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Per non dimenticare i diritti umani

“Nella vita della comunità internazionale, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rappresenta una tappa fondamentale, riconoscendo l’insopprimibile dignità della persona, principio che ispira la nostra Costituzione. Nonostante la sottoscrizione della Dichiarazione da parte degli Stati aderenti alle Nazioni Unite, i diritti umani continuano a essere minacciati e violati in diverse parti del mondo.

Violenze e abusi nei confronti delle donne, dei bambini e dei soggetti più fragili sono accadimenti quotidiani, soprattutto laddove sono in corso conflitti armati. In alcuni Paesi le più elementari libertà democratiche sono brutalmente ignorate, e perfino l’esercizio del voto (cardine di ogni democrazia) è vanificato.

In una congiuntura internazionale caratterizzata da crisi occorre ribadire la necessità della tutela dei diritti di ogni persona, in ogni circostanza. In occasione della Giornata che sottolinea la centralità dei diritti umani, la Repubblica riafferma il valore delle norme del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario, senza le quali è illusoria ogni prospettiva di pace duratura e di sviluppo dei popoli”.

In occasione della Giornata per i diritti umani il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha riconosciuto le continue violazioni di essi, ribadendo la necessità della tutela di ogni persona; ed anche papa Francesco ha lanciato un appello con un messaggio su X in occasione dell’odierna Giornata mondiale dei diritti umani: “I #DirittiUmani alla vita e alla pace sono condizione essenziale per l’esercizio di tutti gli altri diritti. I governanti ascoltino il grido di pace dei milioni di persone private dei diritti più elementari a causa della guerra, madre di tutte le povertà!”

mentre il presidente della Croce Rossa italiana, Rosario Valastro, ha invitato a non abituarsi alla mancanza di rispetto dei diritti umani: “Questo momento storico ha un grande nemico: l’abitudine.

Non abituiamoci mai a rimanere indifferenti davanti a tutte le persone che nelle zone di conflitto sono prive di acqua, cibo, vestiti e supporto sanitario, a quanti sono in difficoltà economica, a chi è margini della società, a chi subisce violenze. Il nostro compito è quello di non voltarci dall’altra parte e di impegnarci ancora di più per difendere quei diritti fondamentali propri ad ogni persona, affinché siano sempre più una base solida della nostra società, della nostra democrazia, e riescano a garantire a tutti gli esseri umani eguale dignità, in ogni circostanza”.

Ed il pensiero è rivolto a chi per problemi di libertà di parola è costretto a fuggire: “L’azione dei 150.000 Volontarie e Volontari della Croce Rossa Italiana è nel primo Principio dell’Associazione, l’Umanità. Da Lampedusa agli altri porti italiani dove svolgiamo accoglienza alle persone migranti, nei quartieri delle nostre città dove i senza fissa dimora vivono in solitudine, nei centri dove assistiamo le persone indigenti o che non hanno accesso alle cure mediche necessarie, da Gaza all’Ucraina, quella stessa Umanità ci permette da 160 anni di essere ovunque c’è gente che soffre. Quella stessa Umanità è la ragione per cui non ci abitueremo mai all’odio, non resteremo mai indifferenti e non ci volteremo dall’altra parte davanti a chi si trova in difficoltà”.

Da queste premesse il presidente nazionale della Croce Rossa Italiana, “nella Giornata mondiale dei Diritti Umani la Comunità internazionale deve ribadire a gran voce l’impegno a tutela della libertà e dell’uguaglianza di ogni donna, uomo, bambina e bambino. Solo così potremo costruire una società libera da ogni forma di odio e violenza. Tutti fattori che, purtroppo, sono molto frequenti sia tra gli operatori umanitari che tra gli operatori sanitari”.

