246° giorno del #ArtsakhBlockade. Cronaca dal campo di concentramento della soluzione finale di Aliyev in Artsakh. “Obbedisco solo alla mia coscienza. E gli Armeni sono miei fratelli”
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.08.2023 – Vik van Brantegem] – In vista della sessione di emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’illegale #ArtsakhBlockade, richiesto con urgenza dalla Repubblica di Armenia, come richiesto dal Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, dopo aver perso in campo diplomatico e legale, sotto le pesanti critiche che sta subendo da parte di personaggi, organizzazioni, istituzioni e media di altissimo livello, il regime di Aliyev intensifica le provocazioni militari cercando disperatamente di rovinare il processo di pace mediato da USA e Unione Europea.
«Secondo fonti dell’esecutivo di Yerevan, “la Russia non ha più la forza per imporre una pace ma certamente ha ancora la forza per farla fallire”» (Pietro Guastamacchia – Il Foglio, 20 maggio 2023 – Pashinyan vuole guardare a occidente ma non è arrivato il momento). «Italia come sempre omertosa nelle faccende estere per via della scarsa conoscenza in generale e l’abitudine di consumare trash content pompato da mille account di propaganda che tengono in distrazione i cervelli» (Irine Kuklina).
«Hanno cercato di seppellirci.
Non sapevano che eravamo semi.
Ci hanno dato un destino» [*]
«Non voglio perdere la mia specie, la mia nazionalità, la mia piccola ma potente patria. L’Artsakh è la base per la conservazione della nostra specie armena» (Liana Margaryan, giornalista freelance armena).
Dopo l’Angelus Domenicale in Piazza San Pietro di ieri, Papa Francesco ha detto: «Un altro tragico naufragio è accaduto alcuni giorni fa nel Mediterraneo: quarantuno persone hanno perso la vita. Ho pregato per loro. (…) È una piaga aperta della nostra umanità. Incoraggio gli sforzi politici e diplomatici che cercano di sanarla in uno spirito di solidarietà e di fratellanza, come pure l’impegno di tutti coloro che operano per prevenire i naufragi e soccorrere i migranti. (…) Uniamoci in preghiera ai nostri fratelli del Camerun affinché, per intercessione della Vergine, Dio sostenga la speranza del popolo, che soffre da anni, e apra vie di dialogo per giungere alla concordia e alla pace. E preghiamo anche per la martoriata Ucraina, che soffre tanto per questa guerra».
Purtroppo, neanche una parola, pur piccola, per la «piaga aperta della nostra umanità» della morte per fame a cui l’Azerbajgian ha condannato il popolo dell’Artsakh e nessun «incoraggiamento per gli sforzi politici e diplomatici che cercano di sanarla in uno spirito di solidarietà e di fratellanza» nel Caucaso meridionale. Nessuna preghiera per i «nostri fratelli» del «martoriato» Artsakh. Quindi, attendiamo con fiducia il prossimo Angelus e nel frattempo preghiamo per l’Artsakh, anche se il Papa si è dimenticato a chiederlo, nonostante l’appello di Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni (cattolici), pur ripreso sabato 12 agosto anche da Vatican News [QUI].
Varosha è la parte più tragica della storia di Cipro sotto occupazione turca. Varosha, la “città fantasma” vuota e recintata nell’Europa sud-orientale, un sobborgo della città di Famagosta, che è sotto l’occupazione militare turca dall’invasione turca nel 1974 a Cipro. I suoi residenti legali non sono autorizzati a tornare nelle loro case e la Turchia ha in programma di colonizzarla per farne una “Città del casinò”. Nel 2023 gli occupanti possono sfruttare il bottino di guerra che non possiedono?
Nel momento in cui l’Europa si unisce contro l’invasione russa dell’Ucraina, non potrà continuare ad essere passiva davanti alla continua occupazione del territorio europeo di Cipro, uno stato membro. Non potrà continuare ad essere passiva davanti alla continua minaccia all’esistenza della più antica civiltà cristiana del mondo.
L’Unione Europea sarà forte solo quando sarà unita con determinazione e agisce al di là delle belle parole di solidarietà per l’unico popolo al mondo attualmente sotto assedio e in blocco totale. Non agire rende l’Unione Europea complice del genocidio in corso in Artsakh.
«Non c’è gas, né elettricità in #Artsakh, non c’è acqua da diversi giorni. Quest’uomo tiene la mano di suo figlio e sta per portare l’acqua in casa con dei secchi» (Ani Balayan, fotoreporter in Artsakh – Email).
