Il cavallo di Troia del Ddl Zan accompagnato dai senatori alla porta del parlamento, rientra dalla finestra con un rabbioso colpo di coda nel Dl infrastrutture del Governo Draghi

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Non sarà più possibile affermare in una pubblicità, che i bambini sono maschi e le bambine sono femmine; che un bambino nasce da una mamma e un papà; che l’utero in affitto è una pratica barbara (che è pure illegale in Italia). Il Decreto legge infrastrutture del Governo Draghi, approvato definitivamente ieri, 4 novembre 2021 dal Senato, contiene de facto un bavaglio ideologico, relativo alla pubblicità stradale su temi riguardanti ideologia del genere, vita, famiglia, educazione, utero in affitto, ecc. Tutto ciò adesso è vietato, perché il Dl Infrastrutture proibisce “qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto” sia (considerato) discriminatorio con riferimento anche all’identità di genere.

Il Decreto legge 10 settembre 2021, N. 121 (cosiddetto Infrastrutture) licenziato dal Governo Draghi, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali” [QUI], è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 settembre 2021, N. 217 ed è entrato in vigore l’11 settembre 2021.

In fase di approvazione alla Camera, avvenuta il 28 ottobre 2021, la deputata piddina Alessia Rotta e la sua collega renziana Raffaella Paiti – approfittando del fatto di essere rispettivamente presidenti delle competenti commissioni Ambiente e Trasporti – hanno introdotto di soppianto tre commi al comma 4 dell’articolo 1 (Disposizioni urgenti per la sicurezza della circolazione dei veicoli e di specifiche categorie di utenti):

«4-bis. È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche.

4-ter. Con decreto dell’autorità di Governo delegata per le pari opportunità, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e con il Ministro della giustizia, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni del comma 4-bis.

4-quater. L’osservanza delle disposizioni del comma 4-bis è condizione per il rilascio dell’autorizzazione di cui al comma 4; in caso di violazione, l’autorizzazione rilasciata è immediatamente revocata».

L’identità di genere non è entrata con il cavallo di Troia del Ddl Zan e ora surrettiziamente il Governo ha inserito nel Decreto legge sulle infrastrutture sotto la foglia di fico, come al solito, delle discriminazioni, in particolare con l’emendamento 1.294 approvato senza illustrazione e senza discussione e proposto dal Pd.

Oggi, 5 novembre 2021 sul sito Rossoporpora.org [QUI] l’amico e collega Giuseppe Rusconi rileva al riguardo: «Non è chi non veda come il comma 4-bis riproponga curiosamente uno dei punti qualificanti del defunto Ddl Zan. Gli emendamenti introdotti da Alessia Rotta e Raffaella Paita non sono stati illustrati né discussi nell’Aula della Camera. Il testo è così stato trasmesso al Senato. L’Aula di Palazzo Madama se n’è occupata il 3 (discussione generale [*]) e il 4 novembre, giorno in cui il Governo Draghi (che nel concreto si conferma pienamente inserito nel politicamente corretto) ha annunciato che sul decreto (con il testo comprendente anche gli emendamenti de facto liberticidi di Rotta e Paita) avrebbe chiesto la fiducia. Conseguenza? Sarebbero caduti gli emendamenti presentati dai senatori al nuovo testo e pure le richieste di voto segreto sull’uno o l’altro articolo. Così è stato e alla fine il decreto Infrastrutture, molto corposo (il fascicolo si compone di centinaia di pagine), è stato approvato con voto nominale (dunque non segreto) con 190 voti (i partiti di Governo con alcune assenze di leghisti irritati, mentre altri leghisti – pur brontolando – hanno votato la fiducia chiesta dal Governo Draghi di cui sono membri) contro 34 (Fratelli d’Italia e altri del gruppo misto per ragioni diverse)».

Non solo viene calpestata la libertà di espressione sancita dalla Costituzione, ma si apre nuovamente all’identità fluida di genere. Lo sapevamo che non bisognava abbassare la guardia. Adesso, con il Dl 121/2021 (Infrastrutture), realtà, partiti politici o associazioni finora libere hanno la bocca chiusa da una censura figlia della volontà di allineare tutti al pensiero unico.

Sottolinea Giuseppe Rusconi su Rossoporpora.org [QUI]: «La nota lobby e le sue propaggini sinistre politicamente corrette non l’hanno presa bene la bruciante sconfitta subita in Senato del Ddl Zan. Ma proprio per niente. Non solo si sono ferocemente indignate per l’umanissima, più che giustificata esplosione di giubilo sui banchi del centrodestra (e nell’intimo del cuore di diversi di centrosinistra [vedi Ddl Zan mazziato? Libiamo ne’ lieti calici, prosit, cin cin – 28 ottobre 2021]; in piazza, nel Media unico e sui social è stato tutto un fiume limaccioso di insulti, offese, minacce di morte (le più moderate preconizzavano per senatori e intellettuali militanti l’impiccagione a testa in giù in modalità piazzale Loreto). Insomma la sinistra radicalchic non ha perso l’occasione per confermare la sua profonda impronta sovietica. Come facilmente prevedibile l’indottrinamento gender nelle scuole è proseguito e si è anzi accelerato (vedi la “lezione” di Zan a 250 studenti nella palestra del liceo classico De Castro di Oristano); in altri istituti se ne vedono di tutti i colori (arcobaleno) ad esempio a proposito di bagni.

