coinvolgendo 70.000 persone in attività di formazione e riconciliazione.
Françoise Kankindi ha sottolineato il significato di ‘cattiva memoria’: “Con questa espressione intendiamo la disinformazione, applicata volutamente attorno a un genocidio che è stato programmato, preparato nei minimi dettagli, preannunciato e reiterato. Quando si sono scatenate le violenze del 1994, il mondo ha girato la testa dall’altra parte, tacendo dei massacri che da anni insanguinavano il Ruanda. Questo quindi è il senso del titolo, e purtroppo a vent’anni dal genocidio questa cattiva memoria persiste”.
Allora, quale significato ha l’inaugurazione del Giardino dei Giusti a Kamonyi?
“L’inaugurazione del primo Giardino dei Giusti in Rwanda a Kamonyi ha un significato molto importante: fornire un luogo fisico alle persone che hanno rischiato la propria vita salvando quella degli altri durante il genocidio dei Tutsi nel 1994, dedicando un albero ed una stella, appunto per ricordare a qualsiasi uomo che anche nei momenti più buoi si può optare per una scelta diversa da quello che le autorità prendono, salvando la vita umana invece di uccidere”.
Cosa scatenò il genocidio?
“La sete del governo rwandese di allora di aggrapparsi al potere fino a pianificare lo sterminio della minoranza Tutsi, percepita come pericolo e capro espiatorio rispetto alla richiesta dei profughi Tutsi organizzati nella guerriglia sotto il Fronte Patriottico con l’obiettivo di poter ritornare a casa”.
Cosa significa fare memoria del genocidio?
“Fare memoria del genocidio dei Tutsi in Rwanda significa costruire un futuro per le future generazioni rwandesi in quanto per anni dal 1959, anno in cui per la prima volta i Tutsi sono stati massacrati e sistematicamente ogni 5/10 anni avvenivano i pogrom fino alla soluzione finale del 1994, i governi che organizzavano lo sterminio di una parte della sua popolazione non hanno mai riconosciuto i crimini che avvenivano nell’indifferenza della comunità internazionale”.
Quanto è stato difficile il percorso di riconciliazione?
“La difficoltà è facilmente immaginabile pensando al contesto rwandese dove all’indomani del genocidio, i sopravvissuti Tutsi hanno dovuto convivere con gli assassini delle loro famiglie. Tuttavia, il nuovo governo rwandese guidato dal Fronte Patriottico che ha fermato il genocidio, vincendo la guerra contro il governo Hutu che l’aveva organizzato, ha dovuto far fronte alla necessità di gestire le carceri gremiti di persone accusate di genocidio.
Ha dovuto ricorrere ai gacaca, sistema di giustizia tradizionale ruandese, dove sul prato del villaggio la gente si incontrava sotto la giurisdizione dei saggi, i colpevoli pentiti confessano i loro crimini e chiedevano perdono. Dietro la prestazione di lavori collettivi e aiuto diretto alle vittime erano reintegrati nella comunità e così lentamente sulle colline i rwandesi hanno potuto ritrovare di nuovo il gusto del vivere insieme”.
A 30 anni dal genocidio quale Paese è il Rwanda?
“Il Rwanda di oggi è un paese pacificato ed è il più sicuro dell’Africa. Sono appena tornata da casa, ho vissuto in prima persona la voglia di farcela che anima ogni rwandese, la fiducia incondizionata che la popolazione nutre nei confronti del loro presidente Paul Kagame, che li ha tirato fuori dalle macerie del genocidio e sta ricostruendo il Paese con una tenacia e ordine invidiabile”.
Cosa si propone l’associazione ‘Bene Rwanda Onlus’?
“Trasmettere la memoria del genocidio, promuovendo iniziative culturali tesi a fare conoscere la storia del Rwanda secondo il punto di vista dei figli del Rwanda che vivono in Italia”.
(Tratto da Aci Stampa)