XV udienza nel processo 60SA in Vaticano. Viene confermato sempre più le responsabilità del Papa, che mette al primo posto la sua immagine, non la Verità

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Quindicesima udienza del Processo nel Tribunale vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, interamente occupata dall’interrogatorio al Cardinale Angelo Becciu, in continuazione dell’udienza del 5 maggio scorso. L’Ufficio del Promotore di giustizia vaticano, occupandosi di gossip piuttosto che della verità dei fatti, continua a non dimostrare quali sarebbero le gravi colpe del Cardinal Becciu, che continua a ribadire quanto detto dall’inizio di questo processo penale da sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Il Cardinale Angelo Becciu davanti alla Corte del Tribunale vaticano...
… come nel Paese delle Meraviglie.

Dalle domande del Promotore di Giustizia aggiunto non si riesce a comprendere quali sarebbero le colpe per cui avrebbe dovute rispondere il Cardinal Becciu. Non si comprende quali siano i reati contestati, le norme trasgredite e le prove incontestabili che hanno portato al rinvio a giudizio. Il Promotore di Giustizia aggiunto effettua suo interrogatorio più con insinuazioni che reali contestazioni, senza mai arrivare al dunque, con divagazioni su questioni non inerenti ai capi d’accusa. Tanto da essere richiamato all’ordine dal Presidente del Tribunale. Mentre Becciu si attiene a fatti inequivocabili, documentati e incontestabili, invece il Promotore di Giustizia aggiunto si limita a ipotesi, teorie strampalate, congetture farneticanti e interpretazioni senza testa né coda.

Intanto, l’epicedio accompagnato da danze come era da costumo greco prosegue, senza che il Papa regnante si decide di far calare il sipario e di spengere le luci… e facendo tabula rasa nell’Ufficio del Promotore di Giustizia vaticano. Attendiamo il comunicato pubblicato sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

«L’accusa continua a cercare di umiliare il Card. Becciu, ma lui è disarmante quando replica: “Omnia munda mundis”» (Faro di Roma). «Dopo che il Cardinale ha detto di non ricordare una circostanza, il Promotore di giustizia ha commentato “lei finge di non ricordare”, e a quel punto Giuseppe Pignatone, Presidente del Tribunale vaticano, ha sospeso l’udienza» (ACI Stampa). «Fu Papa Francesco a dare l’ordine di licenziare dall’oggi al domani l’ex Revisore dei Conti, Libero Milone poiché investigava illecitamente sulle attività della Santa Sede. A distanza di cinque anni viene svelato come andarono realmente le cose, in uno dei passaggi che finora erano rimasti ancora un giallo. Ne ha parlato stamattina nell’aula del Tribunale d’Oltretevere il Cardinale Angelo Becciu» (Il Messaggero). «Sostanzialmente il Santo Padre tiene più all’opinione pubblica che alla Verità. Beh, lo ha dimostrato in diverse occasioni. Ma il comportamento di Francesco non è sempre uguale. (…) Ora, è chiaro che Diddì non conosca la procedura penale dello Stato della Città del Vaticano ma questo modo di procedere renderà nullo tutto l’operato di quell’ufficio» (Silere non possum).

L’interrogatorio al Cardinal Becciu proseguirà concludendosi domani mattina, 19 maggio.

Comunicato stampa nell’interesse di Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, 18 maggio 2022
“Ho controllato sempre con il massimo rigore fondato sulla piena fiducia del mio ufficio”

Le puntualizzazioni di Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu all’udienza del 18 maggio

Il Cardinale Becciu ha voluto chiarire in via definitiva una serie di questioni, dai finanziamenti alla diocesi di Ozieri all’affaire del palazzo di Londra.

