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Venerdì Santo: sulla croce Io Sono

Oggi pomeriggio nella Basilica Vaticana papa Francesco ha presieduti nella Basilica Vaticana la celebrazione della Passione del Signore, ma la riflessione è stata svolta dall predicatore della Casa Pontificia, card. Raniero Cantalamessa, sul tema ‘Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono’, parola “che Gesù pronunciò al termine di una accesa disputa con i suoi contraddittori… Dice semplicemente ‘Io Sono’, senza specificazione. Ciò dà alla sua dichiarazione una portata assoluta, metafisica”.

Il card. Cantalamessa ha sottolineato che Gesù offre una nuova visione di Dio, che si manifesta al mondo sulla croce: “Siamo dinanzi a un totale rovesciamento dell’idea umana di Dio e, in parte, anche di quella dell’Antico Testamento. Gesù non è venuto a ritoccare e perfezionare l’idea che gli uomini si sono fatti di Dio, ma, in certo senso, a rovesciarla e rivelare il vero volto di Dio. L’idea di Dio che Gesù è venuto a cambiare, purtroppo, ce la portiamo tutti dentro, nel nostro inconscio”.

Dio sulla croce si mette a ‘disposizione’ dell’uomo: “Ci vuole poca potenza per mettersi in mostra; ce ne vuole molta, invece, per mettersi da parte, per cancellarsi. Che lezione per noi che, più o meno consciamente, vogliamo sempre metterci in mostra! Che lezione soprattutto per i potenti della terra!”

Il mistero della Croce è preceduto dal kerygma: “All’inizio c’è sempre il kerygma, cioè la proclamazione del mistero della Croce, visto ogni volta in una delle sue infinite virtualità e in rapporto ai problemi storici ed esistenziali del momento; da esso scaturisce ogni volta la parenesi, cioè l’applicazione morale alla vita del cristiano, sul modello delle Lettere paoline, specie di quella ai Romani”.

La Passione narra che la morte è vinta: “La sua morte era stata vista da una grande folla e aveva coinvolto le massime autorità religiose e politiche. Da risorto, Gesù appare soltanto a pochi discepoli, fuori dai riflettori. Con ciò ha voluto dirci che dopo aver sofferto, non bisogna aspettarsi un trionfo esteriore, visibile, come una gloria terrena. Il trionfo è dato nell’invisibile ed è di ordine infinitamente superiore perché è eterno! I martiri di ieri e di oggi ne sono la prova”.

La Resurrezione, al contrario della crocifissione, avviene nel ‘silenzio: “La risurrezione avviene nel mistero, senza testimoni… Dopo aver sofferto non bisogna aspettarsi un trionfo esteriore, visibile, come una gloria terrena. Il trionfo è dato nell’invisibile ed è di ordine infinitamente superiore perché è eterno! I martiri di ieri e di oggi ne sono la prova”.

Ecco il motivo per cui attraverso la croce Gesù salva: “Vieni tu che sei anziano, malato e solo, tu che il mondo lascia morire nella miseria, nella fame, o sotto le bombe; tu che per la tua fede in me, o la tua lotta per la libertà, languisci in una cella di prigione; vieni tu, donna, vittima della violenza. Insomma tutti, nessuno escluso: Venite a me e io vi darò ristoro!”

Riflessione che rispecchia le meditazioni di papa Francesco della Via Crucis al Colosseo, dove si sottolinea il cammino di preghiera verso il Calvario compiuto da Gesù, che chiede di vegliare: “Una cosa sola ci hai domandato: restare con te, vegliare. Non ci chiedi l’impossibile, ma la vicinanza. Eppure, quante volte ho preso le distanze da te! Quante volte, come i discepoli, anziché vegliare ho dormito, quante volte non ho avuto tempo o voglia di pregare, perché stanco, anestetizzato dalle comodità, assonnato nell’anima. Gesù, ripeti ancora a me, a noi tua Chiesa: ‘Alzatevi e pregate’. Svegliaci, Signore, destaci dal torpore del cuore, perché anche oggi, soprattutto oggi, hai bisogno della nostra preghiera”.

