I vescovi dell’Emilia Romagna: la comunione dà senso alla vita

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A fine giugno nella diocesi di Reggio Emilia si sono svolti gli annuali esercizi spirituali dei vescovi dell’Emilia-Romagna, al termine dei quali è stata approvata dalla Commissione Regionale per la Vita Consacrata, presieduta da mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, la lettera ‘Chiamati a conversione. Lettera aperta alle Sorelle e ai Fratelli della Vita Consacrata nella nostra Regione’, inviata alle Comunità e Case Religiose della regione per invitare a una riflessione su come i religiosi, le religiose e le altre persone consacrate hanno vissuto il tempo della pandemia e come questa abbia influito sulla vita interiore, sulle attività di apostolato e sulla vita interna delle comunità, sulla fraternità tra religiosi e sulla testimonianza davanti al mondo, mettendo in risalto le esperienze di condivisione, le criticità e le prospettive della chiamata in questo tempo di conversione.

Nella lettera i vescovi hanno invitato a rileggere i mesi trascorsi in lockdown: “A causa degli effetti devastanti della pandemia, stiamo attraversando un tempo di deserto, in un quotidiano aspro e tormentato. Ora vorremmo sostare con ognuna delle vostre comunità per rileggere insieme, in luce di fede, il duro cammino di questo periodo, per cogliere tracce di vita, per raccogliere drammi, travagli, fatiche e pesanti ombre di morte. E per guardare al futuro con uno sguardo illuminato dalla buona notizia del vangelo: che Dio Padre non abbandona mai i suoi figli, soprattutto nell’ora della tempesta e del naufragio”.

Il tempo trascorso ha messo in evidenza la vulnerabilità della persona: “Questo gli scienziati lo sanno, ma la nostra cultura continua ad anestetizzarci con i suoi miti illusori per farci dimenticare quanto la vita risulti impresa ardua e molto delicata. E così un invisibile virus ci ha ricondotti alla reale misura di noi stessi. Si è fatto beffe della presunzione dell’uomo che si fa da sé, ha portato allo scoperto la nostra illusione di onnipotenza, mandando in frantumi il meccanismo ben oliato di una cultura malata di narcisismo e di una mentalità inquinata dai ‘gas tossici’ di un individualismo asfissiante e triste”.

Quindi la vita ha un valore in quanto è condiviso ed i vescovi hanno posto una domanda sul senso della vita: “Ma che cosa ci sta dicendo Dio in questo tempo di pandemia? Domanda legittima, certo, ma che reclama di venire depurata da qualche malinteso per essere posta in modo corretto. Perché Dio non ci parla giocando di sponda con gli eventi della natura, cercando, in modo sfuggente, di farci sapere cose che ancora non sapevamo. In realtà, Dio non ci dice niente di altro, rispetto a quanto ci ha già comunicato con la sua Parola incarnata nel Figlio crocifisso e risorto”.

Ma la domanda fondamentale, che tale tempo ha posto, consiste nella continua chiamata alla conversione: “La forzata convivenza, imposta dalla pandemia, ci ha offerto una fotografia della reale condizione della vita consacrata, purtroppo al di sotto degli slogan correnti, con i quali siamo abituati a definirci.

Ma soprattutto distante dall’alta, esigente bellezza di una vita profumata di vangelo. Un ‘codice’, il vangelo, che non possiamo limitarci a ‘predicare’, ma che siamo impegnati a ‘praticare’ con l’umiltà di discepoli che si sanno fragili e incoerenti, eppure innamorati dell’unico Maestro”.

Al centro della conversione ci sono le relazioni, che ‘nutrono’ le comunità: “Riconosciamolo. La pandemia, per noi, è stata anche una esperienza di spoliazione. Siamo rimasti storditi e disorientati dall’improvvisa cancellazione di impegni, dal continuo rinvio a tempo indeterminato di scadenze programmate e magari preparate con un massimo di zelo.

Ci siamo sentiti interiormente svuotati dall’assenza di riti, di celebrazioni, di ‘strutture’ comunitarie. Riconosciamolo. La pandemia ci ha rivelato, ancora una volta (ma stavolta con spietata evidenza) quanto siamo deboli, limitati e vulnerabili. E ci ha ricordato che siamo davvero poveri”.

Inoltre la pandemia ha messo in evidenza che il ‘bisogno’ è anche un ‘luogo’ di vocazione: “Siamo chiamati a prendere coscienza del Dono che ci abita (lo Spirito di Dio), della possibilità che ci è offerta di riprendere il timone della nostra barca e di valorizzare al meglio i talenti ricevuti.

In una parola, siamo consapevoli del nostro infinito bisogno di essere amati e della capacità di amare, donataci per grazia. Non siamo e non ci sentiamo come anfore vuote in ardente attesa dell’acqua per la nostra sete, ma abbiamo la lieta, grata certezza di essere umili vasi di creta, contenenti frammenti di un tesoro di incalcolabile valore: l’amore di Dio”.

Inoltre il tempo trascorso ha messo in evidenza la necessità dell’altro: “Come abbiamo potuto constatare, la gravità del coronavirus ha ‘imposto’ ad ognuno (con rigorose prescrizioni e precise, minute disposizioni igieniche e sociali) l’attenzione all’altro. Viene spontaneo domandarsi: ci voleva proprio una pandemia tanto devastante per guarire dalla nostra penosa cecità e riuscire a vedere da vicino chi ci vive accanto?

Perché facciamo così tanta fatica a esercitare ogni giorno l’attenzione al fratello, come nostra libera scelta? Sembra curioso:dell’indicazione a mantenere le distanze per salvaguardare la salute di chi ci è vicino, anche noi, membri della Vita Consacrata, sembriamo aver recepito benissimo la prima parte (mantenere le distanze), mentre la seconda (la ricerca del bene del prossimo) forse si sarà un po’ persa nella grigia nebbia della vita ordinaria”.

La lettera si conclude con una riflessione sul significato della Pasqua: “Carissime Sorelle, carissimi Fratelli, ‘sepolti’ nelle nostre case, abbiamo celebrato ‘a porte chiuse’ la Pasqua, vita nuova ricevuta in dono dallo stesso Crocifisso risorto.

Abbiamo scoperto in una forma del tutto insolita che fuoco, acqua, pane di vita non lo è solo Gesù per noi, ma lo siamo anche noi gli uni per gli altri. La nostra identità di figli di Dio, che ci accomuna tutti, porta con sé anche questa vertiginosa dignità e implica una grande, imprescindibile responsabilità.

Con Gesù vivo, che ci vuole vivi, fedele compagno dei nostri poveri giorni, potremo rendere il mondo terra ospitale e casa benedetta per ogni sorella, per ogni fratello, che i nostri passi incroceranno sulle strade della vita”.

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