Ieri in Senato si è registrato l’ultimo colpo di coda parlamentare della congrega rossa di obbedienza arcobaleno. Un colpo di coda frutto di maneggi piddino-renziani durante l’esame del decreto Infrastrutture alla Camera (…). La conseguenza concreta di tale voto? Verrà vietata in particolare la pubblicità su strada (camion-vela e cartelloni) di messaggi giudicati “discriminatori” dagli sbirri del politicamente corretto in materia di vita, famiglia, educazione».

Che si tratta di una vendetta bel’e buona contro Pro Vita & Famiglia Onlus e le associazioni del Family Day, evidenzia anche Giuseppe Rusconi: «Come non pensare a una ritorsione specie contro Pro Vita & Famiglia e contro “Difendiamo i nostri figli” (Family Day) per la parte avuta nell’affossamento del Ddl Zan? Una ritorsione? Guardate le date: il “no” al testo liberticida, antropologicamente sovversivo, socialmente devastante è del 27 ottobre, il voto della Camera sul decreto Infrastrutture è del 28 ottobre, quello definitivo del Senato del 4 novembre. Insomma: con un fallo intenzionale è stato approvato ieri un bavaglio alla libertà d’espressione. Non certo un segno di buona salute per il sistema democratico italiano, già eroso di continuo per lo strabismo politico in materia di ordine pubblico del ministro dell’Interno Lamorgese (per parte sua anche gravemente responsabile di aver tollerato che migliaia di giovani si drogassero per diversi giorni nel rave party agostano di Valentano e in quello, recentissimo, di Torino)».

Utero in affitto. Pro Vita & Famiglia: «Con il Dl Infrastrutture sarà reato denunciare con manifesti il l’utero in affitto, ma in Rete c’è chi pubblicizza questo reato»

«Noi non potremo dire che l’utero in affitto è un abominio e che due papà non possono adottare un bambino, ma ci sono aziende che in Rete, su siti italiani o social come YouTube, pubblicizzano proprio il reato dell’utero in affitto. Spiegazioni complete su come accedere a questa barbara pratica con tanto di prezzario e contratto “Vip” per prove illimitate e selezione del sesso. Pubblicità senza controllo, mentre noi – dopo l’approvazione del Dl Infrastrutture di ieri – saremo censurati e imbavagliati proprio nel denunciare l’utero in affitto», è il commento di Antonio Brandi, Presidente di Pro Vita & Famiglia Onlus, dopo l’approvazione del Decreto legge Infrastrutture.

«Il sito Uteroinaffitto.com, che fa capo alla realtà “BioTexCom – Centro per la riproduzione”, che ha rappresentanze a Roma, Milano, Pesaro e Palermo, probabilmente si avvale di server su territorio estero, però c’è la possibilità di limitare geograficamente le inserzioni pubblicitarie ed è quello che chiediamo di fare ai motori di ricerca; e faremo anche un esposto alla Procura», prosegue Jacopo Coghe, Vicepresidente di Pro Vita & Famiglia Onlus.

«Pro Vita & Famiglia – conclude la nota della Onlus – spesso è soggetta proprio a limitazioni geografiche per le sue pubblicità, pienamente legali, su aborto, famiglia ed eutanasia.  E da ieri sarà a rischio di censura su tematiche come l’identità di genere. È assurdo che non ci sia nessun blocco per chi, invece, propaganda quello che è un reato in Italia».

Identità di Genere. Pro Vita & Famiglia: «Il Governo Draghi mettendo la fiducia al Dl Infrastrutture ha approvato un Ddl Zan mascherato. Da oggi avremo il bavaglio per le nostre opinioni»

«Associazioni pro vita e pro famiglia come la nostra avranno sulla loro testa la scure della censura e del bavaglio sui temi quali il gender, l’ideologia Lgbt e l’identità di genere. La discriminazione voluta dal Ddl Zan alla fine è diventata realtà, semplicemente sotto falso nome», è il commento di Antonio Brandi, Presidente di Pro Vita & Famiglia Onlus, sul voto di fiducia che il Governo Draghi ha posto – e ottenuto con 190 voti favorevoli e 34 contrari – sul Decreto legge Infrastrutture, che vieta “qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto” sia discriminatorio con riferimento anche all’identità di genere.

«La dittatura gender non è entrata con il cavallo di Troia del Ddl Zan e ora surrettiziamente il Governo Draghi l’ha inserita ugualmente nel Dl Infrastrutture con un emendamento liberticida,  a causa del quale non sarà più possibile fare affissioni o camion vela contro il gender, l’utero in affitto e le adozioni per coppie omosessuali. In più, come se non bastasse – aggiunge Jacopo Coghe, Vicepresidente di Vita e Famiglia Onlus – è stata legittimata la fluidità di genere, come al solito sotto le mentite spoglie delle discriminazioni».