Proprio per questa compassione per il mondo Gesù salva nella ripetizione di quattordici invocazioni: “Signore, ti preghiamo come i bisognosi, i fragili e i malati del Vangelo, che ti invocavano con la parola più semplice e familiare: con il tuo nome. Gesù, il tuo nome salva, perché tu sei la nostra salvezza. Gesù, sei la mia vita e per non perdere la rotta nel cammino ho bisogno di te, che perdoni e rialzi, che guarisci il mio cuore e dai senso al mio dolore…

Gesù, prima di morire dici: ‘è compiuto’. Io, nella mia incompiutezza, non potrò dirlo; ma confido in te, perché sei la mia speranza, la speranza della Chiesa e del mondo. Gesù, ancora una parola voglio dirti e continuare a ripeterti: grazie! Grazie, mio Signore e mio Dio”.

(Foto: Santa Sede)

Domenica delle Palme: la Passione del Signore

Il cammino quaresimale oggi ci introduce nella Settimana Santa nella quale la Liturgia ci propone il ricordo della passione, morte e risurrezione di Cristo Gesù. Una giornata caratterizzata  da due momenti che vanno del canto della folla ‘Osanna’ al grido blasfemo della stessa folla, aizzata dai Capi e dal Sinedrio, che grida ‘Crucifige’.

Il primo momento liturgico di oggi è gioioso: palme e rami di ulivo in segno di esultanza al grido: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore: il Re di Israele’. E’ la domenica del trionfo di Gesù che viene accolto nella città di Gerusalemme; Gesù appare il vero Messia atteso da secoli. Il secondo momento è il ricordo drammatico della sua passione e morte descritto  nel Vangelo: è l’iter del sacrificio annunziato da Gesù: “se il chicco di grano non muore, non diventerà una spiga”. Grazie infatti al sacrificio di Gesù sulla croce sono state aperte a noi  le porte del regno dei cieli; inizia la nuova Alleanza tra Dio e l’uomo, grazie al sacrificio di Cristo Gesù.

Ma la domanda è spontanea: chi sono i veri responsabili della passione e morte di Gesù? Sono stati gli Ebrei o sono stati i Romani?  Gesù ha subìto  due processi: uno religioso e l’altro politico. Due tribunali con accuse diverse; nel processo religioso è stato accusato di avere bestemmiato perché ha affermato di essere ‘figlio di Dio’: al Sommo Sacerdote, che lo aveva interrogato: “Se tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”, Gesù aveva risposto: “sì, lo sono” e tutti gridarono: “è reo di morte”. Il secondo processo è stato impiantato in chiave politica: davanti al governatore romano; a Ponzio Pilato che interroga Gesù: “Sei tu il re dei Giudei?”, Gesù risponde: “Sì, sono Re, ma il mio regno non è di questo mondo!”. Pilato si convince che Gesù è innocente, ma, dietro le grida della folla: “Se non lo condanni a morte, ti accuseremo a Cesare”, Pilato se ne lava le mani, libera Barabba ed accontenta la folla e i Capi del Sinedrio. 

Due tribunali, due accuse diverse, due condanne a morte. Chi è il vero responsabile della condanna a morte di Gesù? Nel racconto del Vangelo si inseriscono vari episodi: Giuda, che lo aveva tradito si è andato ad impiccare; Pietro che lo rinnega davanti ad una cameriera, piange il suo peccato. A questi fatti eclatanti fanno riscontro fatti positivi: Un Cireneo aiuta Gesù a portare la croce; Maria e le pie donne seguono Gesù piangendo; il Centurione romano, visto Gesù spirare, esclama: “davvero costui era figlio di Dio” mentre il velo del tempio si squarcia in due. Chi è il vero responsabile della morte in croce di Gesù? 