1) Il chiarimento sul dottor Milone. In apertura d’udienza, il Cardinale, rivelando di aver ricevuto specifica autorizzazione dal Santo Padre, successiva alla riserva assunta all’udienza dello scorso 5 maggio, ha potuto ricostruire l’episodio delle dimissioni dell’ex Revisore Generale, dottor Libero Milone: “Non ho alcuna responsabilità attorno alle dimissioni del dottor Milone. Mi limitai ad eseguire un ordine ricevuto dal Santo Padre, assunto in piena autonomia e senza alcuna mia partecipazione”. Il Cardinale ha spiegato che tale determinazione fu assunta autonomamente dal Pontefice, che gli affidò esclusivamente tale compito, in ragione del venir meno della fiducia riposta nell’operato dell’ex Revisore Generale della Santa Sede.

2) Investimenti solo in base a verifiche e proposte dell’ufficio amministrativo. Molte delle domande formulate hanno riguardato i singoli investimenti finanziari oggetto del processo. Nell’udienza, Sua Eminenza ha ribadito ancora una volta: “Non ho mai messo in atto decisioni strategiche di investimento. Quelle compiute sono state fatte in base alle proposte dell’Ufficio apposito, principalmente per il tramite di Monsignor Perlasca — la cui posizione è stata archiviata —. Mi davano le loro motivazioni come è avvenuto per il palazzo di Londra e non avendo avuto ragioni contrarie ho dato il mio assenso”.

3) Il palazzo di Londra: “Perlasca non mi disse niente”. Sua Eminenza ripete di aver avuto per Mons. Perlasca, capo del suo ufficio amministrativo, “stima per la sua correttezza e onestà. Ciò che gli rimprovero è che non mi informò di eventuali criticità degli investimenti”. Ricorda come “mi sottolinearono i grandi vantaggi dell’operazione. Solo vantaggi, non note negative”. Inoltre, ha spiegato, “mi fidavo di Mons. Perlasca, da sempre ritenuto esperto e competente nelle sue materie”.

Avv. Fabio Viglione

Processo Palazzo di Londra, prosegue l’interrogatorio di Becciu
Otto ore di domande e risposte del promotore di Giustizia vaticano con il Cardinale Angelo Becciu, su tutti i capi di imputazione. Vari momenti di tensione nell’udienza
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 18 maggio 2022


Ci sono anche momenti di tensione, nella seconda parte dell’interrogatorio del Promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi nei confronti del Cardinale Angelo Becciu. Perché a un certo, dopo che il Cardinale ha detto di non ricordare una circostanza, il Promotore di giustizia ha commentato “lei finge di non ricordare”, e a quel punto Giuseppe Pignatone, Presidente del Tribunale vaticano, ha sospeso l’udienza.

È la seconda volta che Pignatone deve intervenire per calmare gli animi, nella seconda parte di un interrogatorio durato 8 ore, con domande su tutti i temi: dal ruolo nel processo di acquisizione del palazzo di Londra ai finanziamenti arrivati alla Caritas della diocesi di Ozieri e alla cooperativa SPES, toccando anche temi che esulano dai capi di imputazione, come i finanziamenti dell’8 per mille arrivati per finanziare le attività della diocesi Ozieri.

Moltissime le opposizioni alle domande, considerate dai difensori del cardinale come “requisitorie”. Spesso il Presidente Pignatone ha invitato il Promotore di Giustizia a fare domande precise, e anche a non fare provocazioni. In una occasione, Diddi ha risposto ad una obiezione sottolineando che agli avvocati “non piace che il cliente dica sempre ‘non ricordo’”. (…)

Prima di iniziare l’udienza, il Cardinale Becciu ha reso una dichiarazione spontanea. Nella udienza precedente non aveva voluto parlare del caso di Libero Milone, il Revisore di giustizia allontanato nel 2017, per non venir meno alla fiducia a lui posta dal Papa. Ma ha chiesto il permesso a Papa Francesco, che glielo ha accordato. Il Cardinale ha così potuto dichiarare di aver chiesto a Milone di dimettersi su richiesta dello stesso Papa Francesco, il quale gli aveva pregato di comunicare la decisione al Revisore. Non c’era, insomma, alcuna responsabilità del Cardinale nella decisione.

Parlando della decisione di investire sul Palazzo di Londra, il Cardinale Becciu ha sottolineato di avere sempre seguito le indicazioni dell’ufficio. Come sostituto, Becciu ha detto di avere totale fiducia della sezione amministrativa, in particolare di monsignor Alberto Perlasca, che la guidava, notando che comunque il team era stato da lui ereditato e mai scelto.

