Il «prete malandrino» del «Gotha», «pienamente inserito negli intrecci esistenti tra le famiglie criminali del territorio di San Luca» – Seconda parte
Continuazione dalla Prima Parte [QUI]
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.08.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi concludiamo l’informazione sulla Sentenza Gotha in riferimento a Don Giuseppe Strangio, con tre articoli a firma di Pablo Petrasso pubblicati sul Corriere della Calabria.
Sentenza Gotha
Il «prete malandrino»: 40 anni sul confine per Don Giuseppe Strangio, «paciere tra i clan di ‘Ndrangheta»
Dalla banconota da 100mila lire provento di un sequestro di persona trovata in possesso del prete nel 1984 alla festa di Polsi per la pax mafiosa. Anche calcio e politica nella biografia del sacerdote
di Pablo Petrasso
Corriere della Calabria, 7 agosto 2023
Secondo i collaboratori di giustizia «il “prete malandrino” non disdegnava di avere rapporti con Giovanni Capelli, cognato del boss Giuseppe Piromalli» e «aveva il ruolo di fungere da pacificatore tra le consorterie criminali, adoperandosi per comporre i contrasti». Religioso, politico, vicino ad ambienti massonici deviati, quella di Don Giuseppe Strangio è una storia complessa. Il processo Gotha ha sciolto – nel giudizio di primo grado – il dubbio sulla cattiva fama del prete di San Luca: uno stigma legato alle origini sanlucote o un percorso spinto al di là del confine tra l’esercizio della Fede e i rapporti di vicinato con i casati mafiosi? Per il Tribunale di Reggio Calabria è «ampiamente integrata l’ipotesi delittuosa ascritta all’imputato». Che sarebbe «pienamente inserito negli intrecci esistenti tra le famiglie criminali del territorio di San Luca» e «nelle dinamiche di contrapposizione dei due gruppi Nirta-Strangio e Pelle-Vottari». Il parroco di quel santuario per anni sporcato dal legame con la ‘Ndrangheta avrebbe avuto un «ruolo strategico (…) di paciere nei contrasti tra le consorterie criminali». Un prete di frontiera nel senso cattivo del termine, dove la frontiera sconfina spesso in rapporti con le famiglie mafiose. Storia che affonda radici in un’epoca lontana, quella in cui le cosche della Locride facevano il salto: da coppola e lupara a investimenti milionari.
La banconota del riscatto trovata in possesso di Strangio
Sono trascorsi quasi 40 anni ma i giudici del processo Gotha sottolineano i due avvenimenti per delineare la figura di Don Pino Strangio, ex parroco di San Luca e del santuario di Polsi, condannato a nove anni e quattro mesi dal Tribunale di Reggio Calabria. Tra i precedenti di polizia a carico del religioso viene citato «l’esito di una perquisizione effettuata a Montecatini il 6 agosto del 1984, avente a oggetto una banconota da 100mila lire di cui Strangio era in possesso, risultata provento di un riscatto per la liberazione di un sequestrato, Labate». Non ci sono riferimenti più precisi nell’atto, ma dovrebbe trattarsi di Giovanni Labate, farmacista rilasciato dopo 325 giorni a seguito del pagamento di un miliardo e 200 milioni di lire. Non finisce qui: subito dopo la scoperta, i carabinieri della Stazione di San Luca eseguono una perquisizione nell’abitazione del padre di Don Pino Strangio e trovano «un’altra banconota da 100mila lire lo stesso giorno, proveniente dal riscatto pagato per la liberazione (nel febbraio 1984, ndr) di Carlo De Feo di Napoli», ingegnere partenopeo per la cui liberazione vennero versati ai clan 4 miliardi di lire.