Certamente al di là del racconto storico, i veri responsabili, senza alcun forse, non sono né gli Ebrei, né i Romani, il vero responsabile è l’uomo e il suo peccato, sei tu, sono io, siamo tutti  perché Cristo si è offerto al sacrificio della croce per salvare l’uomo peccatore. Gesù ha portato i nostri peccati sulla croce per salvare l’uomo peccatore: “Egli è stato schiacciato per le nostre iniquità”. Dietro Giuda, che vendette Gesù per trenta denari (baratto terribile), ci sei tu, ci sono io, che tanta volte facciamo di peggio. Gesù era passato ‘sanando e beneficando tutti’, noi  barattiamo e vendiamo Gesù per molto meno di trenta denari; tradiamo l’amore di Dio per soddisfare un capriccio, per la nostra stupida superbia ed orgoglio e talvolta ci vergogniamo di apparire cristiani davanti ad avversari della fede. L’uomo peccatore è peggio di Pilato, che se ne lava le mani.

Dall’alto della Croce Gesù prega: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato (recita un salmo), non è un grido di disperazione, non è un rifiuto della Croce e le sue ultime parole sono: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno”. Gesù, abbassato il capo, spira; il velo del Tempio si squarcia in due mentre il centurione romano esclama: “davvero costui è Figlio di Dio”.  La quaresima acquista un senso solo se si attua l’invito di Gesù: ‘convertitevi’, cambiate testa, prendete coscienza che davanti a Dio vivere è amare, amare è servire, come il buon Pastore che dà la sua vita per salvare le sue pecorelle.                                                                                       

I crimini del silenzio di fronte all’ingiustizia degli oppressi

Dice il proverbio arabo: Chi tace dinanzi all’ingiustizia è un diavolo muto. Il diavolo taciturno è il peggior tipo di demone, perché il silenzio di fronte all’ingiustizia, all’abuso e all’oppressione è una partecipazione passiva che contribuisce alla continuazione della situazione, perfino alla sua giustificazione, e spesso la esacerba e peggiora. Il silenzio di fronte a situazioni ingiuste spinge gli oppressori a persistere, li incoraggia a mantenere le loro posizioni sbagliate e in molti casi li spinge a giustificare a sé stessi quelle posizioni vergognose, fino a considerare le loro ingiustizie motivo di orgoglio e di vanto.

Mentre, dire la verità, costi quel che costi e qualunque siano i risultati, è una delle caratteristiche delle persone nobili, giuste e dotate di principi, morali e valoriali, ed è l’unica via di chi sceglie la strada della fede, dell’umanità, dell’integrità e della rettitudine morale.

Infatti, esistono diversi tipi di persone: il primo tipo è quello di coloro che dicono la verità per vantarsi e per sentirsi migliori degli altri e, così facendo, esprimono solo la loro arroganza e la nauseante sensazione di essere migliori degli altri e di avere il diritto di condannarli e giudicarli. Qui Gesù Cristo gli dice: ‘Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi’ (Mc 4, 24). Cristo mette in guardia contro questo tipo di persone che condannano gli altri che si vantano e si arrampicano sulle spalle degli altri con il pretesto di ‘dire la verità’, non ‘per amore della verità’.

Il secondo tipo è quello di coloro che tacciono di fronte all’ingiustizia degli altri e li giustificano dicendo che non vogliono condannare nessuno, dimostrando così la loro paura e codardia. Nascondono la testa nella sabbia come se nulla fosse successo. Questo tipo di persone spesso tacciono quando si tratta di dire la verità davanti ai potenti e alle persone influenti per paura della loro vendetta e per ottenere il loro compiacimento e approvazione e per evitare la loro malvagità.

Queste persone spesso si comportano come Ponzio Pilato, che si lava le mani di fronte all’ingiustizia dell’Innocente, credendo così di essersi esonerato dalla responsabilità nonostante abbia detto: ‘Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?’ (Gv 19,10). Questo tipo di ipocrisia è il tipo più spregevole di evasione dalle responsabilità, è di facciata, di giustificazione e persino di vanto che arriva sino a sfruttare i versetti della Bibbia per giustificare un silenzio vergognoso ed evitare di prendere posizione o dire la verità.