Il Cardinale Becciu ha detto che non aveva avuto contezza dei rendimenti del palazzo, che lo stesso monsignor Perlasca gli diceva che per gli investimenti ci voleva tempo, e ha sottolineato che i suoi sottoposti avevano “l’obbligo morale di non mettere in difficoltà i superiori”. (…)

Il promotore ha chiesto moltissimi nomi e riferimenti personali, con l’obiettivo al limite di comprendere se c’erano contraddizioni. Sono stati mostrati diversi documenti, e gli avvocati delle altre parti hanno anche obiettato di come il promotore di giustizia interpretasse i documenti. Anche il presidente del Tribunale, Pignatone, ha invitato a non interpretare i documenti. (…)

Il Cardinal Becciu ha detto aver avuto la massima fiducia in monsignor Perlasca, la stessa che aveva il Cardinal Parolin che infatti aveva accettato la proposta di passare al fondo Gutt di Perlasca. “Se c’erano criticità e Perlasca non me le ha dette, si è macchiato di una grave colpa”, ha detto il Cardinal Becciu. (…)

Il Cardinale ha preferito non rispondere oltre sulle questioni riguardanti la liberazione di suor Gloria Narvaez, la suora colombiana rapita in Sud Sudan, ma ha ribadito di aver avuto fiducia in Cecilia Marogna, che questa le si era presentata personalmente, e che questa aveva fatto anche una buona impressione all’allora capo della Gendarmeria Domenico Giani. (…)

Il clima teso non ha certo aiutato ad una piena comprensione delle vicende, e la strategia dell’accusa sembra quella di voler arrivare quasi a fare ammettere gli imputai delle loro contraddizioni, cercando di coglierli in fallo con una serie di domande parziali di cui si può intuire la strategia, come ha spiegato il promotore di giustizia, ma che non hanno mancato di suscitare obiezioni.

L’accusa continua a cercare di umiliare il card. Becciu, ma lui è disarmante quando replica: “Omnia munda mundis”
Faro di Roma, 18 maggio 2022


(…) oggi è stata ammessa una nuova parte civile, quel mons. Alberto Perlasca che rappresenta il testimone chiave contro Becciu ma, benché scagionato formalmente in istruttoria in quanto “pentito”, certamente anche uno dei principali responsabili delle presunte irregolarità essendo alla guida dell’ufficio addetto agli investimenti ed avendo personalmente autorizzato i pagamenti. Ma un dettaglio rivelatore del clima di persecuzione giudiziaria subita dal Cardinale e dagli altri imputati, con un inspiegabile accanimento che mira evidentemente a distruggere moralmente l’ecclesiastico sardo che in ogni ministero ricoperto ha cercato solo il bene della Chiesa.

Con l’intento di completare il massacro, oggi l’Ufficio del Promotore di Giustizia ha addirittura voluto proiettare in aula parte della conferenza stampa del 25 settembre 2020, all’indomani dell’udienza-shock in cui Papa Francesco lo privò della carica di prefetto dei santi e dei diritti del cardinalato, senza che alcun tribunale lo avesse condannato e nonostante Becciu si professasse innocente.

Nel corso dell’interrogatorio di oggi però, il card. Becciu a potuto chiarire di non aver avuto alcun ruolo nelle dimissioni, il 19 giugno 2017, dell’allora revisore generale dei conti vaticani Libero Milone. La volta scorsa, sulla questione, Becciu si era avvalso della facoltà di non rispondere, “per salvaguardare il Santo Padre”. “In questi giorni ho chiesto al Papa se potevo parlare liberamente e lui ha detto di sì – ha quindi riferito -. Voglio quindi chiarire sinteticamente quanto a mia conoscenza. Non ho alcuna responsabilità sulle dimissioni del dott. Milone. Diedi solo corso all’ordine del Santo Padre”. “Il Papa mi chiamò – ha proseguito -: ‘eccellenza, le chiederei di chiamare il dott. Milone e dirgli che non gode più della fiducia del Santo Padre e deve rendere le dimissioni’. Chiamai al mattino lo stesso Milone e gli comunicai la decisione del Papa. Le motivazioni erano quelle che poi furono scritte nel comunicato del 24 settembre 2017, dopo dichiarazioni di Milone alla stampa. Insomma, Milone, ‘esulando dalle sue competenze, ha incaricato illegalmente una Società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede’. Ribadisco con forza di non aver avuto alcun ruolo nella decisione del Santo Padre”.