Quando la sua squadra di calcio portò il lutto in memoria del boss Gambazza
Il capitolo in cui si affronta l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per Don Strangio si apre con la costruzione del suo profilo e dei legami, per molti versi oscuri, del prete con le famiglie criminali della Locride. Non è soltanto questione di parentele, ma ci sono anche quelle. Strangio appartiene al nucleo familiare noto con l’alias Fracascia, «che non ha, a differenza di altri ceppi familiari, un riconoscimento nell’ambito di articolazioni di locali della ‘ndrangheta». I giudici riversano nella sentenza i contenuti di un’informativa dei carabinieri di Locri e San Luca redatta nel 2014. A quei tempi, il sacerdote era – tra le altre cose – vice presidente della Fondazione Corrado Alvaro, istituita nel 1997, fondazione che nel cda ospitava un fratello di Francesco Strangio, all’epoca «detenuto e ritenuto appartenente alla cosca degli Strangio alias Iancu e meglio noto come “Ciccio Boutique”». Prete eclettico, don Pino era stato anche presidente di una squadra di calcio dilettantistica, la San Luca Nuova Folgore, passata alle cronache per un fatto accaduto l’8 novembre 2009. Quel giorno, in occasione di una partita contro il Bianco, alcuni giocatori della Nuova Folgore scesero in campo con il lutto al braccio perché, pochi giorni prima, il 4 novembre, era morto l’anziano Antonio Pelle della famiglia Pelle-Gambazza, capo storico della ‘ndrangheta di San Luca. La reazione della Lega fu una squalifica di due mesi per i calciatori protagonisti del gesto e per il presidente della squadra, don Strangio. In poche righe di biografia ci sono i tratti di alcuni fenomeni storici: la circolazione dei proventi dei sequestri nei centri dell’Aspromonte, l’antica “tolleranza” della Chiesa per i fatti di ’ndrangheta e il legame tra i clan e le squadre di calcio dilettantistiche.
L’abbraccio con Rocco Gioffrè al santuario per la pax mafiosa
L’Accademia Bonifaciana è un altro degli enti nei quali gli investigatori rintracciano Don Pino Strangio. In quella onlus compariva anche uomo destinatario di ordinanza di custodia cautelare nel procedimento “Italia che lavora”. L’esponente della famiglia “Scalzone”, un giornalista di Bovalino e un imprenditore di Gerace sono i tre nomi che il religioso sceglie per il titolo di “cavalieri del Santuario di Polsi” nell’agosto 2013. Una onorificenza attribuita in qualità di rettore del santuario, «senza che tuttavia sia stata mai riconosciuta né dalla Curia, né da altri ordinamenti nazionali e/o sovranazionali». Altra storia riportata in sentenza che si sviluppa intorno al santuario è quella dell’arresto, nel 2007, di un giovane «ritenuto vicino alla cosca Nirta alias Versu: collaborava con la struttura religiosa come autista e factotum ma a bordo della Panda in uso al santuario portava una pistola calibro 7,65 con matricola abrasa, due caricatori e munizionamento. C’è anche un avviso di garanzia per omissione di soccorso nel passato di Don Strangio. Ma tra i passaggi più imbarazzanti c’è quello contenuto nella sentenza del processo “Topa”, nella quale si narra «il singolare evento accaduto all’interno della chiesa di Polsi, ove, a suggello della pace che poneva fine alla faida tra le famiglie Nirta-Strangio e Pelle-Vottari, è stato accertato che il prelato Don Pino Strangio accoglieva Rocco Antonio Gioffrè, elemento di vertice della storica omonima consorteria (di Seminara, ndr), tributandogli gli onori che competono all’uomo giusto, definendolo un uomo di pace, ringraziandolo pubblicamente».
La politica. «Don Pino si voli, ti poti fare»
I giudici di “Gotha” riprendono quel passaggio e considerano verosimile la presenza del religioso in una festa organizzata per suggellare una pace “storica” per la ‘Ndrangheta. Il viaggio nel passato di Don Strangio prosegue con un’inchiesta nella quale il sacerdote è soltanto citato in una conversazione tra Rosy Canale, ex simbolo dell’antimafia aspromontana, che progetta la propria candidatura alle Regionali, e suo padre. Dal genitore arriva – la sintesi è ancora dei giudici – «il suggerimento di rivolgersi a Don Pino Strangio e a un capo bastone». E la sottolineatura «che in cambio di 5mila euro il prelato avrebbe potuto procacciargli 500-600 voti anche a Reggio Calabria, oltre che a San Luca». «Don Pino si voli, ti poti fare», è la frase. Cioè «viene ritenuto una persona a cui potere proporre lo scambio illecito, capace di condizionare il voto sia a Reggio Calabria che a San Luca, al pari di un capo bastone a cui pure la richiesta andava comunque rivolta». Segno, per i giudici, che tra i molteplici interessi del parroco, la politica occupa un posto importante. Altri passaggi dell’inchiesta (e della sentenza) lo mostrano in maniera ancor più evidente.