In effetti, secondo il rapporto di Amnesty International, nello scorso anno le violazioni dei diritti umani sono state dilaganti: “Gli stati e i gruppi armati hanno frequentemente perpetrato attacchi e uccisioni illegali in un numero crescente di conflitti armati. Le autorità in varie parti del mondo hanno represso il dissenso imponendo restrizioni alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica, ricorrendo all’uso illegale della forza contro manifestanti, arrestando arbitrariamente e detenendo difensori dei diritti umani, oppositori politici e altri attivisti, e sottoponendoli in alcuni casi a tortura e altro maltrattamento. Molti stati non hanno saputo adottare misure in grado di realizzare i diritti delle persone al cibo, alla salute, all’istruzione e a un ambiente salubre, trascurando le ingiustizie economiche e la crisi climatica.

I governi hanno spesso trattato rifugiati e migranti in maniera violenta e razzista. Una radicata discriminazione contro donne, ragazze, persone Lgbti, popolazioni native e comunità razzializzate o religiose ha emarginato sempre di più queste persone e le ha esposte a un rischio sproporzionato di violenza e violazioni dei diritti economici e sociali. Le imprese multinazionali hanno svolto un ruolo rilevante in alcuni di questi abusi. Le panoramiche regionali approfondiscono queste tendenze a livello delle singole regioni”.

Nel rapporto sono state delineate quattro tematiche essenziali per Amnesty International: “Questa analisi globale pone l’attenzione su quattro tematiche che evidenziano alcune di queste tendenze negative a livello globale: il trattamento dei civili come un elemento sacrificabile nelle situazioni di conflitto armato; la crescente reazione violenta contro la giustizia di genere; l’impatto sproporzionato delle crisi economiche, del cambiamento climatico e del degrado ambientale sulle comunità più marginalizzate; e le minacce di tecnologie nuove e già esistenti, come l’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence – Ai) generativa.

Queste rappresentano, dal punto di vista di Amnesty International, le problematiche cruciali per i diritti umani a livello mondiale per il 2024 ed oltre. Gli stati devono intraprendere un’azione concertata per contrastarle e prevenire ulteriori conflitti, crisi emergenti o il peggioramento di quelle attuali”.

Papa Francesco chiede una Chiesa in ‘movimento’

“In questo crocevia che è il Belgio, voi siete una Chiesa ‘in movimento’. Infatti, da tempo state cercando di trasformare la presenza delle parrocchie sul territorio, di dare un forte impulso alla formazione dei laici; soprattutto vi adoperate per essere Comunità vicina alla gente, che accompagna le persone e testimonia con gesti di misericordia”: così papa Francesco ha iniziato l’incontro con religiosi, religiose, sacerdoti, vescovi e seminaristi nel santuario di Koekelberg, che è il quinto santuario più grande del mondo, Koekelberg, cuore pulsante della devozione popolare belga, dopo aver incontrato nella parrocchia di St. Giles, che produce anche una birra, dieci rifugiati e senza tetto che sono aiutati dalla parrocchia.

Al termine delle domande dei religiosi e religiose il papa si è soffermato su  tre parole (evangelizzazione, gioia, misericordia), di cui l’evangelizzazione è l’asse portante: “La prima strada da percorrere è l’evangelizzazione. I cambiamenti della nostra epoca e la crisi della fede che sperimentiamo in Occidente ci hanno spinto a ritornare all’essenziale, cioè al Vangelo, perché a tutti venga nuovamente annunciata la buona notizia che Gesù ha portato nel mondo, facendone risplendere tutta la bellezza”.

Però la crisi è necessaria: “La crisi (ogni crisi) è un tempo che ci è offerto per scuoterci, per interrogarci e per cambiare. E’ un’occasione preziosa (nel linguaggio biblico si dice kairòs, occasione speciale) come è successo ad Abramo, a Mosè e ai profeti. Quando sperimentiamo la desolazione, infatti, sempre dobbiamo chiederci quale messaggio il Signore ci vuole comunicare. E cosa ci fa vedere la crisi? Siamo passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo ‘di minoranza’, o meglio, di testimonianza”.

