Papa Francesco e Patriarca Kirill di fronte alla crisi ucraina

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«La Chiesa Ortodossa Russa ascolti il grido che giunge da ogni angolo della terra, ed insieme a Papa Francesco promuova la pace di Cristo, condannando con chiarezza la guerra. Chiediamo al Signore, di abbandonare le logiche terrene, per diventare strumenti della sua pace» (Don Salvatore Lazzara).

«In questo tempo, non passi inosservata la sofferenza di tanti altri popoli che da diversi anni vivono costantemente sotto le minacce dei bombardamenti. Non dimentichiamo la Syria, lo Yemen, e altre nazioni, che soffrono a causa dell’egoismo dei potenti. Sia pace per tutti!» (Don Salvatore Lazzara).

«La retorica della guerra, non è il linguaggio del Vangelo. I credenti di tutte le Chiese Cristiane, accolgano l’invito di Gesù, e portino nel mondo la luce della Vita. L’unica via da seguire per raggiungere la pace è Cristo e non gli interessi di parte» (Don Salvatore Lazzara).

La Missione della Santa Sede in Ucraina

La Santa Sede si è messa a servizio per il raggiungimento della pace in Ucraina. Con un gesto straordinario, Papa Francesco ha annunciato all’Angelus in Piazza San Pietro, domenica 6 marzo, di aver inviato due Cardinali come espressione della solidarietà della Chiesa verso il popolo ucraino sofferente: il Cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere, e il Cardinale Michael Czerny, Prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Il Cardinale Krajewski è in viaggio ora, lunedì 7 marzo verso il confine tra Polonia e Ucraina, dove visiterà i rifugiati e i volontari nei rifugi e nelle case. Il Cardinale Czerny arriverà in Ungheria martedì 8 marzo, per visitare alcuni centri di accoglienza per i migranti provenienti dall’Ucraina. Entrambi sono diretti in Ucraina e a seconda della situazione intendono raggiungere il Paese nei prossimi giorni.

I Cardinali porteranno aiuti ai bisognosi e rappresenteranno non solo il Papa ma tutto il popolo cristiano che vuole esprimere la solidarietà al popolo dell’Ucraina e dire: “La guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà! In Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria”. Papa Francesco ha dichiarato: “Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini. In quel Paese martoriato cresce drammaticamente di ora in ora la necessità di assistenza umanitaria. Rivolgo il mio accorato appello perché si assicurino davvero i corridoi umanitari, e sia garantito e facilitato l’accesso degli aiuti alle zone assediate, per offrire il vitale soccorso ai nostri fratelli e sorelle oppressi dalle bombe e dalla paura. Ringrazio tutti coloro che stanno accogliendo i profughi. Soprattutto imploro che cessino gli attacchi armati e prevalga il negoziato – e prevalga pure il buon senso –. E si torni a rispettare il diritto internazionale!”.

Il gesto di Papa Francesco vuole anche richiamare l’attenzione sulle molte situazioni simili in tutto il mondo. Come ha detto il Santo Padre all’Angelus la domenica precedente, 27 febbraio: “Con il cuore straziato per quanto accade in Ucraina – non dimentichiamo le guerre in altre parti del mondo, come nello Yemen, in Siria, in Etiopia… –, ripeto: tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza”.

Il Cardinale Czerny continuerà a tracciare la triste similitudine tra le sofferenze degli ucraini e i prolungati conflitti dimenticati. Inoltre, egli solleverà la preoccupazione che gli Africani e gli Asiatici residenti in Ucraina, che soffrono anche la paura e lo sfollamento si sentano autorizzati a chiedere rifugio indiscriminatamente. Ci sono anche rapporti preoccupanti di crescenti attività di traffico di esseri umani e contrabbando di migranti alle frontiere e nei Paesi vicini. Poiché la maggior parte delle persone in fuga sono credenti, egli dichiarerà che l’assistenza religiosa dovrebbe essere offerta a tutti, avendo riguardo alle differenze ecumeniche e interreligiose. Infine, nonostante i lodevoli sforzi per offrire risposte umanitarie e organizzare corridoi umanitari, c’è un grande bisogno di coordinamento, buona organizzazione e strategia condivisa, al fine di abbracciare le sofferenze delle persone e fornire un aiuto efficace.