Ugualmente Becciu ha chiarito di non avere responsabilità specifiche su ognuna delle operazioni compiute dall’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato (quello di mons. Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi) che “mi preparava i dossier che io mi limitavo a vistare. L’Ufficio – ha spiegato – doveva farmi vedere i pro e i contro. Aveva l’obbligo morale di non mettere in difficoltà il superiore. Il compito anche di non far fare brutta figura al superiore. E se mi presentavano una cosa come vantaggiosa io la firmavo. Era loro compito facilitare la decisione del Sostituto”.

Il cronista dell’ANSA Fausto Gasparroni ha descritto come “molto teso il clima in aula, con frequenti battibecchi tra le difese e l’accusa e la necessità da parte del Presidente Giuseppe Pignatone di stoppare le polemiche”.

Oltre che del Palazzo di Londra, Becciu ha parlato dei rapporti con la diocesi di Ozieri, del presunto “depistaggio” che gli viene contestato con la proposta formulata da terzi sull’acquisto del Palazzo di Londra (“ne parlai col prof. Gian Piero Milano, gli dissi c’è questa offerta, un fondo che vuole proporsi per questo palazzo. Lui disse: ‘Magari! Andate avanti’. Se io avessi avuto dei fini diversi ne avrei parlato col promotore di giustizia?”).

Becciu ha parlato anche della Signora Cecilia Marogna precisando di non aver mai parlato con lei di “riscatto” per la suora colombiana rapita in Mali. Disarmante la risposta sul pernottamento della Marogna a casa sua di cui si parla nel fascicolo d’accusa: “Sono un fedele lettore del Manzoni. Ricordate Fra Cristoforo che accoglie Lucia al Monastero e alle contestazioni risponde ‘Omnia munda mundis’? Lei alla sera venne da me, dovevamo parlare. Si fece tardi. Quando stava uscendo le suore che mi assistono in casa mi dissero: ‘La signora ha paura di andare in albergo perchè c’è il Covid. Possiamo alloggiarla noi?’ Io dissi di sì. L’ho ritrovata la mattina dopo a colazione e poi è andata via. La cosa è andata così”.

Sloane Avenue: secondo round in aula per il Cardinale Becciu
Silere non possum, 18 maggio 2022

Il clima in aula continua ad essere teso ed irrespirabile. Alessandro Diddì, promotore di giustizia aggiunto, ha preso in mano l’ufficio approfittando anche delle condizioni di salute del titolare, Giampiero Milano. L’avvocato romano, chiamato in Vaticano a svolgere il ruolo di pubblica accusa, ha scambiato l’aula di tribunale con uno show televisivo. Il metodo che utilizza nel fare domande agli imputati è lo stesso che ha utilizzato con il gran pentito Mons. Alberto Perlasca. Non si parla di documenti ma di articoli di giornale, di sentito dire e considerazioni personali. Dall’interrogatorio del 5 maggio e di oggi emerge chiaro come quest’uomo abbia più interesse a far emergere argomenti da gossip piuttosto che la verità dei fatti contestati nel capo di imputazione. Peraltro, a distanza di mesi e mesi, ancora non è chiaro quali sarebbero le gravi colpe del Cardinale Angelo Becciu. Oggi l’attacco anche ai giornalisti che hanno osato criticare l’operato del Promotore di Giustizia, accusati di essere d’accordo con il cardinale. Il principe del foro romano non ammette di essere criticato, ma i libri di diritto canonico non li vuole sfogliare.