«A mia madre non è permesso sollevare cose pesanti, ma ora deve portare l’acqua a casa con secchi pesanti. Siamo già andati 7 volte a prendere l’acqua con un secchio, ma la giornata è appena iniziata» (Ani Balayan, fotoreporter in Artsakh Email mailto:anivannlll@gmail.com).
«Ciao sono Maria, sono sotto assedio da parte dell’Azerbajgian ormai da 8 mesi. Tutti i bambini del mondo amano i dolci, ma oggi per noi non ci sono dolci, niente dolci, niente cibo, farina, sale, medicine, mezzi di trasporto. Tutti noi in Artsakh abbiamo bisogno di te. Mi guardi, ascoltami: vogliamo vivere, vivere nella nostra patria, nella nostra casa, Artsakh».
«Questo convoglio umanitario è ancora qui in attesa di raggiungere la popolazione del Nagorno-Karabagh per soddisfare i loro bisogni fondamentali e fermare la fame. Ma il Corridoio di Lachin, che è la strada della vita, è ancora bloccato dall’Azerbajgian da mesi. La popolazione soffre di malnutrizione e aspetta ogni giorno che il Corridoio di Lachin venga sbloccato. La comunità internazionale, i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in particolare, possono fermare l’arma della fame, che viene utilizzata dall’Azerbajgian come leva per la pulizia etnica e il genocidio» (Edmon Marukyan, Ambasciatore con incarichi speciali della Repubblica di Armenia).
A questo post su Twitter sono seguiti i soliti commenti dei soliti troll Azeri, di qui riportiamo alcuni esempi, per rendere l’idea a quali livelli è arrivata la fabbrica di menzogna di Ilham Aliyev:
«- Ma questo è un evento creato artificialmente dall’Armenia. Cosa può fare la comunità internazionale se lo stesso Azerbajgian offre assistenza umanitaria e il carico dall’Armenia è invitato a utilizzare la strada Agdam-Khankendi?
– Il Karabakh è l’Azerbajgian!!!
– Il gioco è finito
– Falsi e propaganda armena!!!
– Ormai sarebbero arrivati a Khankendi se avessero utilizzato la strada principale, la strada di Aghdam
– Propaganda armena
– Ritornate a casa. L’Azerbajgian non ha chiesto aiuti umanitari. Non c’è crisi in Azerbajgian 🙂
– L’Azerbajgian non ha chiesto aiuti umanitari. Potresti prendere in considerazione l’assunzione di alcune persone che sanno come guidare i camion per riportarli da dove provengono».
SOS. Nel 245° giorno del #ArtsakhBlockade, con 120.000 Armeni bloccati, affamati e terrorizzati da Azerbajgian, uno “stato” i cui fondamenti sono il revisionismo storico, l’armenofobia di Stato, il panturkismo, che è indifferente alla pace con l’Armenia. Ecco, nelle foto sopra, il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, esprime come vede la “pace”.
Quanto segue è un buon articolo, che riassume perfettamente la situazione e quanto stiamo a scrivere qui da otto mesi. Poi, la Repubblica viene letto dal governo… e dall’opposizione. Quindi, ha un peso non di poco conto.
Nagorno-Karabakh, l’Armenia chiede l’intervento Onu. “È in corso un genocidio”
La crisi umanitaria si sta evolvendo in qualcosa di più drammatico dopo il blocco del Corridoio di Lachin lo scorso dicembre da parte degli Azeri
di Luna De Bartolo
la Repubblica, 13 agosto 2023
L’assedio del Nagorno-Karabakh è entrato nella fase finale. Ai 120.000 armeni etnici che abitano questo fazzoletto di terra situato all’interno dei confini dell’Azerbajgian sono rimaste solo due possibilità: capitolare o morire di stenti. Diverse testimonianze raccolte da Repubblica tracciano con precisione i contorni di una crisi umanitaria che sta rapidamente evolvendo in qualcosa di più atroce.
“Possiamo resistere alcune settimane, al massimo arrivare alla fine di ottobre”, afferma con sicurezza Siranush Sargsyan, giornalista di Stepanakert, capitale de facto dell’Artsakh, Stato a riconoscimento limitato autoproclamatosi indipendente da Baku nel 1992. Con la fine della stagione agricola, verrà a mancare anche quel poco che ancora permette alla popolazione di sopravvivere. A Stepanakert, dove risiede la metà degli abitanti del Nagorno-Karabakh, si sta in fila per ore sotto il sole cocente per un pezzo di pane o una manciata di frutti.