E l’evangelizzazione conduce alla gioia: “Non parliamo qui delle gioie legate a qualcosa di momentaneo, né possiamo assecondare i modelli dell’evasione e del divertimento consumistico. Si tratta di una gioia più grande, che accompagna e sostiene la vita anche nei momenti oscuri o dolorosi, e questo è un dono che viene dall’alto, da Dio”.

La gioia, di cui ha parlato il papa, è quella del Vangelo, citando il card. Ratzinger: “E’ la gioia del cuore suscitata dal Vangelo: è sapere che lungo il cammino non siamo soli e che anche nelle situazioni di povertà, di peccato, di afflizione, Dio è vicino, si prende cura di noi e non permetterà alla morte di avere l’ultima parola. Dio è vicino, vicinanza… Ed allora vorrei dirvi: che il vostro predicare, il vostro celebrare, il vostro servire e fare apostolato lasci trasparire la gioia del cuore, perché questo suscita domande e attira anche coloro che sono lontani. La gioia del cuore: non quel sorriso finto, del momento, la gioia del cuore”.

Infine la misericordia: “Il Vangelo, accolto e condiviso, ricevuto e donato, ci conduce alla gioia perché ci fa scoprire che Dio è il Padre della misericordia, che si commuove per noi, che ci rialza dalle nostre cadute, che non ritira mai il suo amore per noi. Fissiamo questo nel cuore: mai Dio ritira il suo amore per noi”.

Però la misericordia non cancella la giustizia: “Tuttavia la giustizia di Dio è superiore: chi ha sbagliato è chiamato a riparare i suoi errori, ma per guarire nel cuore ha bisogno dell’amore misericordioso di Dio. Non dimenticatevi: Dio perdona tutto, Dio perdona sempre; è con la sua misericordia che Dio ci giustifica, cioè ci rende giusti, perché ci dona un cuore nuovo, una vita nuova”.

Per questo occorre la guarigione del cuore: “Gesù ci mostra che Dio non si tiene a distanza dalle nostre ferite e impurità. Egli sa che tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato. Nessuno è perduto per sempre. È giusto, allora, seguire tutti i percorsi della giustizia terrena e i percorsi umani, psicologici e penali; ma la pena deve essere una medicina, deve portare alla guarigione. Bisogna aiutare le persone a rialzarsi, a ritrovare la loro strada nella vita e nella società. Soltanto una volta nella vita di tutti ci è permesso guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a rialzarsi. Solo così. Ricordiamoci: tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato, nessuno è perduto per sempre. Misericordia, sempre, sempre misericordia”.

Infine ha salutato i presenti raccontando un quadro di Magritte, ‘Atto di fede’: “E’ uno squarcio, che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi, mai in noi stessi. Questa è un’immagine che vi lascio, come simbolo di una Chiesa che non chiude mai le porte – per favore, non chiude mai le porte! –, che a tutti offre un’apertura sull’infinito, che sa guardare oltre. Questa è la Chiesa che evangelizza, vive la gioia del Vangelo, pratica la misericordia”.

(Foto: Santa Sede)

Paolo Curtaz si racconta attraverso la Parola di Dio

‘La parola mi racconta. Storia di un’anima in cammino’; nella forma del dialogo con Natale Benazzi, Paolo Curtaz, teologo e ‘cercatore di Dio’, racconta la sua storia personale, dalla prospettiva di una costante, sempre presente: la dedizione alla Parola di Dio come filo rosso che ha accompagnato il tempo della sua vocazione sacerdotale, la crisi della stessa, con l’abbandono dell’attività ministeriale, e la seguente opera di evangelizzazione attraverso le proposte di lectio divina, gli incontri personali e i media. La Parola di Dio è sempre rimasta nel percorso di Curtaz l’elemento di continuità, cui negli ultimi anni si è aggiunto anche il tema della sofferenza, offrendo una visione ulteriore in questo suo vero e proprio cammino vocazionale alla ricerca dell’essenziale.

