Il «prete malandrino» del «Gotha», «pienamente inserito negli intrecci esistenti tra le famiglie criminali del territorio di San Luca» – Prima parte

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.08.2023 – Vik van Brantegem] – Anche se scomunicare le mafie oggi non è una priorità per la Santa Sede, come è stato detto autorevolmente [QUI], continuiamo la nostra copertura di esponenti del clero calabrese «pienamente inserito negli intrecci esistenti tra le famiglie criminali», perché per noi è ancora tra le priorità. La scomunica per le mafie, così come la tolleranza zero per gli abusi sessuali (per gli abusatori e gli insabbiatori) e non solo sull’”altare dell’ipocrisia” [QUI]. Perciò, nessuno ci convincerà di stare in silenzio, perché “i panni sporchi vanno lavati in famiglia”, visto che il cambiamento non nasce dall’interno ma avviene solo con l’esposizione nei media, “il loro peggiore incubo”.

La definizione venne usata il 23 febbraio 2019 da Valentina Alazraki – corrispondente a Roma dal 1974 dell’emittente messicano Televisa con cinque pontefici, un’autorità tra i vaticanisti e una star nel suo Paese (di tutto questo rendo testimonianza ex professo) – nel suo discorso ai 114 Presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo, convocati dal Papa per l’incontro “La protezione dei minori nella Chiesa” dal 21 al 24 febbraio 2019 in Vaticano.

Quello che disse Alazraki allora in riferimenti agli abusi sessuali, per cui ricevette una standing ovation dai suoi colleghi in Sala Stampa della Santa Sede, vale ancora oggi, e anche per i preti collusi con le mafie: «Quante volte mi è toccato ascoltare che lo scandalo degli abusi è “colpa della stampa, che è un complotto di certi mass media per screditare la Chiesa, che dietro ci sono poteri occulti, per mettere fine a questa istituzione”». «Noi abbiamo scelto da quale parte stare. Voi, lo avete fatto davvero, o solo a parole?». «Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo dalla stessa parte». «Possiamo essere alleati, non nemici. Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane. Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché noi giornalisti, che vogliamo il bene comune, saremo i vostri peggiori nemici».

Oggi, con alcuni articoli sulla stampa calabrese, del passato e del presente, ritorniamo sul caso di Don Giuseppe (Pino) Strangio, nato il 27 giugno 1956, ordinato sacerdote il 18 ottobre 1980, residente a San Luca (Reggio Calabria), spogliato da tutti gli incarichi pastorali, ma ancora annoverato tra il clero della Diocesi di Locri-Gerace [QUI].

Il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto dal giudice Silvia Capone, con i giudici a latere Andreina Mazzariello e Stefania Ciervo, il 2 agosto 2023 ha depositato le motivazioni della sentenza emessa il 30 luglio 2021 per gli imputati del processo “Gotha”. Questo processo, uno dei più importanti celebrati a Reggio Calabria dai tempi di “Olimpia”, si era concluso due anni fa in aula bunker con 15 condanne e 15 assoluzioni.  Tra i condannati eccellenti l’ex Parlamentare Paolo Romeo, l’ex Sottosegretario regionale Alberto Sarra e l’ex Rettore del santuario della Madonna della Montagna di Polsi e ex Parroco della Parrocchia Santa Maria della Pietà di San Luca Don Giuseppe (Pino) Strangio.

Svelando un «sistema di potere ambiguo», che, stando ai collaboratori di giustizia sentiti in aula, è stato caratterizzato da «promiscuità tra ‘ndrangheta e ambienti Istituzionali», il processo “Gotha” era nato dalla riunione delle inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchimia” e “Sistema Reggio” della Dda, coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri, dai procuratori aggiunti Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino e dai pubblici ministeri Walter Ignazitto, Sara Amerio, Roberto Di Palma e Giulia Pantano.