La carenza di benzina limita gravemente il trasporto dei prodotti della terra dai contadini locali alla città. Va un po’ meglio nei villaggi e nei centri minori, dove in molti possono contare su un piccolo orto. La famiglia di Ashot Gabrielyan, insegnante di Askeran, si ciba essenzialmente di patate, pomodori e melanzane.
I più fortunati possiedono capi di bestiame. Non c’è olio né sale né zucchero, e così è impossibile conservare gli alimenti per i prossimi mesi. Mancano i medicinali, i prodotti per l’igiene, quelli per la cura e il nutrimento dei neonati. Non c’è gas. L’elettricità è presente solo alcune ore al giorno, compromettendo il funzionamento delle pompe dell’acqua. Il trasporto pubblico è sospeso, ci si sposta solo a piedi.
È il giorno di blocco numero 245. Dallo scorso dicembre, l’Azerbajgian ha interrotto il passaggio lungo il Corridoio di Lachin, una striscia di terra che collega il Nagorno-Karabakh, altrimenti circondato da territorio azero, all’Armenia. Secondo l’accordo di cessate il fuoco mediato dal Cremlino che ha messo fine alla guerra del 2020, vinta da Baku con il supporto turco, il corridoio doveva restare sotto il controllo del contingente di peacekeeping russo schierato a protezione della tregua.
Invece, come nell’allegoria della rana bollita, l’Azerbajgian ha prima inviato dei finti ambientalisti a inscenare delle proteste con lo scopo di ostruire il passaggio, poi il 23 aprile ha stabilito un posto di blocco all’ingresso del corridoio, infine il 15 giugno ha totalmente sigillato il Nagorno-Karabakh, impedendo l’accesso ai rifornimenti che periodicamente arrivavano con le forze di pace di Mosca e persino agli aiuti del Comitato Internazionale della Croce Rossa, cui è solo concesso di trasportare i pazienti più gravi a Erevan, pur tra frequenti interruzioni e difficoltà. Lo scorso 29 luglio, i militari azeri hanno prelevato un anziano cardiopatico dall’ambulanza che lo stava evacuando accusandolo di crimini di guerra.
Venerdì, l’Armenia ha inviato una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, domandando la convocazione di una riunione d’emergenza. “La speranza è che venga adottata una risoluzione”, commenta Tigran Grigoryan, analista di base a Erevan. “Baku ha ignorato le decisioni provvisorie della Corte Internazionale di Giustizia (il maggiore organo giudiziario dell’ONU, che il 22 febbraio e il 6 luglio ha ordinato all’Azerbajgian di impiegare “tutte le misure a sua disposizione per garantire il movimento di persone, veicoli e merci lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni, senza ostacoli”). C’è quindi una base giuridica”.
Il Nagorno-Karabakh, che prima del blocco dipendeva dall’Armenia per il 90 per cento del fabbisogno interno, è oggi obbligato all’autarchia. La Russia è rimasta a guardare mentre Baku portava avanti la sua agenda. L’obiettivo, ne sono certi molti osservatori, è la pulizia etnica. Tuttavia, ritiene Sargsyan, “se sarà aperto un corridoio umanitario per permettere alla gente di lasciare l’Artsakh, in tanti non lo faranno. La maggior parte delle persone pensa che sia meglio morire qui, nella loro terra ancestrale, piuttosto che vivere in un altro posto”.
L’8 agosto, l’ex procuratore della Corte Penale Internazionale Luis Moreno Ocampo ha pubblicato un report in cui afferma di reputare che è in corso un genocidio ai danni della popolazione del Nagorno-Karabakh. “Non ci sono forni crematori né attacchi a colpi di machete. La fame è un’arma di genocidio invisibile. In assenza di cambiamenti rilevanti e immediati, questo gruppo di armeni verrà annientato in poche settimane”, ha avvertito Ocampo.
Dopo mesi di silenzio, almeno in parte motivati dalla volontà di non alienare Baku nel contesto dei negoziati di pace in corso con l’Armenia, l’Occidente ha compreso che non è più possibile ignorare l’elefante nella stanza, ovvero la crisi umanitaria artificiale in Nagorno-Karabakh. “So che gli Stati Uniti stanno contemplando l’imposizione di sanzioni all’Azerbajgian”, sostiene Grigoryan.