Cosa racconta la Parola di Dio?
“La Parola di Dio racconta d’amore tra Dio ed il popolo di Israele e verso tutta l’umanità. Questo racconto passa attraverso il racconto di migliaia di persone, che sono state scelte per fare arrivare ad ogni uomo ed ad ogni donna la parola che Dio ha su di noi”.

Per quale motivo la Parola di Dio è sempre stata una costante nella sua vita?
“Fin dai primi passi della mia conversione, quando ero poco più che adolescente e credevo di essere ateo (ma non lo ero affatto), ho trovato persone (sacerdoti in particolare) che mi hanno aiutato a fare la ‘lectio divina’, cioè ad accostarmi alla Parola di Dio come qualcosa di vivo, che mi riguardava. Meditando la Parola di Dio e facendo una lettura orante in comunione con la Chiesa, ho veramente scoperto il volto di Dio, Padre di Gesù: questa Parola ispirata dallo Spirito Santo e pregata nello Spirito Santo mi ha aiutato tantissimo nel mio percorso di vita”.

In quale modo la fede è capace di parlare a chi è in ricerca?
“La fede è fiducia; è un affidarsi nei confronti di Dio, che si è manifestato come Qualcuno di affidabile e merita la nostra fiducia. Leggendo le testimonianze di chi ha vissuto questa fede possiamo far emergere in noi la scintilla dello Spirito Santo e metterci alla ricerca del senso della vita, in quanto Dio è ‘accessibile’, ma ‘nascosto’; è un Dio che non si impone, ma si fa trovare”.

Come è possibile raccontare la Parola di Dio nella sofferenza?
“La Bibbia ha un approccio particolarissimo nei confronti della sofferenza. Possiamo trovare le intuizioni e le riflessioni che si facevano in altre culture, cioè la sofferenza come punizione divina; oppure sofferenza come ‘messa alla prova’. Giobbe si rifiuta di ragionare a livello teologico e disprezza i ragionamenti in punta di fioretto chi vuole difendere Dio. Alla fine questa sua esperienza drammatica di sofferenza ed anche di ribellione, addirittura di bestemmia, lo porterà a conoscere Dio faccia a faccia. Quando c’è, Dio da accusato diventa accusatore e mette Giobbe davanti al grande mistero dell’universo, in cui la sofferenza del singolo ha una ragione di cui noi non riusciamo a comprendere”.

Come si diventa ‘cercatori’ di Dio?
“Si diventa cercatori di Dio quando resti affascinato da una testimonianza, da una comunità, da un libro, da un ritiro spirituale o da un pellegrinaggio e senti dentro questo desiderio di cercare. Viviamo in un contesto, tutto sommato, cattolico. Però altro è vivere la fede ‘popolare’; altro è diventare discepolo. Credo che sia una grande sfida in questo momento in Italia fare questo salto, cioè tornare a capire che il percorso cristiano è un percorso di conoscenza di Dio ed è una ricerca che passa attraverso la meditazione della Parola di Dio ed attraverso l’esperienza della comunità l’accoglienza dei sacramenti che Dio ci ha lasciato per raggiugerLo e dura per tutta la vita. Siamo per sempre ricercatori di Dio, perché la nostra ricerca è ‘già e non ancora’”.

Per quale motivo è un evangelizzatore ‘free lance’?
“E’ una definizione che ho usato molti anni fa nel mio percorso di vita un po’ particolare. Ho desiderato mettere a disposizione quello che io sono e la mia esperienza di fede a chi nella Chiesa vuol fare questo percorso. Sono free lance, perché non sono legato in particolare ad una Chiesa locale, ad un movimento o congregazione, ma sono un battezzato all’interno della Chiesa. Oggi, poi, dopo il Sinodo ancora in corso, piace definirmi missionario digitale”.

