Sars-CoV-2. Divulgazione scientifica – Parte 8: Bloccare trombosi per evitare ingresso virus nei polmoni e polmonite interstiziale

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“Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità” [Alexis Carrel (Sainte-Foy-lès-Lyon, 28 giugno 1873 – Parigi, 5 novembre 1944), chirurgo e biologo francese, che ha contribuito in modo fondamentale ai progressi nelle tecniche di sutura dei vasi sanguigni e alle ricerche sui trapianti di tessuti e organi, essenziali per le audaci operazioni chirurgiche del nostro tempo].

La poco osservazione e il stare molto in televisione da parte di virologi porta alla dimostrazione della locuzione latina “errare humanum est, perseverare autem diabolicum” e #ilvirusringrazia.

Riprendiamo il filo di un argomento della massima importanza, di cui abbiamo scritto il 12 aprile 2020, a seguito di un post del 10 aprile del “cardiologo di Pavia” preso da un gruppo Facebook chiuso di medici “Gruppo Humanitas”, di cui allora non eravamo riusciti a rintracciare la fonte originale [Sars-CoV-2. Divulgazione scientifica – Parte 5: Terapie possibili nei trattamenti e per frenare il Covid-19].

Oggi – grazie all’osservazione dell’amico e collega Renato Farina – abbiamo potuto individuare la fonte originale di quel post, non un “cardiologo di Pavia”, ma Dott. Giampaolo Palma, un medico con esperienza pluri-ventennale in Ecocardiografia, Cardiologia interventistica, Direttore di Centro Trombosi-coaugulazione-scompenso accreditato con SSN, discente della Virginia University di Charlottesville con il Professor John Di Marco.

Dott. Giampaolo Palma.

Questo medico italiano del Sud – cardiologo di Nocera Inferiore – è certo sulle cause dei decessi da Covid-19. Aveva pubblicato la sua tesi mediante un lungo post sul suo profilo Facebook diventato virale, che riportiamo di seguito, spiegando le cause della letalità del Covid-19. Seppur scritto “in modo scolastico” per far comprendere la questione a tutti, il testo era comunque il frutto delle sue conoscenze, approfondimenti scientifici e osservazioni clinici, ed è stato confermato sia da approvazione dell’AIFA, sia da pubblicazione su “The Lancet” dalla Dott.ssa Zsuzsanna Varga, una sua collega dell’Ospedale Universitario di Zurigo.

In poche parole, Dott. Palma aveva scoperto che la letalità di Covid-19 è determinata da una DIC – Coagulazione Intravascolare Disseminata innescata dal Sars-CoV-2. Quindi, la morte da Covid-19 è causata principalmente da una vascolite, tromboembolia venosa generalizzata e la polmonite interstiziale è solo la Fase 3 più grave della malattia, dove non si dovrebbe più arrivare, con la cura della malattia nella Fase 1 (replicazione virale) e nella Fase 2 (iniziale fase polmonare). Insomma, c’è stato solo un abbaglio diagnostico, che ha procurato tanti morti, ma finalmente si è raddoppiato anche i posti in rianimazione e terapia intensiva, sempre utili e che, forse, non serviranno. Almeno ce lo auguriamo.

I tanti (troppi) morti da Covid-19 delle prime settimane – oramai è conclamato – sono legati alla scelta scellerata di accogliere in ospedale solo i soggetti in stato avanzato, dove l’unica terapia funzionante, poi si è rivelata quella del plasma convalescente. Diceva dal 10 aprile scorso il cardiologo Palma, sulla base delle evidenze cliniche: “Bisogna evitare che il paziente arrivi in ospedale. Del resto, sono convinto che tra il lasciare a letto il paziente per 10 giorni con febbre, tosse e astenia estrema senza fare niente e cercare di fare terapia con opportuni accorgimenti, è più etico intervenire nelle fasi iniziali della malattia”. Fatto è che l’adozione di queste due strategie avrebbe potuto chiudere già da tempo il dramma di questa pandemia… forzata (e di evitare accuse di “terrorismo mediatico” da parte di chi afferma che il virus ormai è “clinicamente irrilevante”, invece di spiegarci quello che ha scoperto per primo Dott. Giampaolo Palma).

Se la televisione smettesse di dar spazio (con quali interessi non è difficile accertare) a “luminari” virologi come Burioni e compagni di merenda (visto che non ci ha mai azzeccato una e ha soltanto depistato, che non ha mai visitato un solo paziente, ma parla in televisione dicendo un sacco di sciocchezze… e c’è chi lo sta ancora ad ascoltare e a dare credito) per dar spazio ad medici seri, tipo Giampaolo Palma, cardiologo di Nocera Inferiore o Giuseppe De Donno, Primario dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova, saremo stati liberati già da tempo dal terrore per la letalità di questo maledetto Sars-CoV-2.