Sono invece basse, da parte armena, le aspettative di vedere passi decisivi dall’Unione Europea: “A Brussel c’è una divergenza di opinioni”, afferma l’analista. “Il Parlamento è più attivo, mentre la Commissione tiene conto di considerazioni improntate alla realpolitik”. François-Xavier Bellamy, Eurodeputato francese e Vicepresidente di Les Républicains, parla di un vero e proprio scontro tra le due istituzioni dell’UE. Il problema centrale, ritiene, è rappresentato da “un’analisi geopolitica non adeguata” nel contesto dell’attuale necessità di contrastare la Russia.
“Se osserviamo il mondo in bianco e nero, allora Mosca è il nemico, la Turchia è nostro alleato nella NATO, e l’Azerbajgian è alleato della Turchia. L’Armenia, di conseguenza, non appare essere dal lato giusto della Storia. Ma ciò che vediamo sul campo è che la Russia è coinvolta nel blocco del Corridoio di Lachin”.
Inoltre, Baku è oggi un partner energetico dell’UE. “Stiamo acquistando dall’Azerbajgian del gas che in termini etici non è certo migliore di quello russo”, accusa Bellamy. Poi solleva una questione di straordinaria rilevanza: “Ormai sappiamo, sulla base di fatti e dati, che Baku ci sta vendendo del gas che viene da Mosca. Ho posto una domanda in merito alla Commissione, senza riceverne una reale risposta. Stiamo aggirando le nostre stesse sanzioni”. La Russia, commenta Grigoryan, non solo non è più un alleato dell’Armenia, ma è un partner di ferro dell’Azerbajgian e della Turchia, da cui sta sviluppando una marcata dipendenza.
L’inazione di Brussel, per Bellamy, rischia di comprometterne irrimediabilmente la reputazione: “L’Europa è stata fondata sulle rovine di un genocidio, ha iniziato a formarsi per non permettere che si ripetesse, mai più. Se lasciamo che ciò accada ai nostri confini, ai danni di un popolo che ha già subito questo calvario nel XX secolo, porteremo per sempre questa vergogna sulle nostre spalle”.
Quanto segue fa bene alla mente, al cuore e all’anima… era “il sussurro di una brezza leggera” che attendevo ieri. Un Ebreo che prega per gli Armeni.
«A meno che X non ha contato in modo errato, da quando ho pubblicato questo articolo su Le Point per denunciare il viaggio dei rabbini in Azerbajgian, 790 persone si sono cancellate dal mio account. Con calma, vi dico, obbedisco solo alla mia coscienza. E gli Armeni sono miei fratelli» (Marc Knobel).
Congratulazioni a Marc Knobel per la sua integrità morale, che non è sempre la scelta popolare, ma sicuramente è giusto il suo stare al fianco degli Armeni. Conta solo la verità, la giustizia e la pace vera. Bravo e grazie a Marc Knobel, a nome dei tanti che lo sostengono,
“Rabbini, mi vergogno e sono ebreo”
Lo storico e saggista Marc Knobel è indignato per l’imminente conferenza dei rabbini europei in Azerbajgian, Paese in conflitto con l’Armenia.
di Marc Knobel
Le Point, 8 agosto 2023
(Nostra traduzione italiana dal francese)
È così che gli effetti dell’annuncio e dell’informazione gelano il sangue, e il mio sangue non si è girato. Su un sito web viene annunciato che una prossima conferenza dei rabbini europei si terrà in AzerbaJgian, nel novembre 2023. Quanto è scioccante, triste e straziante questa notizia, e me ne vergogno. Sì, mi vergogno ed è mio dovere di ebreo denunciare l’imminenza di un tale convegno.
Spieghiamo. Il 1° agosto 2023, l’agenzia di stampa Jewish News Syndicate (JNS) [QUI], che fornisce notizie su Israele e il mondo ebraico, annuncia che il prossimo incontro biennale della Conferenza dei Rabbini Europei si terrà a Baku, dal 12 al 15 novembre 2023, su invito di Ilham Aliyev, Presidente dell’Azerbajgian.
All’evento sono attesi circa 500 rabbini europei e Pinchas Goldschmidt ha incontrato il dittatore dell’Azerbajgian all’inizio di quest’anno per parlarne. Eppure è un uomo coraggioso che ha criticato l’atroce guerra della Russia contro l’Ucraina. Rabbino Capo di Mosca per quasi tre decenni (dal 1993 al 2022), ha lasciato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, poi si è dimesso dal suo incarico.
