Un ponte per… ricorda l’esplosione a Beirut

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“Auspico che il Libano, con l’aiuto della Comunità internazionale, continui a percorrere il cammino di rinascita, rimanendo fedele alla propria vocazione di essere terra di pace e di pluralismo dove le comunità di religioni diverse possano vivere in fraternità”: così ha twittato il papa nel ricordo del secondo anniversario dell’esplosione nel porto di Beirut.

Infatti il 4 agosto di due anni fa avvenne la devastante esplosione del porto della capitale libanese,  che causò la morte più di 250 persone persero la vita, oltre 6.000 furono i feriti e 330.000 hanno dovuto abbandonare le proprie case. Un episodio che ha affossato l’economia del Paese dei cedri, in cui la verità fa fatica ad emergere e per il quale all’udienza generale il papa ha lanciato un appello:

“Domani ricorre il secondo anniversario dell’esplosione del porto di Beirut. Il mio pensiero va alle famiglie delle vittime di quel disastroso evento e al caro popolo libanese: prego affinché ciascuno possa essere consolato dalla fede e confortato dalla giustizia e dalla verità, che non può essere mai nascosta.

Auspico che il Libano, con l’aiuto della Comunità internazionale, continui a percorrere il cammino di ‘rinascita’, rimanendo fedele alla propria vocazione di essere terra di pace e di pluralismo, dove le comunità di religioni diverse possano vivere in fraternità”.

I sopravvissuti e diverse organizzazioni internazionali hanno chiesto al Consiglio dei diritti umani dell’Onu di istituire ‘un’inchiesta internazionale indipendente e imparziale’ per far luce su una ‘tragedia di proporzioni storiche’.

Ma l’indagine portata avanti dalla giustizia nazionale si è bloccata, tra i veti incrociati dei partiti e delle istituzioni che ne hanno ripetutamente ostacolato l’avanzamento bloccando indagini, procedimenti legali e persino interrogatori a politici indicati dal giudice Tarek Bitar come responsabili o comunque a conoscenza dei fatti.

David Ruggini, capo missione in Libano dell’ong ‘Un Ponte per’ racconta la situazione nel Paese: “Dall’inizio delle proteste di ottobre 2019 è frustrante dover raccontare il Libano principalmente per notizie ed eventi negativi. Dalla diffusione della pandemia a febbraio 2020 in poi, non ricordo di aver fatto un resoconto sulla situazione in Libano senza aver dovuto citare le difficoltà che il paese e la popolazione civile devono sopportare quotidianamente per sopravvivere.

Purtroppo ancora oggi mi trovo a sottolineare come la situazione politica, sociale ed economica sia estremamente complessa, caratterizzata da interessi politici regionali e internazionali che vanno al di là degli interessi del paese levantino”.

Infatti a due anni dall’esplosione ancora non ci sono colpevoli: “A due anni di distanza dall’esplosione (Ainfijar, come viene chiamata) l’inchiesta giudiziaria è praticamente sospesa, insabbiata nelle procedure amministrative senza essere riuscita a indicare i responsabili di un tale scempio.

Ancora oggi mi sorprende la lungimiranza della popolazione, di colleghe/i e partners con cui avevo parlato a poche settimane dallo scoppio, sicuri che nessuno sarebbe stato indicato come il colpevole e non si sarebbe arrivati mai ad una investigazione efficace”.

Ormai la popolazione libanese è costretta alla sopravvivenza: “Il Libano da ormai due anni vive in una condizione paradossale di sopravvivenza dove una fetta consistente della popolazione vive in assoluta povertà, mentre una piccola minoranza si arricchisce sempre di più.

La forbice sociale è drammaticamente aumentata e la popolazione giovanile cerca in ogni modo di andare via. Purtroppo le elezioni di maggio non hanno prodotto un ricambio sufficiente della classe politica tale da produrre un cambiamento reale nella vita delle persone. Il paese resta profondamente in crisi, mentre alcune sfide particolarmente delicate si affacciano all’orizzonte dei prossimi mesi”.

Ed infine ricorda gli appuntamenti dei prossimi mesi: “In primis entro settembre si dovrà decidere la diatriba con Israele a proposito del confine marittimo. Confine che dalla scoperta dei giacimenti di gas a largo della costa è diventato un tema bollente. Nelle ultime settimane a largo del giacimento Karish ci sono state le solite schermaglie tra Hezbollah, in cerca di legittimazione politica post-elezioni, e Israele…

Questo però non è il solo file incandescente nelle mani del paese: in ottobre scade il mandato del presidente Aoun e la campagna elettorale per la carica di presidente della repubblica è già iniziata sottobanco, con i diversi partiti impegnati a tessere le loro trame.

Nella migliore delle ipotesi in cui Michel Aoun lasci la carica senza colpo ferire, si iniziano a fare i primi nomi per la sua successione. Tra tutti il più ricorrente sembra essere quello di un altro Aoun, Joseph: capo dell’esercito libanese, gode dell’endorsement di diversi attori internazionali tra cui Francia e USA, oltre al supporto di Samir Geagea delle Forze Libanesi, divenute nel frattempo il primo partito cristiano alle ultime elezioni”.

Ed un gruppo di organizzazioni non governative libanesi e internazionali, tra cui Amnesty International, ha chiesto agli stati membri del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di presentare una risoluzione, alla prossima sessione di settembre, per inviare ‘una missione conoscitiva indipendente e imparziale’, che faccia luce su quanto accaduto il 4 agosto:

“La missione dovrebbe stabilire i fatti e le circostanze, comprese le cause profonde, dell’esplosione, al fine di stabilire la responsabilità statale e individuale e sostenere la giustizia per le vittime.

Due anni dopo, l’indagine interna è stata interrotta senza aver fatto alcun progresso. Le autorità libanesi hanno ripetutamente ostacolato il corso delle indagini interne sull’esplosione proteggendo politici e funzionari coinvolti nell’esplosione da interrogatori, procedimenti giudiziari e arresti”.

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