Nella sentenza si evidenzia la metamorfosi profonda che ha segnato la ‘Ndrangheta reggina negli ultimi tre decenni, un inabissamento obbligato dall’incalzare delle indagini giudiziari, che ha garantito affari lucrosi senza inutile spargimento di sangue, grazie anche alla rigida organizzazione che ha impedito i contatti diretti tra l’“ala militare” e i “riservati”. Poi, ha messo a nudo la commistione tra una parte dello Stato, delle forze dell’ordine, della magistratura e dei servizi segreti, la cosiddetta “Zona Grigia” e il “Sistema”, per assicurare gli successi nelle iniziative di contrasto alla criminalità organizzata e alla cattura di latitanti. Infine, lo “scambio ineguale” per favorire la eliminazione di avversari senza spargimenti di sangue, accrescendo l’ambiguità di quel rapporto che ha reso labili i confini tra apparati criminali e rappresentanti dello Stato e della Chiesa.

Don Giuseppe (Pino) Strangio.

In un articolo Don Pino Strangio, il “padrone” del santuario che piace alla massomafia, pubblicato il 5 agosto 2023 sul blog Iacchite [QUI] Alessia Candito scrive:
«Per un pezzo di Calabria, Papa Francesco può continuare a sgolarsi inutilmente [*]. In barba agli appelli antimafia del pontefice, c’è chi fra i suoi sacerdoti con ‘ndrine e clan – per di più di massimo livello – continua a trovarsi a proprio agio. E ci sta così bene da figurare fra gli imputati di un maxiprocesso antimafia, dove gli tocca difendersi dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e partecipazione ad un’associazione segreta in odor di ‘Ndrangheta. Contestazioni pesanti ma più che giustificate per i magistrati perché della terra di mezzo in cui si mischiano borghesia e clan, Don Pino Strangio – sostengono gli inquirenti – era e forse è un fondamentale punto di riferimento. Per decenni rettore del santuario di Polsi, luogo sacro dei clan che lì convergono ogni settembre per la festa della Madonna della Montagna, Don Pino di quell’umanità per anni è stato portavoce e pubblico difensore. Parente di quegli Strangio divenuti noti per la strage di ferragosto che ha mostrato alla Germania il volto più sanguinoso della ‘Ndrangheta, dal pulpito per anni il parroco ha tuonato contro giornalisti, forze dell’ordine e magistrati, accusati di perseguitare intere famiglie «solo per il cognome che portano».
Quando qualcuno osava ricordare la particolare e sospetta densità mafiosa della comunità di pellegrini che affollavano il suo santuario, era sempre il primo a insorgere. E quando qualcuno faceva notare quelle pesanti parentele che forse non facevano di lui la persona più adeguata a gestirlo, non ha mai esitato a rispondere per le rime. Don Pino Strangio «Che mandino un maresciallo a predicare, così la facciamo finita una volta per sempre» ha detto nel ‘99 con una durezza quanto meno inusuale per un “servo di dio”, sulla carta disponibile a svolgere il proprio apostolato in ogni angolo del globo Ma servo don Pino non lo è mai stato.
Di Polsi e San Luca, pugno di case arroccate sui fianchi dell’Aspromonte da cui il santuario dipende, è sempre stato il padrone, uso a diffondere il proprio verbo non solo in chiesa, ma anche per le vie del paese, dove messaggi e omelie per anni hanno risuonato grazie a potenti altoparlanti. A nome delle pecorelle della sua comunità invece, Don Pino non ha mai esitato a usare i microfoni, che per anni gli sono stati messi (o ha chiesto che gli fossero messi) sotto il naso. Indignato, su ogni media disponibile ha tuonato contro le autorità ogni volta che la Questura ha vietato i funerali pubblici di picciotti e boss per evitare che si trasformassero in informali summit. Tronfio, ha difeso la decisione dei cittadini di San Luca di voltare le spalle alla democrazia, rifiutandosi di presentare liste per le elezioni. E persino in tribunale, quando è stato chiamato a testimoniare, non ha esitato a schierarsi a difesa dei suoi. E se questo avveniva in pubblico, ben più preoccupante – dice l’inchiesta che lo ha spedito davanti ai giudici – è stata per anni l’attività che Don Pino Strangio ha svolto in segreto.
Era lui a incontrarsi regolarmente con esponenti di punta della ‘Ndrangheta reggina per discutere di candidature, elezioni, alleanze. Sempre lui a tentare di riservare a sé e ai suoi importanti finanziamenti regionali. Era lui a progettare di “offrire” un paio di latitanti di medio rango per disinnescare la pressione dello Stato su San Luca, ma soprattutto – emerge dall’inchiesta – ad alimentare la macchina del fango contro i magistrati reggini quando quei tentativi sono caduti nel vuoto. E forse non si tratta solo di iniziative personali. Per i pentiti, quello di Don Pino è un compito ereditario. «Don Stilo – dice il collaboratore Marcello Fondacaro – lasciò la sua eredità a Don Strangio di San Luca, la sua eredità intesa eredità di rapporti, di rapporti politici, di rapporti massonici». Parente del potentissimo clan Morabito di Africo, padrone dei fondi per la ricostruzione post alluvione e di una scuola trasformata in diplomificio e rifugio per affiliati e latitanti, per alcuni persino massone di rango, arrestato per mafia e poi scagionato, Don Stilo è morto senza esser mai stato raggiunto da una condanna.
Ma per i pentiti era sacerdote e uomo di riferimento della ‘Ndrangheta. E non è morto senza eredi. «Don Pino Strangio era malandrino, a Gioia Tauro – dice il pentito Antonio Russo – era ben quotato nell’ambito della ‘Ndrangheta diciamo… per la ‘Ndrangheta era un malandrino, non perché era stato battezzato ma per i fatti che lui faceva». Tutti elementi che tuttavia alla Chiesa in Calabria non sembrano essere bastati per prendere le distanze dal suo sacerdote. Ufficialmente vescovi e preti si spellano le mani per il nuovo corso – quanto meno ufficialmente – antimafia della Santa Sede, alcuni rispediscono al mittente offerte che puzzano di clan, ma a Don Pino la gerarchia cattolica calabrese non sembra voler rinunciare. Da Polsi è stato allontanato, o meglio sono state accettate le sue dimissioni. Ma a San Luca, Don Pino Strangio rimane il padrone. Della parrocchia (anche se formalmente si è dimesso, ndr) e probabilmente anche della comunità».