Allineamento pericoloso con la politica di Israele
Oggi Pinchas Goldschmidt presiede la Conferenza dei Rabbini Europei, la principale alleanza rabbinica ortodossa in Europa, che riunisce più di 700 leader religiosi delle principali comunità sinagogali d’Europa. Interrogato dal JNS, Pinchas Goldschmidt ha dichiarato senza batter ciglio che “l’Azerbajgian è un paese con una memoria speciale per il popolo ebraico e ospita una delle comunità ebraiche più singolari al mondo”. Aggiunge che “lo sviluppo delle relazioni tra Israele e Azerbajgian è di grande importanza oggi in Medio Oriente”. Così facendo, Pinchas Goldschmidt si schiera goffamente con Israele, con le sue scelte strategiche e politiche.
Spieghiamo ancora. Per molti anni, gli Israeliani hanno considerato l’Azerbaigian – il 96% della cui popolazione è musulmana e il 75% sciita – come un importante alleato strategico contro l’Iran. È vero che i rapporti tra Iran e Azerbajgian sono piuttosto tesi, con i due Paesi che si considerano reciprocamente un pericolo per le rispettive sovranità nazionali. Inoltre, la lunghezza totale del confine iraniano-azerbajgiano è di 689 chilometri. Tuttavia, l’Azerbaijan avrebbe autorizzato il Mossad a istituire un ramo avanzato per monitorare quanto sta accadendo in Iran, vicino a sud dell’Azerbajgian e ha persino preparato un aeroporto destinato ad aiutare Israele nel caso in cui decidesse di attaccare i siti nucleari iraniani.
Di recente (maggio 2023), Isaac Herzog, il Presidente israeliano, ha effettuato una visita di stato a Baku, per elogiare le eccellenti relazioni tra i due Paesi. E, dal 2005, Israele vende all’esercito azero alcune delle armi più sofisticate e letali, che gli conferiscono la superiorità militare contro l’Armenia e gli Armeni del Nagorno-Karabakh (droni kamikaze, cannoni semoventi, mortai, sistemi radar avanzati, sistema missilistico Skype, missili guidati anticarro, missili antiaerei, ecc.) [QUI].
Capite che l’Armenia è in pericolo mortale?
Ma se le scelte di Israele sono quelle che sono (ahimè) e se Israele è soddisfatto dell’eccellenza delle sue relazioni bilaterali con l’Azerbajgian, come e perché una conferenza rabbinica e autorità religiose dovrebbero necessariamente e senza interrogarsi ulteriormente allinearsi ai calcoli geostrategici di Israele e alla loro ragion di Stato, pur di accarezzare i capelli del dittatore di Baku?
Quindi voglio dire questo. E voglio dirlo con ancora più forza perché sono ebreo.
Signori rabbini, cari amici, ricordate i dolori della storia? Sentite ancora il grido di questo piccolo popolo, il popolo armeno, decimato da un orribile genocidio impunito nel 1915? E chi, nel corso della sua storia, ha dovuto difendere la sua religione (cristiana), la sua cultura e la sua lingua di fronte alle avversità, alla malvagità e all’odio?
Signori rabbini, cari amici, sapete che l’Armenia subisce costantemente l’ira dei suoi folli e malvagi vicini (Turchia e Azerbajgian), due Stati di lingua turca che sognano di realizzare a sue spese un incrocio terrestre? Capite che l’Armenia è in pericolo mortale?
Cari rabbini, cari amici, sapete che fiumi di profughi armeni hanno dovuto lasciare il Nagorno-Karabakh, la loro terra benedetta e infinitamente e intimamente armena, nelle mani dei teppisti di Baku, da quando una coalizione turco-azera ha deciso di invadere il Nagorno-Karabakh in 2020?
Pulizia etnica
Rabbini e cari amici, sapete che l’Azerbajgian sta effettuando la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh? Lo sapete che in Nagorno-Karabakh non succede più niente? Le scorte di beni di prima necessità, igiene e comfort di base sono da tempo esaurite. Lo stesso vale per i farmaci. La popolazione, innamorata della modernità, viene riportata al Medioevo, mentre oggi attende la carestia, per la totale assenza di importazioni, ma anche la possibilità di trasporti interni per la totale penuria di carburante…
Rabbini capi, cari amici, conosco altri rabbini europei, tra cui Haïm Korsia, il rabbino capo di Francia. Non lusingherà il dittatore di Baku e non si lascerà corrompere da un simile regime. Questi altri rabbini non faranno parte di questa pericolosa avventura e preferiranno pregare per gli Armeni, piuttosto che vendere le loro anime al diavolo.
