Card. Cantoni: il cardinalato è servizio

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La festa del patrono della diocesi di Como, sant’Abbondio, ha fatto più rumore per le parole dell’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, che per le parole del card. Oscar Cantoni, che ha spiegato il valore di questo dono:

“Ho ricevuto dal Signore, per mezzo di papa Francesco, il dono del cardinalato, Credo che anche s. Abbondio, di cui sono figlio e discepolo, e insieme, per grazia di Dio e della Sede apostolica, suo indegno successore, possa lodare e glorificare con noi il Signore.

Ho accolto la nomina a cardinale con molto stupore e meraviglia, tuttavia interpreto questo gratuito dono di Dio come una occasione per un approfondimento della mia chiamata nella sequela del Signore Gesù, che si è specificata e intensificata, spero anche mediante un mio coinvolgimento responsabile e generoso”.

Ed ha fatto riferimento alle parole del libro del Siracide: “Oggi, più che mai, sento rivolte particolarmente a me le parole della prima lettura dal libro del Siracide. Lo Spirito del Signore mi ricolma di grazia per rendergli gloria e lode, e insieme mi invita a rivolgere parole di sapienza a tutti voi, membri di questa santa Assemblea…

Rimango una espressione visibile di quella ‘lettera’ di cui abbiamo udito parlare s. Paolo apostolo nella seconda lettura, una lettera di Cristo, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, quindi non composta da me, ma da Dio, che mi ha reso ministro adatto di una Nuova Alleanza”.

Ma il cardinalato per il vescovo di Como è servizio: “Vorrei che tutti interpretassimo la mia nomina a cardinale non secondo la consuetudine mondana, malattia tanto frequente e comune, che permea il nostro modo di pensare, di sentire e di agire e che fa consistere tutto il senso del vivere nella logica della carriera, della promozione e del successo.

Piuttosto auspico che questa mia nuova condizione possa essere intesa evangelicamente, quale occasione privilegiata per servire con impegno il popolo di Dio nelle persone concrete, con le loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze e ferite e promuovendo la loro dignità”.

Con questo ‘rosso porpora’ il card. Cantoni ha intenzione di contribuire alla formazione dei cattolici: “Ci sentiremo così più fedeli a Cristo, che ci vuole discepoli missionari, disposti ad accogliere tutti, anche quelli (e sono la più parte!) che nel nostro ambiente di vita sono indifferenti alla fede o l’hanno abbandonata, vivono come se Dio non esistesse, o addirittura si sentono esclusi dalle nostre Comunità.

Siamo consapevoli di non vivere più in un contesto di cristianità, diventati ormai di fatto una minoranza. Tuttavia sono convinto che la Chiesa non ha perso la sua forza generativa e può ancora creare uno spazio sicuro di verità che guarisce e libera gli uomini del nostro tempo”.

Dopo la pandemia è un’occasione propizia per evangelizzare: “La prova della pandemia altro non ha fatto che aprirci gli occhi, catapultati in un mondo completamente nuovo e diverso da quello precedente (che è inutile rimpiangere perché non si ripeterà più!). E’ questa l’ora propizia per un rafforzamento della fede, piuttosto che gettarci nello scoraggiamento, prigionieri del pessimismo…

Entrati in un’altra epoca, completamente diversa dalla precedente, occorre trovare quel coraggio apostolico per attivare nuove risorse spirituali e umane, di cui l’uomo contemporaneo ha estremamente bisogno, che esercitino una vera e propria ‘attrazione’ alla nostra testimonianza cristiana, frutto della comunione con il Signore Gesù e della sua verità sull’uomo”.

E’ l’ora di un nuovo annuncio: “Vorrei sorreggere e incoraggiare tutti i generosi operatori pastorali e quanti investono le loro energie nell’osare qualcosa di nuovo perché incoraggino i discepoli di Gesù a ritrovare, dentro le nostre Comunità, il gusto e la bellezza della vita cristiana, proponendo cammini interiori che portino serenità e gioia, proprio come frutto della sequela di Cristo.

Né possiamo esonerarci dalla costruzione di un mondo più vicino ai piani di Dio, in compagnia di quanti, nella società civile, si impegnano generosamente e responsabilmente nella costruzione e nella difesa del bene comune, nella promozione della vita, nonostante gli scenari presenti, quali i fenomeni migratori di massa, le guerre, le pandemie, gli squilibri ambientali”.

Ed ha ricordato il ‘rosso porpora’ del martirio: “Questa condizione ci rimanda immediatamente alle radici stesse della nostra Chiesa di Como, dal sacrificio dei nostri primi Martiri, Carpoforo e compagni, fino a questi anni recenti, in cui il sangue dei nostri fratelli ha impreziosito e resa feconda di buoni frutti la nostra Comunità cristiana.

E’ il martirio ‘suprema prova di carità’ riconosciuto solo nel 2013, del beato Nicolò Rusca, arciprete di Sondrio, e più recentemente il beato Teresio Olivelli (2018), nato a Bellagio, la beata suor Laura Mainetti, (2021) barbaramente uccisa a Chiavenna nel 2000, preceduti dal sacrificio di Giulio Rocca, di Isolaccia e membro del ‘Mato Grosso’ (1992), di don Renzo Beretta (1999) a Ponte Chiasso, e infine la vita donata di don Roberto Malgesini, a san Rocco in Como, nel 2020, la cui memoria continua ad affascinare tante persone, compreso il Santo Padre”.

E’ questo ricordo dei martiri il richiamo alla responsabilità: “Proprio perché eredi di una Chiesa martire e visitati da Dio, che ci ha richiamati al centro del messaggio evangelico, facciamo ritorno a Lui, ravvivando il nostro impegno attraverso un personale ‘martirio d’amore’, compiuto mediante tanti piccoli gesti di offerta quotidiana.

Ciò implica una assunzione di responsabilità concreta, cioè il prendersi cura con amore l’uno dell’altro, creando una nuova mentalità che superi l’individualismo e pensi piuttosto in termini di comunità, sottolineando la priorità della vita di tutti rispetto alla appropriazione dei beni da parte di alcuni”.

(Foto: diocesi di Como)

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