(Foto: Edizioni San Paolo)

Papa Francesco ricorda le vittime di Mosca e di Kiev

“Ed assicuro la mia preghiera per le vittime del vile attentato terroristico compiuto l’altra sera a Mosca. Il Signore le accolga nella sua pace e conforti le loro famiglie. Egli converta i cuori di quanti progettano, organizzano e attuano queste azioni disumane, che offendono Dio… Cari fratelli e sorelle, Gesù è entrato in Gerusalemme come Re umile e pacifico: apriamo a Lui i nostri cuori! Solo Lui ci può liberare dall’inimicizia, dall’odio, dalla violenza, perché Lui è la misericordia e il perdono dei peccati. Preghiamo per tutti i fratelli e le sorelle che soffrono a causa della guerra; in modo speciale penso alla martoriata Ucraina, dove tantissima gente si trova senza elettricità a causa degli intensi attacchi contro le infrastrutture che, oltre a causare morti e sofferenze, comportano il rischio di una catastrofe umanitaria di ancora più ampie dimensioni. Per favore, non dimentichiamo la martoriata Ucraina! E pensiamo a Gaza, che soffre tanto, e a tanti altri luoghi di guerra”.

Con queste parole dopo la recita dell’Angelus papa Francesco ha introdotto i fedeli ai riti della Settimana Santa, ricordando le vittime dell’attentato a Mosca e della guerra in Ucraina. L’attentato nella capitale russa ha causato finora almeno 143 morti, ma destinati a salire, visto che di molte persone che erano nella grande sala del Crocus Music Hall non si hanno notizie.

Solo nella serata di venerdì i pompieri sono riusciti a estinguere completamente l’incendio appiccato dagli attentatori che venerdì sera erano entrati sparando e uccidendo chiunque incontrassero. I feriti ancora in ospedale sono 107, ma 200 spettatori mancherebbero all’appello.

Alcune fonti legate all’Isis hanno ribadito la matrice islamica dell’attentato. D’altra parte, estremisti musulmani hanno perpetrato varie stragi negli anni. Appena compiuto l’attentato il presidente Putin ha tentato di chiamare in causa l’Ucraina:

“Hanno cercato di fuggire verso l’Ucraina, dove gli era stata aperta una finestra per attraversare la frontiera di Stato. I criminali hanno organizzato un omicidio di massa ai danni di gente inerme, come un tempo facevano i nazisti, che compivano massacri nei territori da loro occupati. Tutti gli esecutori, gli organizzatori e i mandanti affronteranno una punizione inevitabile. Individueremo e colpiremo chi sta dietro questi terroristi, chi ha preparato questo delitto, chi ha consentito che potesse accadere”.

Infatti ancora prima che il presidente russo parlasse alla nazione, il sito del quotidiano Kommersant aveva cancellato dalla homepage ogni riferimento all’Isis, e affermando che secondo alcune fonti, il commando della strage era composto da combattenti russi filo ucraini che indossavano ‘barbe false’ per sembrare combattenti islamici.

Dal Canale Zapiski, che raccoglie le opinioni dei reduci dell’Operazione militare speciale: “Abbiamo certezza assoluta che questo massacro sia opera dei servizi segreti ucronazisti, istruiti da quelli occidentali”, mentre la direttrice di RT Margarita Simonyan ha considerato l’allarme su una minaccia dell’Isis lanciato dall’intelligence americana una prova del complotto: “Ormai è chiaro che tutto è stato orchestrato. Poco importa se il cane con la camicia ricamata si è sguinzagliato da solo, oppure se gli hanno impartito un ordine. In ogni caso la colpa è dell’ammaestratore”.

Le condoglianze al popolo russo sono giunte anche dall’arcivescovo di Mosca, mons. Paolo Pezzi: “A seguito del brutale attacco terroristico a Mosca, in cui molte persone sono state uccise e ferite, vorrei esprimere le mie più sentite condoglianze ai parenti delle vittime e il mio sostegno a tutti coloro che hanno sofferto in questa terribile tragedia”.