L’udienza del 5 maggio

Durante l’interrogatorio portato avanti da Alessandro Diddì in alcuni momenti si è avuta la sensazione di essere in uno show televisivo e non in un’aula di giustizia. L’avvocato romano ha iniziato a tacciare le difese affermando che “suggerivano le risposte” all’imputato, quando in realtà i legali si opponevano semplicemente alle sue domande che non possono essere fatte. Il grande problema è sempre lo stesso, questi soggetti non conoscono il codice di procedura penale e giocano sulla vita di una dozzina di imputati. Ad un certo punto dell’udienza Diddì pretende di dare alla difesa del Cardinale delle “lezioni di correttezza” e continua ad insultare le difese dicendo che si oppongono alle domande solo perché non vogliono che si entri in certi argomenti. Ora ci si continua a chiedere dove questi signori abbiano studiato la procedura penale. In tribunale, il giudice ha un ruolo ben preciso che è quello di sorvegliare. Quando l’accusa o la difesa fanno delle domande, è compito del giudice ammetterle. Nel codice vigente nello Stato della Città del Vaticano questa regola è ancor più ferrea perché addirittura le domande dovrebbero essere rivolte dal giudice stesso. E invece ci si ritrova in aula ad assistere ad un battibecco da scuole elementari fra le difese e il Promotore di Giustizia che si lamenta perché gli avvocati fanno semplicemente il loro lavoro. Un piagnisteo ed un vittimismo che fanno davvero ridere. Piuttosto che perdere tempo in queste teatrate sarebbe forse il caso che nell’Ufficio del Promotore di Giustizia si iniziasse a sfogliare la procedura penale.

Addirittura quando Alessandro Diddì mette in bocca al cardinale delle parole che lui non aveva neppure pronunciato, le difese intervengono dicendo che non è corretto ciò che dice e lui continua imperterrito a dire che le difese non devono motivare le loro opposizioni. Peraltro riguardava questioni che il cardinale aveva riferito nelle dichiarazioni spontanee che erano scritte, pertanto bastava poco per rendersi conto che Diddì aveva preso un palo.

Resta comunque chiaro che il dibattimento in questo processo sembra guidato dall’accusa e non certo dal tribunale, anche perché il Promotore di Giustizia si lamenta anche con lo stesso Pignatone quando non ammette le sue domande che, ripetiamo, sono volte a fare gossip e non ad accertare la verità. Basti pensare alle dichiarazioni, riprese da quei giornalisti che sono pagati a click, in merito ai finanziamenti alla Russia, che ha fatto Diddì in aula. Ora bisogna chiederci: ma questo processo ha il fine di tutelare la Santa Sede oppure ha il fine di far credere alla povera gente che oltre Tevere vi sia lo schifo più assoluto? Basta essere chiari. Perché seppur Francesco voglia far credere che lui ripulisce, bisogna rammentare che è sempre lui che lì ce le mette queste persone. Nel testo dell’interrogatorio del 5 maggio 2022 [QUI], emerge anche il racconto della giornata 29.04.2020.

Le dimissioni del Cardinale Angelo Becciu

Nell’interrogatorio è stato chiesto al cardinale cosa avvenne il 29.04.2020 quando lui andò dal Santo Padre per una udienza programmata e si vide revocare qualsiasi incarico e i diritti del cardinalato. La domanda gli viene rivolta dal Promotore Alessandro Diddì e anche questa è una delle domande che il dott. Pignatone non avrebbe dovuto ammettere. Il codice difatti parla chiaro, non possono essere ammesse domande non pertinenti con il capo di imputazione. In questo processo non si sta discutendo delle dimissioni di Becciu ma di accuse ben più gravi. Dopo diversi tentennamenti dovuti al timore reverenziale che Becciu ha nei confronti di Francesco, ha riferito che quella sera il Papa lo accolse con il volto scuro. Gli disse che la Guardia di Finanza aveva presentato gli esiti di alcune attività investigative dalle quali emergeva che “la manina del fratello tonino” aveva tolto i soldi. Il linguaggio è proprio quello di Francesco, ormai lo conosciamo. Il cardinale ha anche spiegato che ha tentato di dire al Papa che lui non sapeva dove fossero ora i soldi ma che avrebbe chiesto perché non dubitava affatto della buona fede né del vescovo di Ozieri né del fratello. Francesco però non ha voluto sentire ragioni e gli ha palesato quale era la sua grande preoccupazione: la sua immagine. Beh, nulla di nuovo no? Sono nove anni che vediamo quanto il Papa stia investendo tutto sulla sua immagine. Addirittura lo stesso ragionamento lo fece sul viaggio di ritorno da Cipro e Grecia in merito alle dimissioni di Mons. Aupetit [QUI].