«Abbiamo già sperimentato in passato – conclude la nota di Pro Vita & Famiglia – censure sui nostri manifesti, quando alcuni Comuni hanno bloccato o stracciato le nostre affissioni per norme simili. Non ci siamo arresi allora e non ci arrenderemo ora. Faremo sempre sentire la nostra voce perché la libertà di espressione è sacra ed è sancita dalla Costituzione che, proprio il 4 novembre è stata ignorata e violata da governo e Senato».

[*] Dal dibattito in Senato
[a cura di Giuseppe Rusconi – Rossoporpora.org, 5 novembre 2021]

Nel suo intervento il senatore Lucio Malan (FdI, che – puntiglioso come sempre – aveva scoperto la trista furbata di Rotta e Paita) ha giustamente ricordato quanto scritto recentemente da Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, a proposito dei decreti-legge urgenti infarciti di contenuti non rispondenti al tema in oggetto: “Il 23 luglio scorso, non molto tempo fa, tre mesi fa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scritto una lettera – è una facoltà prevista dalla Costituzione – ai Presidenti della Camera e del Senato a proposito della decretazione d’urgenza. In quella lettera si citava il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, che ha invitato il legislatore a evitare la commistione e la sovrapposizione nello stesso atto normativo di oggetti e finalità eterogenei. Il Capo dello Stato ricordava – anzi, ricorda, perché dovrebbe essere attuale; dovrebbe essere un messaggio rivolto ogni giorno al Parlamento e al Governo – che i decreti-legge devono presentare ab origine un oggetto il più possibile definito e circoscritto per materia; nei casi in cui l’omogeneità sia perseguita attraverso l’indicazione di uno scopo, deve evitarsi che la finalità risulti estremamente ampia. Il Capo dello Stato prosegue osservando che: nella procedura di conversione l’attività emendativa dovrà essere limitata dalla materia, ovvero dalla finalità originariamente oggetto del provvedimento, come definite dal Governo”.

Insomma: ieri il Senato ha dato uno schiaffo anche al solitamente lodatissimo Sergio Mattarella, approvando un decreto Infrastrutture che contiene anche quello che appare – alla luce di quanto è successo pure in Italia negli ultimi anni – un grave attacco alla libertà di espressione (che nulla c’entra con asfalto e pilastri). Come ha rilevato Massimo Ruspandini (FdI): “Eccoci al lascito rabbioso delle vedove del disegno di legge Zan: vietata nelle strade e sui veicoli qualunque forma di pubblicità con un certo contenuto. Evito di leggere il contenuto dell’articolo perché, dietro una patina così politicamente corretta, sappiamo bene che cosa si nasconde”.

Ancora Malan: “Un cartellone pubblicitario con la foto di una bella donna sarà considerato ‘sessista’? Una donna che stira o un uomo che nella pubblicità di un film salva una fanciulla saranno considerati ‘stereotipi di genere’? Un adesivo su un’auto con scritto che Gesù è figlio di Dio o che Cristo è Re sarà considerato lesivo dei non cristiani? Una pubblicità che raffiguri solo coppie uomo/donna sarà lesivo delle persone LGBT? La pubblicità di reggiseni sarà considerata lesiva dell’identità di genere se dice di rivolgersi alle donne? Non sono domande oziose, sono casi che già si sono verificate all’estero, ad esempio nel Regno Unito, dove questa ideologia è già entrata nelle leggi. Basti ricordare che da noi, anche senza questa norma, sindaci di sinistra hanno vietato cartelloni e autocarri ‘vela’ che dicevano semplicemente ‘i bambini sono maschi, le bambine sono femmine’ “.

Concludiamo con Andrea de Bertoldi (FdI): “Signor Presidente, io sono uno di coloro che orgogliosamente e fieramente ha contribuito ad affossare il disegno di legge Zan la scorsa settimana e per questo sono stato anche pesantemente minacciato, tanto da dover presentare denuncia alla Polizia postale.

Bene, oggi cosa succede? Nel momento in cui noi fieramente abbiamo bloccato quel disegno di legge, nel momento in cui noi abbiamo fieramente impedito che si arrivasse a un diritto penale dello stato d’animo interiore, come detto chiaramente dal nostro capogruppo in Commissione giustizia Balboni, dopo che abbiamo bloccato quel disegno di legge, ci ritroviamo – badate bene, i cittadini lo devono sapere – di fronte a quegli stessi temi, contenuti in un decreto-legge che si chiama infrastrutture e trasporti. Quindi il Governo Draghi si rende complice di andare contro la volontà del Parlamento, espressa in modo chiaro la scorsa settimana, facendo entrare dalla finestra quello che è stato fatto uscire o al quale era stato impedito di entrare dalla porta”.

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