«Tre chiese, una guerra. L’Ucraina è la terra dove il cristianesimo occidentale incontra quello orientale. Secoli di divisioni che esplodono ora, tra le sirene e le bombe. Fino a quando la Santa Sede potrà restare “prudente” e legata alla Dichiarazione firmata con Mosca all’Avana? I limiti del low profile» (Matteo Matzuzzi – Il Foglio, 5 marzo 2022).

L’incontro del 3 marzo 2022 tra il Nunzio D’Aniello e il Patriarca Kirill.

Diplomazia pontificia, La crisi ucraina è il tema centrale della settimana
La Santa Sede parla con Kirill
Dall’incontro con il Patriarca Kirill all’intervento alle Nazioni Unite, come la diplomazia del Papa sta cercando di affrontare la guerra in Ucraina
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 5 marzo 2022


Crisi ucraina, il nunzio in Russia incontra il Patriarca Kirill

Cercando canali di dialogo, l’arcivescovo Giovanni D’Aniello, nunzio apostolico nella Federazione Russa, ha incontrato il Patriarca di Mosca Kirill. Il Patriarca di Mosca non ha preso posizione netta sulla guerra in Ucraina, a differenza del mondo ortodosso. Anche la Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca, guidata dal Metropolita Onufry, ha preso una posizione netta sul conflitto, e addirittura ci sono diocesi russo-ortodosse in Ucraina che hanno smesso di pronunciare il nome di Kirill nella sinassi, con un gesto che equivale ad un disconoscimento di autorità.

La notizia dell’incontro tra il Nunzio e il Patriarca è stata data dal sito ufficiale del Patriarcato di Mosca, in un lungo comunicato. Ad accompagnare il Patriarca Kirill, l’Archimandrita Filaret, Vicepresidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca, e I.A. Nikolaev, dipendente del Segretariato per le relazioni intercristiane. L’Arcivescovo D’Aniello era accompagnato da Padre Igor Chabanov, un officiale delle Nunziatura.

Il Patriarca Kirill – spiega il comunicato del Patriarcato di Mosca – “ha osservato che la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa Cattolica Romana svolgono un ruolo importante nel cristianesimo mondiale e le buone relazioni che si sono sviluppate tra loro aprono prospettive di cooperazione in molti settori”.

Il Patriarca Kirill ha anche lodato il contributo di Papa Francesco alla pace, ha lodato la posizione “moderata e saggia della Santa Sede” su molte questioni internazionali è “coerente con la posizione della Chiesa Ortodossa Russa”.

Il Patriarca Kirill ha sottolineato che “è molto importante che le Chiese Cristiane, comprese le nostre Chiese, non diventino, volontariamente o involontariamente, a volte senza alcuna volontà, partecipanti a quelle tendenze complesse, contraddittorie e in lotta tra loro che sono oggi presenti nell’agenda mondiale”.

In pratica, Kirill ha rivendicato la sua posizione di non condanna della guerra e ha indirettamente criticato anche le altre Chiese ortodosse che hanno preso una posizione, e che sono state critiche con Mosca. “Stiamo cercando – ha detto il Patriarca – di assumere una posizione di mantenimento della pace, anche di fronte ai conflitti esistenti, perché la Chiesa non può partecipare al conflitto, può solo essere una forza pacificatrice”.