Sentenza Gotha
’Ndrangheta e massoneria segreta, per i pentiti Don Pino Strangio è il «successore» di Don Stilo
di Pablo Petrasso
Corriere della Calabria, 8 agosto 2023
Due collaboratori di giustizia, Antonino Russo e Marcello Fondacaro, parlano dell’«appartenenza di Don Pino Strangio a una loggia massonica regolare». Questione controversa, oggetto di opposte testimonianze nel corso del processo Gotha. I giudici del Tribunale di Reggio Calabria, nelle motivazioni della sentenza, propongono le dichiarazioni dei pentiti per tracciare una linea di continuità da Strangio e Don Stilo, altro controverso religioso della Locride. Russo introduce l’argomento raccontando il matrimonio di Emilio Sorridente, «appartenente alla cosca Piromalli». Una festa a cui avrebbe partecipato «la créme della ‘Ndrangheta, cominciando dai De Stefano, i Pesce, i Bellocco. Cioè là era un matrimonio di riunioni, tra cui, la cosa che mi ha più stupito è che c’ho visto anche diciamo un alto prelato, c’era mi pare anche Don Luigi Stilo, non so se si chiamava Luigi (non si chiamava Luigi ma Giovanni, ndr), comunque c’era Don Stilo, che era uno dei preti diciamo che allora veniva cosiddetto un prete malandrino».
Da Don Stilo a Don Pino Strangio
«Don Stilo – sottolineano i giudici – veniva da Africo, veniva definito da Russo come un rappresentante di tutte le famiglie della ‘Ndrangheta, aveva il ruolo di paciere delle famiglie della ‘Ndrangheta ionica e reggina (…). Luigi Sorridente gli aveva detto che Don Stilo era stato un prete che aveva aggiustato parecchi processi alla ‘Ndrangheta sia della ionica che della tirrenica, ed era molto influente con la magistratura». Russo non sa dire «se alla morte di Don Stilo vi fosse stata una successione», la scelta di un altro prelato che ricoprisse lo stesso ruolo, ma avrebbe «incontrato Don Strangio, il prete della Madonna della Montagna di Polsi a casa di Giovanni Copelli», cognato del patriarca Giuseppe Piromalli. Capelli avrebbe definito don Strangio usando le stesse parole utilizzate per don Stilo: «anche per lui era “un prete malandrino”, non perché fosse stato affiliato come azionista della ‘Ndrangheta, ma per i comportamenti che aveva nei confronti degli ‘ndranghetisti».
Il racconto di Fondacaro: «Don Stilo lascio la sua eredità a Don Strangio»
Fondacaro, medico vicino alla cosca Piromalli, ricostruisce il tentativo di costruire una loggia irregolare da parte di Emilio Sorridenti nei primi anni 90. Fa un lungo elenco di nomi – colletti bianchi, politici, militari – e, in un secondo momento, cita anche Paolo Romeo tra gli appartenenti al “circolo” riservato. Secondo il pentito, da poco riammesso nel programma di protezione, anche Don Stilo avrebbe fatto parte della loggia; «lo aveva conosciuto a Roma e lo incontrava anche in Calabria, per essere stato condotto da lui ad Africo da Luigi Emilio Sorridenti, in quanto Don Stilo voleva chiedergli alcune informazioni poiché voleva aprire una struttura per lungodegenti nella zona di Africo». Fondacaro è più esplicito rispetto all’eredità del prete di Africo. «So che a questo – spiega – si sostituiva anche un altro sacerdote della zona sempre dei Polsi, là, di Africo, di quella zona lì, di cui non ricordo il cognome in questo momento». È il pm a completare il concetta: «Sì, glielo ricordo sempre io. Lei lo disse al verbale sempre questo del 25 novembre 2016, lei disse: “Don Stilo lasciò la sua eredità a Don Strangio di San Luca”». Il collaboratore conferma: «Don Strangio, sì, Don Strangio».