Il terzo tipo è di quelli che restano in silenzio fino a quando la tempesta non è passata e appena raggiungono la certezza dei risultati gridano come se fossero i più valorosi dei cavalieri. E’ un tipo di essere umano caratterizzato da opportunismo, meschinità spirituale e umana. Scelgono di tacere finché non sono certi dei risultati e appena appare la ‘visione’ il troviamo tra i primi a congratularsi con il vincitore e consolare il perdente. Commerciano anche nel dolore, versano lacrime di finzione e simulano di essere compassionevoli e generosi, ma in realtà pensano solo a sé stessi e ai loro guadagni, esprimendo così la bassezza e la fragilità dei loro principi e della loro vita morale.

Il quarto tipo è di quelli che credono di adottare la moderazione come approccio e si vantano di parlare diplomaticamente per non ferire nessuno, ma in realtà sono come camaleonti che cambiano colore a seconda delle circostanze cosicché nessuno possa scoprire il loro vero colore. Agiscano con tatto ed educazione per sostenere il loro cambio di posizione secondo le circostanze, dimenticando che Gesù Cristo ci insegna: ‘Siano le vostre parole sì, sì, no, no. E tutto il resto viene dal male’ (Mt 5:37). Il tatto è necessario quando si tratta di cortesia umana, non quando si tratta di dire la verità contro l’ingiustizia e a favore degli oppressori e di rendere giustizia agli oppressi.

Il quinto tipo è di coloro che dicono la verità basandosi sulla convinzione della necessità di essere coraggiosi e di non tradire i propri principi e valori, costi quel che costi. Questo tipo di esseri umani sono come le perle preziose: non mutano colore, non cambiano le loro parole secondo la grandezza di chi hanno davanti, ma secondo l’autenticità della loro fede, della loro storia, della loro alta morale.

Esprimono le loro opinioni sia davanti ai governanti sia davanti agli oppressi. Sono come il profeta Natan che si presentò davanti al re Davide, affrontandolo, dicendogli: ‘Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone ….. e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro’ (2 Sam 12, 7-9).

Questo tipo di persone sanno che dire la verità è un dovere religioso, morale e umano. Ci insegnano che dire la verità deve essere fatto con educazione, rispetto e tatto, ma resta un dovere morale e di fede, in primis, soprattutto di fronte a comportamenti sbagliati, indipendentemente dalla posizione o dal rango civile o ecclesiastico delle persone ingiuste.

Oggi abbiamo tanto bisogno di uomini di questo tipo che non temono altro che il volto di Dio e il suo giusto giudizio. Uomini che dicono: basta con il silenzio, la sottomissione e la codardia. Uomini che urlano contro le rovine delle nostre coscienze mummificate per risvegliarle dalla morte e dal marciume.

Uomini con un cuore coraggioso, una lingua parlante, una coscienza pura, una storia onorevole e cuore puro. Uomini che non calcolano le cose secondo gli standard di questo mondo e l’equilibrio tra vincitori e vinti, ma piuttosto agiscono con valore e audacia. Uomini che scuotono coscienze vergognose, lingue mute, occhi ciechi e orecchie chiuse, cuori pietrificati e menti logore. Uomini che tracciano un percorso nell’oscurità, capaci di accendere la speranza. Gesù disse: ‘Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi’ (Gv 8, 32).

La Chiesa ha ricordato i martiri copti

Giovedì 15 febbraio scorso nella basilica di san Pietro si è svolta la prima commemorazione dei 21 Martiri Copti di Libia, il cui inserimento nel Martirologio Romano era stato annunciato da papa Francesco nello scorso 11 maggio, organizzata dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è stata presieduta dal card. Kurt Koch, con la partecipazione di mons. Antonios Aziz Mina, vescovo copto-cattolico emerito di Ghizeh, di p. Thaouphilos, vicario generale della diocesi copto-ortodossa di Torino-Roma, di don Antonio Gabriel, parroco della chiesa copta di san Mina a Roma, animata dal coro copto di Roma.

Nell’omelia il card. Koch ha sottolineato il significato di sacrificio: “La croce di Gesù mostra chiaramente che l’amore non può esistere senza l’investimento della propria vita a favore degli altri, e testimonia ciò che la fede cristiana intende per sacrificio. Il vero sacrificio di Gesù Cristo non consiste nel sacrificio di animali o nell’offerta di beni materiali a Dio, ma risiede nel dono di sé da parte del Figlio al Padre, per noi uomini.