[*] Papa Francesco: preti, uomini e donne della ‘ndrangheta “sono scomunicati”. Le parole chiare che chiedeva la gente ferita dalla criminalità in Calabria, Papa Francesco le ha pronunciato il 21 giugno 2014 nell’ultima tappa della sua Visita Pastorale alla Diocesi di Cassano all’Jonio, la più piccola delle diocesi calabresi, durante la sua omelia per la Santa Messa nella spianata dell’area ex Insud a Sibari, frazione del comune di Cassano all’Ionio in Calabria, che fu una delle più importanti città della Magna Grecia sul mar Ionio. La ‘ndrangheta ha detto Papa Francesco, è “adorazione del male e disprezzo del bene comune”, è un “male” che “va combattuto, va allontanato”, anche dalla Chiesa che “deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere”. E ha pronunciato a braccio anche la sentenza che tanti invocavano: gli appartenenti alla ‘ndrangheta “non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”.
“Un’espressione che non era prevista nel testo ufficiale e nemmeno nell’integrazione che era stata distribuita poco prima che il pontefice iniziasse a parlare e che già conteneva i passaggi più duri nei confronti dei mafiosi. Termini che, probabilmente, Francesco ha maturato nel corso della sua giornata calabrese″, ha scritto Andrea Gualtieri su Repubblica.it il 21 giugno 2014 (2014: Papa Francesco scomunica la ‘ndrangheta. 2020: Cosa è cambiato nella Chiesa? – 27 gennaio 2020 [QUI]).


2016

‘Ndrangheta, Don Pino Strangio shock: “Qui a San Luca il sindaco non serve”
di Ilaria Calabrò
Strettoweb.com, 16 giugno 2016


“La comunità, dopo l’esperienza con il commissario prefettizio Salvatore Gullì ha capito che c’è più bisogno di lui che di un sindaco. La gente sta raccogliendo delle firme per non farlo andare via, visti i rapporti che ha saputo creare”. Sono le dichiarazioni che Pino Strangio, parroco di San Luca, ha rilasciato in esclusiva a Klaus Davi nel corso dell’ultima puntata del programma Gli Intoccabili [QUI], trasmesso dall’emittente calabra LaC Tv, canale 19 del digitale terrestre, parlando delle elezioni a San Luca.