L’Istituto EurOrientale, «centro di potere» che tiene insieme Don Strangi, Marra e Romeo
C’è un filo, per i giudici, che unisce direttamente Paolo Romeo e l’ex parroco del santuario di Polsi. Una serie di «comuni relazioni, tutte tracciate attraverso le associazioni facenti capo a Strangio, nell’elenco dei cui soci si rileva la presenza di soggetti molto vicini a Romeo». Uno dei nodi attorno al quale si dipanano questi rapporti sarebbe l’Istituto universitario linguistico EurOrientale, presieduto dal religioso. Nell’associazione compare anche Antonio Marra, altro condannato illustre del processo, «nominato da Don Pino Strangio segretario» dello Iule Onlus (è la sigla dell’Istituto). Dunque «i tre imputati Marra, Romeo e Don Pino Strangio» risultavano «tra di loro, e con altri soggetti coinvolti in queste forme di associazionismo, tutti coinvolti in rapporti apparentemente riconducibili all’attivismo associativo, ma in realtà intrisi di interessi ben più cogenti, e anche occulti ai più». Associazioni che andavano al di là degli scopi statutari, sconfinando in una «fitta rete di interscambi di favori, per cui il fine principale delle associazioni era assimilabile ad autentiche lobby». Sfruttate, a esempio, da un «professionista eminente nel contesto cittadino» per risolvere un impiccio legato a una pratica edilizia, o per avvicinare l’amministrazione comunale e “spingere” lavori nell’interesse di alcuni associati. Nell’istituto figurava, peraltro, un alto dirigente del Comune di Reggio Calabria, «che era ben a conoscenza del vero ruolo di Romeo nell’ambito della massoneria segreta e della ‘Ndrangheta, come si evince dai commenti sulle dichiarazioni rese dal collaboratore Antonino Fiume, nonché partecipe alle strategie poste in essere dal Romeo per assicurare l’elezione a sindaco di Giuseppe Scopelliti nel 2002». Un sistema ben oliato che trasforma rapporti personali in consenso all’ombra della ‘Ndrangheta. E Don Strangio sarebbe uno dei terminali del meccanismo: per i giudici, il religioso «apparteneva alla massoneria segreta» e avrebbe avuto ruoli di rappresentanza «nella costituzione di enti collettori di presenze tutte censite nell’entourage di Paolo Romeo». Associazioni il cui scopo era «creare centri di potere da attivare in occasione del perseguimento di interessi apparentemente leciti, ma in realtà strumentalizzati dalla criminalità organizzata per il raggiungimento di utilità a favore particolare proprio». Un sistema nel quale, ovviamente, aveva un ruolo centrale anche la scelta dei candidati alle Regionali. Per quelle del 2010 anche il prete di Polsi avrebbe giocato un ruolo non secondario.
Sentenza Gotha
“Noi Sud” e il fallimento nella «roccaforte di San Luca». La dimensione politica del parroco di Polsi
Il retroscena della candidatura del sindaco Giorgi alle Regionali 2010. Il risultato modesto e la reprimenda di Marra. La gioia del prete e dell’avvocato per le nomine di due sottosegretari di governo
di Pablo Petrasso
Corriere della Calabria, 10 agosto 2023
C’è un filmato agli atti dell’inchiesta “Crimine” che ha finito per segnare la storia recente del santuario di Polsi. Mostra il vecchio boss Domenico Oppedisano, appena eletto capo della Provincia, seduto per circa due giorni al tavolino del bar che sta nella piazza antistante il santuario. Un tempo lungo, necessario per dare modo ai vertici di tutti i clan presenti di sfilare in quel luogo e rendere omaggio al nuovo “capo dei capi”, ruolo più simbolico che operativo, come sveleranno le indagini. Ma tant’è, il rituale storico e il suo esito si consumano nei luoghi in cui Don Pino Strangio è autorità riconosciuta, religiosa e no. A Polsi, ricordano i giudici della sentenza Gotha, «da oltre cinquant’anni si celebra con cadenza annuale, proprio in occasione delle festività religiose della Madonna della Montagna, il rituale della riunione della ‘ndrangheta del territorio dei tre mandamenti, con la presenza dei soggetti di vertice delle famiglie criminali raccolti non certamente in maniera occulta per la ratifica delle cariche di vertice». Quella del parroco di San Luca non è una figura monodimensionale. «Strangio – evidenziano i giudici – si prestava al condizionamento del consenso elettorale, su richiesta di Paolo Romeo e Antonio Marra nelle elezioni regionali del 2010, e veniva altresì indicato come un soggetto disponibile alla raccolta di voti dietro il pagamento di compensi in denaro, quindi come un collettore di voti né più né meno che un “capobastone”».
