Papa Francesco al Patriarcato di Costantinopoli: superiamo la rivalità

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In occasione della solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, come da tradizione, ieri papa Francesco ha ricevuto una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, soffermandosi sulla crisi causata dalla pandemia:

“Quest’anno festeggeremo i Santi Pietro e Paolo mentre il mondo sta ancora lottando per uscire dalla drammatica crisi causata dalla pandemia. Questo flagello è stato un banco di prova che ha investito tutti e tutto. Più grave di questa crisi c’è solo la possibilità di sprecarla, senza apprendere la lezione che ci consegna”.

Per il papa c’è il rischio di un ritorno al passato sotto le spoglie della normalità: “E’ una lezione di umiltà, che ci insegna l’impossibilità di vivere sani in un mondo malato e di continuare come prima senza renderci conto di quanto non andava.

Anche ora, il grande desiderio di tornare alla normalità può mascherare l’insensata pretesa di appoggiarsi nuovamente a false sicurezze, ad abitudini e progetti che mirano esclusivamente al guadagno e al perseguimento dei propri interessi, senza prendersi cura delle ingiustizie planetarie, del grido dei poveri e della precaria salute del nostro pianeta”.

Anche i cristiani devono domandarsi il senso di questa crisi: “Anche noi siamo seriamente chiamati a chiederci se vogliamo riprendere a fare tutto come prima, come se non fosse successo nulla, o se vogliamo cogliere la sfida di questa crisi. La crisi, come rivela il significato originario della parola, implica un giudizio, una separazione tra ciò che fa bene e ciò che fa male.

Il termine, infatti, anticamente designava l’atto dei contadini che separavano il grano buono dalla pula da buttare. La crisi chiede dunque di effettuare una cernita, di operare un discernimento, di fermarsi a vagliare che cosa, di tutto quello che facciamo, resta e che cosa passa”.

Quindi la crisi chiama direttamente in causa i cristiani: “Prendere sul serio la crisi che stiamo attraversando significa dunque, per noi cristiani in cammino verso la piena comunione, chiederci come vogliamo procedere. Ogni crisi pone di fronte a un bivio e apre due vie: quella del ripiegamento su sé stessi, nella ricerca delle proprie sicurezze e opportunità, o quella dell’apertura all’altro, con i rischi che comporta, ma soprattutto con i frutti di grazia che Dio garantisce”.

Ed ha invitato a superare le ‘rivalità dannose’: “Senza ignorare le differenze che andranno superate attraverso il dialogo, nella carità e nella verità, non potremmo inaugurare una nuova fase delle relazioni tra le nostre Chiese, caratterizzata dal camminare maggiormente insieme, dal voler fare reali passi avanti, dal sentirci veramente corresponsabili gli uni per gli altri? Se saremo docili all’amore, lo Spirito Santo, che è l’amore creativo di Dio e mette in armonia le diversità, aprirà le vie per una fraternità rinnovata”.

La comunione è un segno di speranza: “La testimonianza di crescente comunione tra noi cristiani sarà anche un segno di speranza per tanti uomini e donne, che si sentiranno incoraggiati a promuovere una fraternità più universale e una riconciliazione in grado di rimediare ai torti del passato.

E’ la sola via per dischiudere un avvenire di pace. Un bel segno profetico sarà anche la collaborazione più stretta tra Ortodossi e Cattolici nel dialogo con altre tradizioni religiose, ambito nel quale so che Lei, cara Eminenza Emmanuel, è molto coinvolto”.

Oggi la delegazione inviata dal patriarca Bartolomeo, guidata dal metropolita di Calcedonia Emmanuel, partecipa alla messa papale in Vaticano per la Solennità dei santi patroni della Chiesa di Roma; mentre il 30 novembre una delegazione vaticana parteciperà alla liturgia celebrata al Fanar, la sede del Patriarcato ecumenico ad Istanbul, per la festa di Sant’Andrea.

(Foto: Santa Sede)

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