“Sono 36 anni che sono qui. Ho chiesto di andare via però il vescovo ha sempre detto: «Deve rimanere, non deve lasciare San Luca». Se mi hanno tenuto qui ci sarà un motivo”, ha spiegato il parroco, iscritto nel registro degli indagati della Procura di Reggio Calabria nell’ambito della inchiesta “Fata Morgana”, coordinata dal Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Don Pino Strangio è indagato per associazione segreta, insieme all’ex deputato Paolo Romeo, il commercialista Natale Saraceno, l’avvocato Antonio Marra, gli imprenditori Giuseppe Chirico, Antonio Idone, Domenico Marcianò ed Emilio Angelo Frascati: “Ho parlato con il vescovo e gli ho detto: «Attendo con fiducia quello che farà la giustizia poi vedremo il da farsi». Ho conosciuto Paolo Romeo (secondo l’accusa avrebbe favorito la ‘ndrangheta in alcune attività economiche di Reggio Calabria ndr), Marra era il mio avvocato”.

2017

La dispensa da rettore del santuario Madonna della Montagna di Polsi

Dopo aver ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini avviate a suo carico dalla Dda per concorso esterno in associazione mafiosa e violazione della legge Anselmi, il 28 gennaio 2017 il Vescovo di Locri-Gerace, Mons. Francesco Oliva, aveva dispensato Don Pino Strangio dopo oltre vent’anni dall’incarico di rettore del santuario Madonna della Montagna di Polsi, luogo simbolo per gli uomini della ‘Ndrangheta, attorno al quale, ogni settembre nei giorni della festa della Madonna, si danno appuntamento i rappresentanti dell’”ala militare” delle cosche più potenti.

Chiesa, cambio alla guida del Santuario di Polsi
Lascia Don Pino, indagato per ‘Ndrangheta
Quotidiano del Sud, 28 gennaio 2017

Don Pino Strangio non è più il rettore del Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, in Aspromonte, che ha guidato per 20 anni.

Il Vescovo di Locri-Garace, infatti, ha accettato la richiesta di dispensa fatta dallo stesso Don Pino, parroco di San Luca, dopo avere ricevuto un avviso di conclusione indagini notificato dalla Dda di Reggio Calabria nell’ambito di un procedimento che sintetizza cinque diversi filoni investigativi.

Il sacerdote è indagato per associazione mafiosa

Secondo l’accusa, Strangio «mediava nelle relazioni tra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della ‘Ndrangheta».

Il Santuario della Madonna di Polsi è un luogo di culto mariano noto anche per i summit che, secondo quanto è emerso da diverse inchieste, le cosche di ‘Ndrangheta vi tenevano in coincidenza della festa del 1° e 2 settembre per decidere strategie e affari. Stamani il Vescovo di Locri-Gerace, Mons. Francesco Oliva ha incontrato don Pino e Don Antonio Saraco ai quali ha consegnato una lettera nella quale accetta la richiesta di dispensare don Pino dall’incarico di Rettore e lo affida a Don Tonino.

«Desidero condividere con voi – ha scritto il prelato – questo momento tanto delicato per la vita del nostro Santuario diocesano di Polsi. Il mio saluto va anzitutto a te, Don Pino, che, dopo quasi venti anni di servizio ininterrotto, mi hai chiesto di essere dispensato da un così gravoso impegno pastorale al Santuario, in modo da seguire con più attenzione i tuoi problemi personali. Lasci l’incarico dopo aver speso per esso tante energie e tempo. Hai custodito il Santuario, proteggendolo dai tanti pericoli che “l’aspro monte” nasconde in sé, valorizzandone l’indole accogliente e sapendo ovviare alle difficoltà dovute alle vie di accesso sempre precarie e soggette alle intemperie della stagione invernale. Il Signore ricompensi te ed i tuoi collaboratori per il sevizio svolto. Ora il testimone passa a Don Tonino. A te, Don Tonino, viene consegnata un’eredità di fede, tradizione, arte, storia e cultura, che sarai chiamato a conoscere, amare e servire. Polsi è nel cuore dell’Aspromonte e della Calabria. Grembo di una Madre che nel corso dei secoli ha accolto e rigenerato tanti suoi figli, ma che ha anche sofferto per le profanazioni subite a causa di fatti e misfatti, di complicità e sangue versato da gente senza scrupoli, in nome spesso di una religiosità deviata e non vera».