Il retroscena delle Regionali 2010: la candidatura del sindaco di San Luca
Le conversazioni tra il sacerdote e Marra, peraltro, confermerebbero «che il primo traeva utilità per sé e per i soggetti dallo stesso sostenuti nel conseguimento di finanziamenti da Fincalabra o di vantaggi di varia natura, così traendo un potere personale e un’autorevolezza certamente ultronei e ben diversi da quelli connessi al suo ruolo di sacerdote e massimo referente del santuario della Madonna della Montagna di Polsi». È nell’esplorazione di questa dimensione ulteriore di don Pino Strangio che riaffiorano retroscena delle Regionali 2010 per le quali il prete avrebbe contribuito «alla formazione delle liste e al procacciamento dei voti», cioè alle «attività di Paolo Romeo e Antonio Marra» in favore del centrodestra che, all’epoca, appoggiava la candidatura di Giuseppe Scopelliti. I movimenti ruotano attorno a “Noi Sud” e alla designazione di Sebastiano Giorgi, allora sindaco di San Luca, come candidato «quantomeno dal trio Sarra, Romeo e Marra» per la tornata elettorale. La riunione si svolge chez Romeo, al circolo Posidonia. Appena termina, Giorgi contatta Don Pino e gli rappresenta «l’esigenza di incontrarsi e parlare di persone di una cosa seria, per la quale doveva dare risposta entro la mattina successiva, precisando che potevano incontrarsi» al suo rientro a San Luca.
Giorgi e la paura di sfigurare: a San Luca solo 250 voti.
Il primo cittadino inizia a muoversi per capire quale possa essere il suo effettivo peso elettorale: non ha grosse velleità ma non vuole neppure sfigurare. Si accorge presto – e ne parla con un amico – «che era stata fatta dagli altri candidati una campagna elettorale serrata, al punto che il 70% dei voti non era più disponibile». Tutti dicono a Giorgi che sul suo risultato influirà l’effettivo sostegno di Alberto Sarra. E il sindaco si rivolge al referente del movimento “Noi Sud” facendo professione di umiltà: pensa di «non essere nelle condizioni di raccogliere più di 250 voti a San Luca e 30-40 a Siderno». Sarra, da parte sua, mostra «di avere altre disponibilità di voti» e lo invita a Reggio Calabria.
Marra si lamenta: «Avete adottato l’annacamento massimo»
L’esito delle Regionali per il primo cittadino di San Luca è piuttosto imbarazzante: raccoglie 343 preferenze contro le 3.367 di Antonio Managò, il più votato di “Noi Sud”. Il risultato è oggetto di una telefonata in cui Antonio Marra, avvocato condannato a 17 anni in Gotha al centro di molte trame reggine, se la prende con Don Pino Strangio. E il religioso ammette «di non essersi impegnato». Strangio e Marra fanno parte di quelli che i magistrati considerano «centri di potere» nel sistema disegnato da Paolo Romeo per muovere i fili della politica in riva allo Stretto. Non sono due estranei, dunque. Anche per questo Marra può dire al don «Una delusione siete, trecento voti! Duemila voti! Avete adottato l’annacamento al massimo…». Per i giudici il parroco ammetterebbe «che i 300 voti di Giorgi erano quelli che lui aveva procurato, segno che Strangio non era neutrale in occasione delle competizioni elettorali ma si impegnava a sostegno dei candidati procacciando i voti nella comunità di San Luca». In un’altra telefonata, il sacerdote rimarca «la cattiva figura» della lista e Marra replica «che era caduta quella che definiva “la roccaforte di San Luca”».