Il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia ha anche detto che l’incontro con Papa Francesco non poteva non avvenire “in quella terra dove gli ortodossi non hanno mai avuto conflitti con i cattolici. In un continente alle prese con tanti problemi, con ingiustizie, ha bisogno di sostegno spirituale e, allo stesso tempo, non è mai stato oscurato da conflitti interreligiosi legati al tema dell’Oriente e dell’Occidente”. Il riferimento è, ovviamente, a Cuba, ma dà anche un segnale per il futuro: se il secondo incontro ci sarà, dovrà essere in un posto dove non ci sono tensioni. Forse Gerusalemme?

Da parte sua, il Nunzio D’Aniello ha portato i saluti del Papa al Patriarca, ha detto che il Papa ricorda in particolare “il clima cordiale” dell’incontro dell’Avana, ha sottolineato che il suo incarico nella Federazione Russa è una opportunità “per conoscere un mondo completamente nuovo, in particolare, con il ministero della Chiesa ortodossa russa”. “Questa è un’opportunità preziosa, anche per lo sviluppo della nostra cooperazione”, ha affermato.

L’arcivescovo Gallagher incontra gli ambasciatori dell’area Sud-Est dell’Europa

Lo scorso 1° marzo, su invito dell’Ambasciatore di Bulgaria presso la Santa Sede Bogdan Patashev, l’Arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, ha avuto un incontro di lavoro con gli ambasciatori dell’area balcanico e Sud Est europeo. Erano presenti i rappresentanti di Slovenia, Serbia, Croazia, Bosnia, Bulgaria, Grecia, Turchia, Armenia, Georgia, Romania, Albania, Macedonia del Nord.

L’incontro, inizialmente destinato a discutere della situazione nei Balcani, ha anche toccato temi di stringente attualità, come la crisi in Ucraina. Riguardo la crisi ucraina, l’Arcivescovo Gallagher ha ricordato l’esempio della Siria, chiedendosi cosa succederà quando l’emozione del momento sarà andata via. Invitando a ragionare con mente fredda, il “ministro degli Esteri” vaticano ha messo in luce che la stessa efficacia delle sanzioni dipenderà da cosa davvero l’Europa è disposta a perdere, e a lungo termine.

Si è parlato, ovviamente anche di Balcani. A tale proposito, l’Arcivescovo Gallagher sarà in Bosnia a metà mese, in un viaggio che vuole anche essere una speranza per la comunità cattolica locale. La Santa Sede guarda con attenzione alla Regione Balcanica, e in più occasioni ha mostrato il suo sostegno ad un allargamento dell’Unione Europea alle nazioni balcaniche.

La posizione del Cardinale Pietro Parolin sull’Ucraina

In una intervista data a quattro quotidiani italiani il 1° marzo, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ha sottolineato di non voler “nemmeno pensare” un allargamento del conflitto in Europa, definendo l’eventualità come “una catastrofe di proporzioni gigantesche”.

Il Cardinale ha chiesto di “evitare ogni escalation, fermare la guerra e trattare”, con la convinzione che “c’è sempre spazio per il negoziato”, e ricordando che “la Santa in questi anni ha seguito costantemente, discretamente e con grande attenzione le vicende dell’Ucraina, offrendo la sua disponibilità a facilitare il dialogo con la Russia, è sempre pronta ad aiutare le parti a riprendere tale via”.

Il Cardinale Parolin ha anche sottolineato i “segni incoraggianti” da parte dei capi delle Chiese ortodosse, le quali “manifestano disponibilità a lasciare da parte il ricordo delle ferite reciproche e a lavorare insieme per la pace” e “concordano nell’esprimere grave preoccupazione e affermare che, al di là di ogni altra considerazione, la pace e la vita umana sono quanto sta veramente a cuore alle Chiese. Possono svolgere un ruolo fondamentale”.

Ha concluso il Cardinale Parolin: “Le aspirazioni di ogni Paese e la loro legittimità devono essere oggetto di una riflessione comune, in un contesto più ampio e, soprattutto, tenendo conto delle scelte dei cittadini stessi e nel rispetto del diritto internazionale. E la storia non manca di offrire esempi che confermano che ciò è possibile”.