«Polsi come grembo di madre – ha concluso Mons. Oliva – è chiamata a generare alla vita cristiana ed a convertire i peccatori al Vangelo. Un Vangelo che rifiuta il compromesso col potere del denaro e delle armi, della violenza e dell’arroganza mafiosa. Essere luogo di spiritualità e di fede: è questa la sfida su cui si gioca il futuro del nostro Santuario. Dovrai esserne fedele e coraggioso interprete».

2019
Il santuario della Madonna della Montagna di Polsi


Sulla questione del santuario della Madonna della Montagna di Polsi è ritornato il 2 settembre 2019 il Vescovo di Locri-Gerace, Mons. Francesco Oliva: «Per me è ingeneroso continuare a collegare questo luogo di culto alla ‘ndrangheta, azzerando quanto da anni si sta facendo per recuperare la sua vera identità. Polsi è semplicemente un santuario, non è la chiesa della ‘Ndrangheta».

L’ha detto nella sua omelia in occasione della festa della Madonna della Montagna celebrata i nel santuario di Polsi. Parole che riferivano indirettamente a quanto giorni prima al Senato dal Presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, che ha definito quello di Polsi “il santuario cui la ‘Ndrangheta ha deciso di consegnarsi”, dopo che varie inchieste hanno dimostrato come in passato, a Polsi, si svolgessero summit di ‘Ndrangheta.

Nella sua omelia Mons. Oliva ha affermato: «È un santuario da amare, da custodire, da tutelare da ogni interesse ed interferenza esterna. È un luogo sacro che vuole offrire ai tanti pellegrini che lo visitano momenti di silenzio, di preghiera. Un luogo dove è possibile riscoprire il rispetto per la natura, il valore della riconciliazione con Dio e con i fratelli. La società civile ha tutto l’interesse che sia questo e che ci si adoperi sempre più nell’affermare e tutelare questa identità. Le nostre comunità, l’intera società ha bisogno di luoghi, ove poter riscoprire i valori alti della pace, della solidarietà e del perdono. Essi sono polmoni di spiritualità, di cui tutti e l’intera società abbiamo bisogno. Quanto vorrei che Polsi divenisse simbolo del riscatto morale della nostra gente, che non accetta più di restare al di fuori delle agende politiche. È nelle attese di tutti poter arrivare al santuario di Polsi da ogni dove, sani e malati, giovani ed anziani. Si deve poter venire qui senza rischiare la vita. Una nuova strada, più sicura e percorribile, è il simbolo del riscatto di Polsi. A riguardo possiamo dire, come annunciato lo scorso anno, che siamo sulla buona strada. C’è un finanziamento, c’è una volontà politica. Ma occorre passare dalle parole ai fatti. Vigiliamo perché non accada, come talvolta è accaduto, che i finanziamenti stanziati, vadano distratti, sperperati, mal spesi, senza giungere alla conclusione dell’opera. Presteremo la massima attenzione. La realizzazione dell’opera nei tempi giusti significherà la vittoria della buona amministrazione sulle forze disgregatrici, criminali e mafiose».

«Perdona, Signore – ha concluso il Vescovo di Locri-Gerace – quanti hanno profanato questo santuario, rinsaldando vincoli di complicità criminali. Perdona quanti non sono venuti qui per pregare. Perdona quanti hanno strumentalizzato questo luogo sacro, quanti si sono serviti dell’immagine di Maria senza amarla veramente».