Quando gli chiesero come mai si dimise l’Arcivescovo di Parigi lui rispose: “Fate l’indagine. Fate l’indagine. Perché c’è pericolo di dire: “È stato condannato”. Ma chi lo ha condannato? “L’opinione pubblica, il chiacchiericcio…”. Ma cosa ha fatto? “Non sappiamo. Qualcosa…”. […] Per questo, io ho accettato le dimissioni di Aupetit non sull’altare della verità, ma sull’altare dell’ipocrisia. Questo voglio dire. Grazie”.

Sostanzialmente il Santo Padre tiene più all’opinione pubblica che alla Verità [QUI]. Beh, lo ha dimostrato in diverse occasioni. Ma il comportamento di Francesco non è sempre uguale. Ci sono prelati di serie A e prelati di serie B. Al Cardinale Becciu quella sera ha detto: “Non posso non fare nulla perché presto uscirà anche un articolo sul giornale”. Certo, perché affidarci ai mezzi della Giustizia quando possiamo contare sui giornali? Questo ragionamento però Bergoglio non lo ha fatto né con Mons. Zanchetta [QUI], il quale ora si trova in carcere in Argentina per aver abusato sessualmente di alcuni seminaristi e neppure nei confronti del Cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga [QUI]. Il cardinale honduregno è stato coinvolto in uno scandalo riguardante stipendi e investimenti milionari che sarebbero stati operati dal prelato stesso.

Francesco difensore d’Ufficio, ma i casi li sceglie lui

Per alcuni amici, quindi, il Papa sceglie di assumere una difesa d’ufficio. Sulla base di cosa non si sa. In una intervista con Valentina Alazraki di Televisa ha difeso a spada tratta il cardinale Maradiaga dicendo: “Gli dicono di tutto, ma non c’è nulla di certo, no, è onesto e mi sono preoccupato di esaminare bene le cose. Si tratta di calunnie. Sì. Perché nessuno ha potuto provare nulla. Può essersi sbagliato in qualcosa, può aver commesso qualche errore, ma non del livello che gli vogliono addossare. Questo è l’importante, perciò lo difendo”.

Per Mons. Zanchetta, durante la stessa intervista ha detto: “Sì, ma alla fine si è difeso dicendo che lo avevano hackerato, e si è difeso bene. Allora di fronte all’evidenza e a una buona difesa resta il dubbio, ma in dubio pro reo. Ed è venuto il cardinale di Buenos Aires per essere testimone di tutto”.

Allora bisogna chiedersi: come mai per Becciu e molti altri non è stata utilizzata questa formula in dubio pro reo? Chi sono i consiglieri di Francesco?

L’udienza del 18 maggio 2022

È stata accolta la costituzione di parte civile di Mons. Alberto Perlasca nei confronti del Cardinale Angelo Becciu. Rigettata nei confronti di Crasso, Tirabassi, Torzi e Squillace. Quest’oggi addirittura Diddì si è rivolto ad un Principe della Chiesa dicendogli: “Lei finge di non ricordare” e ha scatenato l’ira del Presidente Pignatone che ha sospeso l’udienza. Non c’è alcun rispetto per le persone e soprattutto il Promotore aggiunto non sa ricoprire questo ruolo che deve essere soprattutto di alto profilo. Diplomatico. Mai entrare in polemica. (…)

Ora, è chiaro che Diddì non conosca la procedura penale dello Stato della Città del Vaticano ma questo modo di procedere renderà nullo tutto l’operato di quell’ufficio.

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