La preghiera per l’Ucraina dei Parlamentari italiani

Il 2 marzo, 270 parlamentari italiani si sono riuniti nel chiostro della chiesa di San Gregorio Nazianzeno con l’Arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, per chiedere la cessazione della guerra in Segreteria di Stato. L’iniziativa è stata organizzata da Maurizio Lupi, Presidente di Noi per l’Italia.

Dopo la lettura del brano di Matteo sulle Beatitudini, l’Arcivescovo Peña Parra ha portato ai parlamentari i saluti di Papa Francesco, e ha poi denunciato “il demone della guerra” che prende forma dalle “barbarie” cui si assiste oggi, e ha chiesto di essere operatori di pace. L’arcivescovo ha ricordato che per essere operatori di pace si deve “smontare l’arma”, perché “c’è un disfare che riguarda la pace”, in quanto “la pace concerne minacce da sventare, ma non dimentichiamo che ciò richiede anche un lavoro quotidiano, paziente e lungimirante, in grado di sradicare non solo le cause prossime, ma soprattutto quelle remote della violenza. Operare per la pace in questo senso significa adoperarsi per il disarmo”.

Il Sostituto della Segreteria di Stato ha notato che “è evidente che le troppe armi presenti sulla Terra, con i tanti giri di affari collegati, spesso coperti da impenetrabili cortine di fumo, rischiano prima o poi di essere usate: anziché essere deterrenti per i conflitti, costituiscono, come vediamo in queste ore, minacce di distruzione”.

A margine dell’evento, l’Arcivescovo Peña Parra ha ribadito la disponibilità della Santa Sede a mediare tra le parti, ha espresso preoccupazione per le minacce nucleari, ha ribadito l’importanza di stabilire corridoi umanitari”.

Crisi ucraina, le parole della Santa Sede all’ONU di New York

Il 23 febbraio, la Santa Sede ha partecipato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla riunione sulla “Situazione nei territori temporaneamente occupati dell’Ucraina”.

L’Arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato che la Santa Sede “continua a seguire la situazione in e intorno all’Ucraina con la massima preoccupazione”, e ricordato che è dovere degli Stati membri delle Nazioni Unite di “risolvere le dispute attraverso la negoziazione, la mediazione e altri mezzi pacifici”.

La Santa Sede ha ricordato che “negli ultimi otto anni, l’Ucraina ha sofferto le conseguenza di uno spaventoso conflitto, con immenso costo umano, specialmente tra i civili”, e che “una intensificazione delle ostilità porterà un danno irreparabile al popolo ucraino”.

L’Arcivescovo Caccia ha ricordato gli appelli di Papa Francesco per una soluzione negoziale del conflitto, e sottolineato in conclusione che “nella crisi attuale, ci sono ancora strade per una de-escalation” e che “la Santa Sede continua ad incoraggiare ed accogliere tutti gli sforzi per promuovere pace in e intorno all’Ucraina, esprimendo apprezzamento per quelli Stati che hanno risposto a questa sfida umanitaria. È tempo, per i membri delle Nazioni Unite, di vivere secondo la loro Carta”.

Papa Francesco, la sua diplomazia ecumenica in Ucraina
di Andrea Gagliarducci
Monday Vatican, 7 marzo 2022

(nostra traduzione italiana dall’inglese)

Non si sa se ci sarà un secondo incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill. Il Kazakistan è stato inizialmente pensato (per due anni) come un possibile luogo di incontro, approfittando della festa delle religioni e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso che ha firmato un protocollo d’intesa sui temi del dialogo con Nur Sultan. Tuttavia, i disordini in Kazakistan, seguiti (anche qui) dall’intervento russo, hanno fatto fallire l’opzione. La seconda opzione era quella dell’abbazia di Pannonhalma, in Ungheria, luogo ecumenico un tempo considerato per l’incontro tra Giovanni Paolo II e Alessio II. Era un’eventualità, ma anche quella era naufragata. Infine, un’altra idea è quella di un viaggio a Gerusalemme, dove viene firmata una dichiarazione comune di pace. Ma è anche una nozione qui, e se dovesse accadere, sarebbe bene che fosse con tutte le comunità cristiane, in una spinta ecumenica che potrebbe nascere solo dalla Città Santa.