Non poteva essere sufficiente che Gesù offrisse a Dio cose materiali: animali o altri doni, come avveniva nel Tempio di Gerusalemme. Gesù non ha offerto nulla se non se stesso. Per questo è diventato il nuovo Tempio e ha introdotto nel mondo una nuova forma di culto, realizzandola sulla croce tramite il dono della sua vita per noi”.

Il ‘sacrificio’ di Gesù mostra che Egli ama l’umanità: “Questa nuova liturgia è il sacrificio che Gesù ha compiuto non solo per mostrarci il suo amore a parole, con dichiarazioni astratte, ma per farci sperimentare il suo amore, che è senza limiti, nel dono della sua vita. La croce è la manifestazione del più grande amore di Gesù; essa mostra che Gesù Cristo è il primo martire, e dunque il vero amico dell’uomo”.

Però il martirio non è fine a se stesso: “La passione di Gesù è il primo martirio e, allo stesso tempo, è il modello esemplare del martirio dei cristiani che vivono nella sua sequela e donano la propria vita per amore di Lui, avendo così parte al suo martirio. Il martirio originale di Gesù mostra cosa è un martire nello spirito cristiano.

Come Gesù si è conformato interamente alla volontà del Padre celeste per noi uomini e ha dato la vita sulla croce a motivo del suo amore infinito per noi, così anche il martire cristiano non cerca il martirio, ma se il martirio giunge in maniera inevitabile lo prende su di sé, come conseguenza della lealtà alla sua fede”.

L’essere ucciso non costituisce di per sé il martirio: “Pertanto il fatto di essere uccisi non costituisce in sé il martirio secondo la tradizione della Chiesa cattolica. Non è la morte in sé a fare del cristiano un martire, ma è piuttosto il suo intento e quindi la sua disposizione interiore, come ha notato sant’Agostino: ‘Christi martirem non facit poena, sed causa’. Se per il martirio cristiano prendiamo come esempio Gesù Cristo, allora il suo segno distintivo sarà l’amore. Il martire mette in pratica la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte”.

Ciò è stato vissuto dai martiri coopti ortodossi: “I martiri copti ortodossi, che sono stati uccisi crudelmente in Libia il 15 febbraio 2015 e che oggi ricordiamo con gratitudine per la loro testimonianza di fede, hanno testimoniato ciò con il sacrificio della loro vita… I martiri della Chiesa non sono un fenomeno marginale, ma costituiscono il suo fulcro fondamentale”.

Perciò il martirio è un aspetto essenziale del cristianesimo: “Questa convinzione si è rivelata vera ripetutamente nel corso della storia della Chiesa. Ciò si riconferma anche nel mondo odierno, dove si contano addirittura più martiri rispetto al tempo delle persecuzioni dei cristiani nei primi secoli. L’ottanta per cento di tutti coloro che oggi sono perseguitati a causa della loro fede sono cristiani. Attualmente, la fede cristiana è la religione più perseguitata. La cristianità è diventata ancora una volta una Chiesa martire, in misura incomparabile”.

E l’ecumenismo dei martiri era stato evidenziato da san Giovanni Paolo II durante l’Anno Santo del 2000: “Nell’ecumenismo dei martiri, papa Giovanni Paolo II aveva già ravvisato una fondamentale unità tra noi cristiani e aveva sperato che i martiri potessero aiutare la cristianità a ritrovare la piena comunione…

Come la Chiesa primitiva era convinta che il sangue dei martiri sarebbe stato seme di nuovi cristiani, così anche oggi possiamo nutrire la speranza nella fede che il sangue di tanti martiri del nostro tempo possa un giorno rivelarsi seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo, ferito da così tante divisioni. In fondo, nel sangue dei martiri (possiamo esserne certi) siamo già diventati una cosa sola”.

Quindi i martiri pongono la sfida dell’unità dei cristiani: “Difatti, la sofferenza di così tanti cristiani nel mondo odierno costituisce un’esperienza comune che ci aiuta ad avvicinarci gli uni agli altri. E la comunione dei martiri parla senza dubbio in maniera più eloquente delle divisioni che ancora oggi ci dividono.