2021

La dimissione da parroco della parrocchia Santa Maria della Pietà di San Luca

Poi, a seguito della condanna subita in primo grado nel processo “Gotha” a 9 anni e 4 mesi di reclusione, con sentenza emessa il 30 luglio 2021 dal Tribunale di Reggio Calabria, il parroco della parrocchia Santa Maria della Pietà di San Luca, Don Pino Strangio, aveva presentato a Monsignor Francesco Oliva, Vescovo di Locri-Gerace, le proprie dimissioni da tutti gli incarichi pastorali, «con la tranquillità di non aver mai commesso alcunché che abbia potuto direttamente o indirettamente favorire quelle associazioni criminose che ho sempre avversato personalmente e nella mia opera pastorale, sforzandomi di creare tra i giovani una cultura all’insegna del rispetto, dell’amore e della legalità».

Secondo il Comunicato stampa della Diocesi di Locri-Gerace del 6 agosto 2021, Mons. Oliva, «comprendendone le ragioni», ha accettato le dimissioni e nella lettera con la quale gli ha comunicato la decisione, ha spiegato di aver apprezzato «la nobiltà del gesto compiuto, riconoscendone il servizio pastorale portato avanti per anni». «Sono certo che non ti perderai d’animo e, continuando a sentirti “servo inutile” (Lc 17, 5-10), ti lascerai guidare dal Signore e non rifiuterai quello che Egli ti chiederà», ha scritto monsignor Oliva.

La lettera di dimissioni da parroco di Don Pino Strangio al Vescovo di Locri-Gerace, Monsignor Francesco Oliva

Eccellenza Reverendissima, avendo riflettuto e pregato, subito dopo il nostro incontro, in occasione della condanna inflittami in primo grado nel processo “Gotha”, emessa il 30 luglio corrente anno dal tribunale di Reggio Calabria, con la ferma coscienza di avere sempre svolto il mio ministero sacerdotale, nell’assoluto rispetto del prossimo e con la dedizione che al prossimo ogni sacerdote deve; con la tranquillità di non aver mai commesso alcunché che abbia potuto direttamente o indirettamente favorire quelle associazioni criminose che ho sempre avversato personalmente e nella mia opera pastorale, sforzandomi di creare tra i giovani una cultura all’insegna del rispetto, dell’amore e della legalità; sicuro che al termine dell’inaspettata vicenda giudiziaria, sarà riconosciuto, con la mia innocenza, il valore di quanto da me compiuto in oltre quarant’anni di sacerdozio e di attività pastorale, rassegno le dimissioni da ogni forma di attività pastorale a Vostra Eccellenza, in attesa che tutto si compia e tutto si chiarisca confidando nel Signore.
Nel ribadire la mia obbedienza a Lei, Eccellenza, la saluto chiedendo la Sua preghiera.
Don Giuseppe Strangio

Diocesi di Locri-Gerace
Comunicato Stampa
Locri, 6 agosto 2021


In seguito alla condanna subita nel primo grado di giudizio, con la sentenza emessa il 30 luglio scorso dal Tribunale di Reggio Calabria nel processo “Gotha”, Don Pino Strangio ha presentato nelle mani del Vescovo di Locri-Gerace le proprie dimissioni da tutti gli incarichi pastorali. Il vescovo, comprendendone le ragioni, le ha accettate, rendendosi altresì conto delle difficoltà del sacerdote che in questo momento è chiamato a sostenere un delicato percorso giudiziario.
Nella lettera con la quale ne ha accettato le dimissioni, Monsignor Oliva ha apprezzato la nobiltà del gesto compiuto, riconoscendone il servizio pastorale portato avanti per anni. Ha avuto nei suoi confronti parole d’incoraggiamento e di sostegno morale: “Sono certo che non ti perderai d’animo e, continuando a sentirti “servo inutile” (Lc 17, 5-10), ti lascerai guidare dal Signore e non rifiuterai quello che Egli ti chiederà” [QUI].

Continua nella Seconda Parte [QUI]

Foto di copertina: Santuario della Madonna della Montagna di Polsi.

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