Signori rabbini, mi vergogno e sono ebreo. Pensate, c’è ancora tempo.
Segnaliamo
– L’Armenia chiede aiuto alle Nazioni Unite per la situazione umanitaria del Nagorno-Karabakh. La diplomazia armena accusa l’Azerbajgian di bloccare l’unica strada disponibile che collega il Nagorno-Karabakh con l’Armenia – Al Jazeera, 12 agosto 2023 [QUI]: «L’Armenia ha fatto appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per convocare una riunione di emergenza su quella che ha definito un “deterioramento della situazione umanitaria” nel Nagorno-Karabakh dopo aver accusato l’Azerbajgian di bloccare i rifornimenti alla regione contesa».
[*] Le prime due righe (“Hanno provato a seppellirci. Non sapevano che eravamo semi”) sono del poeta e letterato greco Dinos Christianòpoulos.
La terza riga (“Ci hanno dato un destino”) è aggiunta di un’amica armena. Per me è la prima volta che l’ho sentito, ma non mi suonava nuovo.
Infatti, gli Armeni sono Cristiani, a differenza dei nomadi Tartari, e quindi, sanno che l’uomo non è padrone del suo destino. Il nostro destino non è ancora scritto, perché per un Cristiano esiste il libero arbitrio. Siamo liberi di decidere del nostro domani. E Gesù ha detto: «Rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cielo» (Cfr. Lc 10, 20b).
In questi tempi bui, per i Cristiani Armeni (e per noi) ascoltare queste parole di Gesù, accende una luce di speranza: i nostri nomi sono scritti nei cieli. Lo dice ai settantadue discepoli, di ritorno dal loro viaggio nelle città della Galilea, a due a due, con nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura. Sono stati accolti in molte case; davanti ad alcune porte si sono scossi la polvere dai sandali; hanno predicato e convertito molta gente; hanno unto e guarito gli ammalati; ed hanno perfino scacciato dei demoni. Ora tornano trionfanti: «I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: “Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Egli disse: “Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli”» (Lc 10, 17-20). Quindi, gli Armeni accendono una luce di speranza nel loro cuore e illumineranno il mondo.
Io, la luce di speranza per gli Armeni ho acceso non solo nel mio cuore, ma anche fisicamente, davanti alla Sacra Icone della Madonna della Tenerezza, a cui, come si sa, sono molto devoto. Ho la sua Sacra Icona intronata nella stanza da letto e davanti a Lei accendo i ceri per chiedere la Sua intercessione per ringraziarLa, insieme alle roselline, quando crescono sui balconi.
Correttamente, questa Sacra Icona è chiamata Madre de Dios Humilenie (Madre di Dio della Dolorosa Gioia). Come ho raccontato per la prima volta il 3 novembre 2017 [QUI], ho ricevuto questa Sacra Icona, dipinta da Beatriz Fazio nel 2000, in dono dal mio compianto direttore, Dott. Joaquín Navarro-Valls, a conclusione del Grande Giubileo dell’Anno Santo 2000, per il mio servizio reso per la preparazione e la gestione delle attività connesse con l’Ufficio di accreditamento e il Centro Servizio Stampa temporanei. Si trovava nel mio ufficio presso la Sala Stampa della Santa Sede e lo portavo sempre con me nell’Ufficio temporaneo “del Fungo” (si chiamava così perché funzionava nel “Salone degli ambasciatori” sopra lo Studio pontificio presso l’Aula Paolo VI) per la pubblicazione e la traduzione dei testi delle Assemblee Generali del Sinodo di Vescovi. Ho esposto questa Icona anche all’ingresso dei vari Media Center installati nell’Aula Paolo VI in Vaticano dopo l’Anno 2000 in occasione dei grandi eventi (conclavi, canonizzazioni), fino all’anno 2014.
La Madre di Dio Humilenie o Eleousa è il nome di un noto tipo iconografico della Madre di Dio, caratterizzata da un affettuoso abbraccio guancia a guancia di Maria e Gesù bambino. Ritenuto che abbia avuto origine a Bisanzio dopo il periodo iconoclastico, l’immagine unisce i temi dell’amore materno e la passione di Cristo. Profeticamente anticipando il destino che attende il suo figlio, espressione amorevole della madre di Dio porta un pizzico di profonda tristezza.
Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]