Al suo ritorno dalla Grecia, Papa Francesco ha fatto sapere di essere prontamente disponibile per un secondo incontro e ha sottolineato che si sarebbe trattato di un “incontro tra fratelli, senza protocollo”. Parole che testimoniano l’ampia apertura del Papa al dialogo con il Patriarcato di Mosca.

Sullo sfondo, come sappiamo, c’è il sogno di Papa Francesco di essere il primo papa della storia a recarsi a Mosca [QUI]. E per questo sogno, che avrebbe un solido peso simbolico, è disposto a sacrificare anche un po’ di protocollo.

Lo testimonia la dichiarazione firmata all’Avana con il Patriarca Kirill. Sono state affrontate anche questioni importanti, come l’”uniatismo”, ma visto quasi sempre dal punto di vista russo. Sono stati infatti citati solo i due vescovi ortodossi rapiti ad Aleppo, non si è parlato di Cattolici che avevano subito la stessa sorte, come Padre Paolo Dall’Oglio, di cui non si ha traccia da anni.

La dichiarazione dell’Avana includeva anche due paragrafi sulla questione ucraina. Al numero 26 leggiamo che “deploriamo l’ostilità in Ucraina che ha già causato molte vittime, inflitto innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una profonda crisi economica e umanitaria. Invitiamo tutte le parti coinvolte nel conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione finalizzata alla costruzione della pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per l’armonia sociale, ad astenersi dal prendere parte allo scontro ea non sostenere alcun ulteriore sviluppo del conflitto”.

Al punto 27, Papa Francesco e Patriarca Kirill hanno sottolineato che “è nostra speranza che lo scisma tra i fedeli ortodossi in Ucraina possa essere superato attraverso le norme canoniche esistenti, che tutti i Cristiani Ortodossi dell’Ucraina possano vivere in pace e armonia e che i Cattolici nel Paese possano contribuire a questo, in modo che la nostra fraternità cristiana diventi comunità sempre più evidenti”.

A La Croix, Yves Lamant, esperto di affari russi, ha detto che la dichiarazione dovrebbe essere aggiornata, definendola “completamente obsoleta” perché non considera che ora ci sia uno stato aggressore e uno stato attaccato.

Ma già in quel momento, quella dichiarazione sollevava problemi e aveva creato un ampio dibattito. L’Arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, padre e capo della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, ha subito sottolineato che “possiamo riconciliarci con i nostri fratelli. Non possiamo riconciliarci con la geopolitica” [QUI].

Era il 2016. Poco prima del conflitto, l’Arcivescovo maggiore ha sottolineato di aver accolto con favore un nuovo incontro tra Papa Francesco e Patriarca Kirill per creare la pax ecumenica necessaria in Ucraina per evitare qualsiasi conflitto. Dobbiamo incontrarci per sanare le ferite della storia.
L’approccio di Papa Francesco, senza protocolli, senza precondizioni, rischia di creare un problema perché non pone una posta in gioco dal punto di vista storico. Come se le ferite della storia non importassero o potessero essere messe da parte.

Se Mosca oggi teme Kiev è perché ha visto a Kiev un rigurgito antirusso, filoeuropeo, che non comprende. Mosca si sente circondata e attacca per evitare di essere attaccata. Ma ciò che la Russia non si rende conto è che la repressione, l’oppressione e la persecuzione dei cristiani, e la negazione delle libertà che esistevano nel periodo dell’Unione Sovietica, sono ferite fresche. Nessuno vuole tornare a quel tempo. La Russia vi è irrimediabilmente associata. Ogni attacco, ogni dura difesa della sua sfera di influenza avanza lo spettro del ritorno di un potere sovietico che nessuno vuole.