Ed ha richiamato al momento culminante della Settimana Santa: “Oggi i nostri cuori sono pieni di orrore e dolore, ma non lasciamo che ci facciano dimenticare che la nostra vita e quella di tutti gli uomini è nelle mani di Dio. La Settimana Santa, in cui la Chiesa cattolica entra già domani, ci ricorda che la morte non è l’ultima parola, che Cristo vince la morte… La risposta di Dio alla sofferenza umana è una presenza piena di amore”.

L’appello di mons. Pezzi è stato un invito ad essere testimoni di speranza: “Con fiducia in Lui, vi chiedo di pregare per la salvezza di tutti coloro che sono ancora in pericolo di vita, per il riposo eterno dei defunti, per l’aiuto e la guarigione degli afflitti e per il coraggio e la pazienza di tutti coloro che sono chiamati ad assisterli.

Vi prego di non disperare e di essere quella presenza piena di amore di Cristo dove vi trovate, di essere testimoni di speranza in questi tempi bui. Vi chiedo anche di esercitare la dovuta diligenza e prudenza per il bene della vostra sicurezza personale e pubblica”.

‘Pacem in Terris’:diritti e doveri costruiscono la pace

Quando Papa Giovanni XXIII , il pontefice del Concilio Vaticano II che ha cambiato la Chiesa cattolica, presentò la ‘Pacem in Terris’, la sua ultima e più nota enciclica, era malato. Da lì a poco, sarebbe morto, e lo sapeva. Ma l’emozione per quel documento, a suo modo rivoluzionario, traspariva dalle sue parole. Era l’11 aprile 1963:

Il racconto della ong Nove sulla situazione delle donne in Afghanistan

‘Siete tutti informati dell’entrata in vigore del suddetto ordine che sospende l’istruzione femminile fino a nuovo avviso’: aveva detto nello scorso dicembre il ministro dell’Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadeem, in una lettera a tutte le università governative e private dell’Afghanistan. Anche il portavoce del ministero, Ziaullah Hashimi, ha confermato all’AFP l’ordine di chiudere i college alle ragazze a tempo indeterminato.

La ong ‘Nove’ racconta le drammatiche conseguenze dell’editto talebano in Afghanistan

Ormai la notizia ha fatto il giro del mondo: Ismail Meshal, docente all’Università di Kabul, su Tolo Tv, l’emittente indipendente afghana che in passato si è già resa protagonista di diverse proteste contro le restrizioni imposte dall’emirato islamico, mostra i suoi diplomi universitari, frutto di una vita di studio, poi li straccia in diretta televisiva di fronte al conduttore: “Da quando ci sono i talebani, l’Afghanistan non è più un posto dove ci si può istruire, se mia madre e mia sorella non possono studiare io non accetto di insegnare”.

Il messaggio della pace è un invito alla cura di tutti

“Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino… E’ un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie”.

Aree interne: i vescovi riaccendono la speranza

“Come vescovi provenienti da tutto il Paese, riuniti a Benevento per riflettere sui criteri di discernimento con l’obiettivo di elaborare una pastorale per le Aree interne, ringraziamo anzitutto il Signore per l’esperienza di comunione vissuta: questi giorni ci hanno aiutato a conoscerci meglio e a stabilire relazioni più fraterne tra noi, a fare esperienza di sinodalità, a ‘crescere nel servizio alla comunione’, ‘tutti insieme, in unità e senza campanilismi’, come ci ha chiesto, nella sua lettera, Papa Francesco”: un anno dopo, i vescovi delle ‘Aree interne’, oltre 30 arrivati da 12 regioni (da Sicilia e Sardegna a Calabria e Basilicata, da Lazio e Toscana a Emilia Romagna e Piemonte), si sono ritrovati a Benevento, a fine agosto per cercare rimedi alla crisi sociale e religiosa dei territori.

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