«Il parroco prende parte al progetto della lista “Noi Sud”»
I giudici concludono che «il parroco, come Marra, Romeo e Sarra aveva preso parte al progetto della lista “Noi Sud”». D’altra parte era proprio con lui che Sebastiano Giorgi aveva voluto parlare subito dopo che gli era stata fatta la proposta di candidatura nel circolo Posidonia e «nonostante le forti perplessità, poi rivelatesi giuste alla luce del modestissimo risultato elettorale, si era candidato, segno che il parroco lo aveva sostenuto, facendo proprio il progetto della candidatura». Emerge altresì che per tale schieramento di persone, e non già per il partito che per la prima volta si affacciava sul proscenio politico, San Luca era un luogo dal sicuro sostegno elettorale, al punto che il Marra la definiva una roccaforte». Delle ragioni di quella sconfitta elettorale tuttavia Strangio non voleva parlare per telefono («ma poi ne parliamo di persona, dai», dice a Marra), «segno che le ragioni sottese ai cambiamenti di San Luca implicavano argomenti delicati e pericolosi ove intercettati. Peraltro il troncone Fata Morgana e le emergenze del processo Meta, dimostrano che il parroco aveva stretti collegamenti con le famiglie criminali di San Luca».
La gioia per la nomina dei sottosegretari
Il sindaco Giorgi, indagato per scambio politico-mafioso, è stato assolto nel processo “Reale 6”. I giudici, tuttavia, si concentrano sul coinvolgimento di Don Pino Strangio nel progetto politico di Marra e Romeo, quello di costituire «un movimento politico meridionalista che assicurasse di poter esprime rappresentanti fidelizzati e soprattutto infiltrarli nei ruoli istituzionali». In una conversazione intercettata nel luglio 2011, Strangio e Marra si rallegrano per la designazione di due politici a sottosegretari di Stato, considerandoli evidentemente vicini al “loro” movimento. Per i giudici, i due non si limitano «a una soddisfazione meramente politica, bensì alla conferma dello sviluppo del progetto di infiltrazioni di uomini compiacenti e disponibili ad assecondare le pretese particolari di Paolo Romeo e Antonio Marra».
Fine.
Foto di copertina: San Luca (Reggio Calabria). Comune di circa 3.500 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria, posto sul versante ionico, alle falde del massiccio dell’Aspromonte. Il suo territorio di 104,3 kmq è prevalentemente montuoso, salvo che nella parte interessata dal bacino della fiumara Bonamico. Presenta una notevole escursione altimetrica pari a 1.919 metri: l’altitudine minima è infatti di 36 m.s.l.m. e la massima è di 1.955 (cima di Montalto), all’interno del Parco nazionale dell’Aspromonte, fornendo alcuni dei luoghi più belli e caratteristici del massiccio aspromontano.Di San Luca è frazione Polsi, dove sorge il santuario della Madonna della Montagna di Polsi, uno dei centri di culto e di pellegrinaggio più visitati della Calabria. San Luca è considerato il cuore pulsante della ‘Ndrangheta calabrese, con le ‘Ndrine Nirta, Pelle, Strangio, Romeo e Giorgi, oltre ad altre Ndrine legate tra loro da vincoli parentali stretti.A cavallo degli anni 70,80 e 90 del 900 San Luca, insieme a Plati, Africo e Natile, era considerata tra i centri promotori di quasi tutti i sequestri di persona accaduti in quegli anni, i cui i proventi oltre ad essere investiti nel campo edilizio e nella ristorazione, specialmente in Germania, furono investiti nel traffico della droga, prima eroina e poi cocaina, facendo sì che oggi la ‘Ndrangheta controlli quasi la totalità dell’importazione di cocaina in Europa.



