Potrebbe esserci stato il sostegno occidentale per la Rivoluzione della dignità del 2014, ma resta il fatto che gli Ucraini volevano fare di tutto per liberarsi dall’influenza russa, qualunque cosa accada. L’Ucraina può essere uno stato con vari problemi, compreso un certo autoritarismo mostrato in alcune circostanze dal Presidente Zelenskyi, ma rimane un popolo che non può essere sottomesso.

Sono tutte questioni che devono essere prese in considerazione dalla diplomazia della Santa Sede e anche da Papa Francesco. Ad esempio, dopo l’incontro con il Patriarca Kirill, il Papa si è affrettato a spiegare ai giornalisti in partenza dall’Avana che si trattava di una dichiarazione “pastorale”, invitandoli a non leggerla in chiave politica. Il Papa pensa di poter affrontare allo stesso modo la questione ucraina.

È in questo senso che leggiamo la visita all’ambasciata russa del 25 febbraio [QUI], un atto del tutto fuori protocollo, che alcuni hanno giustificato con il fatto che il Papa ha voluto parlare con Putin che poteva fare solo su una linea russa sicura. Questo non lo sappiamo, ma sembra che quella del Papa sia stata solo una conversazione, con uno scopo pastorale. E c’è da chiedersi perché, però, con lo stesso intento pastorale, non si sia recato all’ambasciata ucraina presso la Santa Sede, e forse anche a visitare la basilica greco-cattolica ucraina di Santa Sofia a Roma da dove si coordinano gli aiuti al Paese.

La rete umanitaria cattolica sta facendo un ottimo lavoro e la diplomazia silenziosa sta cercando cautamente di trovare un equilibrio in una situazione difficile. Mons. Visvaldas Kulbokas, Nunzio in Ucraina, ha anche fatto sapere, da una trasmissione alla radio di Stato italiana, che si dovrà ancora pensare se e come mantenere i rapporti con un governo filorusso instauratosi in caso di vittoria. La Santa Sede, infatti, non rompe mai i rapporti diplomatici. Rimane sul posto. Aiuta le persone.

Oggi, un incontro tra Papa Francesco e Kirill potrebbe aiutare Patriarca Kirill più di Papa Francesco. Perché il Patriarca Kirill appare sempre più isolato nella sua posizione di difesa di una Grande Russia (che è anche il punto di vista di Putin). Allo stesso tempo, da tutte le altre Chiese Ortodosse sono giunte condanne, dirette o indirette, per l’aggressione di uno Stato sovrano. Anzi, in alcuni casi, le persone hanno persino smesso di pregare per il Patriarca Kirill nella Divina Liturgia, a cui il Patriarcato di Mosca ha reagito duramente.

In tutto questo c’è molto spazio per la Chiesa Cattolica in Europa per creare un continente veramente riconciliato. Ricostruendo la storia del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa nel mio libro Cristo speranza d’Europa [QUI], ho potuto notare come sia proprio la rete delle Chiese locali unite oltre la cortina di ferro, anzi senza considerare la cortina di ferro, che creò quel tessuto che permise alla Chiesa perseguitata di resistere e poi di ricostruire il continente.

Oggi la Chiesa Cattolica è chiamata a fare da mediatrice per risolvere i conflitti accesi e ad essere mediatrice tra i popoli per sanare le ferite della storia. La riconciliazione tra fratelli deve diventare anche riconciliazione della responsabilità. Ma i gesti pastorali non bastano per questa riconciliazione. Non può bastare per dimostrare che ci si incontra. Non basta unirsi sui temi comuni unici della vita e della famiglia. Dobbiamo lavorare per creare una nuova cultura.

Forse la Quarta assemblea ecumenica europea che si sta organizzando potrebbe essere un punto di partenza. E il 2025, 1700° anniversario del Concilio di Nicea, potrebbe rappresentare una rinascita. Dobbiamo sperarlo.

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