In questo spirito di ecumenismo del sangue, papa Francesco ha sempre considerato molto importante la testimonianza dei martiri copti ortodossi. Includendoli nel Martirologio Romano come ‘segno della comunione spirituale che unisce le nostre due Chiese’, egli ha voluto mostrare che i martiri copti ortodossi sono testimoni della fede anche nella Chiesa cattolica, e che dunque sono anche i nostri martiri”.

Al termine della celebrazione è stato proiettato ‘I 21. La potenza della fede’, un documentario sulla vita dei martiri girato proprio nel villaggio da dove provenivano i martiri, che aveva il patrocinio del Patriarcato coopto.

(Foto: Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani)

San Camillo de Lellis: il santo degli infermi

San Camillo de Lellis (Bucchianico (Chieti), 25 maggio 1550 – Roma il 14 luglio 1614), ottiene da papa Sisto V di portare cucita sul suo abito religioso una croce rossa che egli ottenne di portare cucita sull’abito religioso, il 20 giugno 1586. Viene detto dai biografi che“per tre ragioni piacque al padre nostro che portassimo la Croce ne’ vestimenti, tenendola per nostra impresa e insegna.

Papa Francesco incontra donne uscite da contesti mafiosi

Papa Francesco ieri ha incontrato un gruppo di donne guidate da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, cartello di associazioni contro le mafie. che hanno deciso di infrangere codici millenari fondati sulla violenza e sulla minaccia, soffermandosi sulla presenza delle donne nella società:

XXII Domenica Tempo Ordinario: la logica del mondo e la logica del cielo

La vita è uno rischio da vivere, d’accettare se vogliamo essere uomini veri, cristiani autentici. Nel brano del vangelo Gesù annuncia la Pasqua per condurre gli Apostoli e i discepoli a riconoscere che la nostra salvezza ha origine e fondamento nel sacrificio della croce e non nel trionfalismo stupido e superficiale. L’apostolo Pietro, a cui Gesù aveva detto: ‘Sei pietra, roccia e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa’, non l’aveva ben capito, come d’altronde molti cristiani ancora non lo capiscono.

Papa Francesco: la croce è l’amore più grande di Gesù

A Lisbona la giornata si è conclusa al parco Edoardo VII’ con la Via Crucis, animata dai giovani, che hanno rappresentato le scene con riflessioni con tutte le sensazioni dei giovani, dal bullismo alla paura della solitudine all’intolleranza e anche alla depressione, al problema del clima, della fama di molti paesi o alla tirannia del ‘corpo perfetto’ fino alla questione dei rifugiati, della disabilità o alla paura per una mancanza di futuro. A loro papa Francesco ha detto di non lasciarsi condizionare dal mondo, perché Gesù è il cammino, ‘Gesù cammina per me’:

Card. Petrocchi: la Pasqua risveglia dal letargo

“L’annuncio della Pasqua, che la Chiesa proclama con gioia, deve risuonare in noi come invito alla conversione, ma anche come preziosa opportunità per fare un ‘momento di verità’. Di qui la domanda fondamentale che siamo chiamati a porci: in che misura la Pasqua di Cristo è diventata la nostra Pasqua?”

Papa Francesco: illazioni contro la memoria di san Giovanni Paolo II

“E purtroppo, in stridente contrasto con il messaggio pasquale, le guerre continuano, e continuano a seminare morte in forme raccapriccianti. Addoloriamoci per queste atrocità e preghiamo per le loro vittime, chiedendo a Dio che il mondo non debba più vivere lo sgomento della morte violenta per mano dell’uomo, ma lo stupore della vita che Lui dà e che rinnova con la sua grazia! Seguo con preoccupazione gli avvenimenti che si stanno verificando in Sudan. Sono vicino al popolo sudanese, già tanto provato, e invito a pregare affinché si depongano le armi e prevalga il dialogo, per riprendere insieme il cammino della pace e della concordia. E penso anche ai nostri fratelli e sorelle che in Russia e in Ucraina oggi celebrano la Pasqua. Che il Signore sia loro vicino e li aiuti a fare la pace!”

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