Quindi, Dott. Palma aveva ragione già dal 10 aprile 2020, come hanno dimostrato le autopsie, eseguito nonostante le indicazioni al contrario da parte del Ministero della saluti. Se si fossero fatte subito e sistematicamente, si sarebbero potute salvare tante vite (invece di stare a scegliere chi “salvare” e chi “lasciare morire” [Christian Salaroli, anestesista rianimatore a Bergamo: «Si decide in base all’età e alle condizioni di salute. Alcuni di noi, primari o ragazzini, ne escono stritolati… State a casa. Vedo troppa gente per strada» di Marco Imarisio – Corriere.it, 9 marzo 2020]).

Quello che scriveva Dott. Giampaolo Palma la notte del 10 aprile 2020 e che ha fatto il giro del mondo, da Nocera Inferiore al Giappone, agli USA, al Perù, al Senegal, al Brasile, all’Australia, all’Argentina, al Belgio, alla Francia, è realtà. La “porta d’ingresso principale” del virus nell’uomo e “quello che fa dentro il corpo umano”, è quello che Dott. Palma scriveva due mesi fa, prima di tutti e contemporaneamente ad altri colleghi con esperienza clinica. Conclusione: con i dati reali raccolti sul campo e in trincea dai medici italiani, è possibile vincere “la guerra contro Covid-19″ e curare al meglio i malati, in attesa del vaccino migliore. In previsione di una possibile risalita della curva dell’epidemia (alla domanda di Renato Farina se “il virus è morto”, Dott. Palma risponde: “Non sarei così ottimista”), con sempre meno accessi in terapia intensiva per insufficienza respiratoria acuta. “La morale?”, chiede Renato Farina. Dott. Palma risponde: “Credo si debba anche da parte del governo prendere più in considerazione i clinici, che curano i pazienti tutti i giorni, che certi parrucconi sempre in tivù”.

Dal profilo Facebook del Cardiologo Giampaolo Palma, 10 aprile 2020

SU AGGIORNAMENTO COVID-19 AL 10 Aprile 2020:
Carissimi amici,
non vorrei sembrarvi eccessivo, ma credo che oggi, finalmente, sia forse quasi certa la causa della letalità del Covid-19.
La mia ventennale esperienza in Ecocardiografia e Cardiologia Interventistica -Ecocolordopplergrafia Vascolare, di direttore di Centro Trombosi- Coagulazione, con procedure su più di 200.000 pazienti cardiopatici e non, mi fa confermare quello che fino a qualche giorno fa taluni colleghi iniziavano a ipotizzare senza esserne però certi.
Oggi abbiamo i primi dati da reperti anatomo-patologici di tessuto polmonare prelevato dai primi pazienti deceduti.
I pazienti vanno in Rianimazione per Tromboembolia Venosa Generalizzata, soprattutto Tromboembolia Polmonare TEP.
Se così fosse potremmo fermare la malattia alle prime fasi e forse non serviranno più le Rianimazioni per intubare i pazienti. Ci potremo fermare alle Fasi 1 e 2 della malattia (la fase di replicazione virale e iniziale fase polmonare). Un grande aiuto alla terapia in fase media della malattia prevede di sciogliere il trombo e quindi bisogna prevenire queste tromboembolie. Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve! Infatti muoiono 8 pazienti su 10.
Signori, Covid-19 danneggia prima di tutto i vasi, l’apparato cardiovascolare, e solo dopo arriva ai polmoni!!!
Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità!
E perché si formano trombi? Perché l’infiammazione come da testo scolastico, induce trombosi attraverso un meccanismo fisiopatologico complesso ma ben noto.
Allora? Quello che la letteratura scientifica, soprattutto cinese, diceva fino a metà marzo, era che non bisognava usare antinfiammatori. Ora in Italia si usano antinfiammatori e antibiotici nella fase 1 della malattia (come nelle influenze) e il numero dei ricoverati crolla.
Molti pazienti morti, anche di 40 anni, avevano una storia di febbre alta per 10-15 giorni non curata adeguatamente. Qui l’infiammazione ha distrutto tutto e preparato il terreno alla formazione dei trombi. Perché il problema principale non è il virus, anche se virus diverso dagli altri, ma la reazione immunitaria che distrugge le cellule dove il virus entra. Infatti in tutti i reparti sembra ci siano pochi pazienti affetti da artrite reumatoide che assumono terapie cortisoniche per alleviare i dolori articolari.
Questo è il motivo principale per cui in Italia le ospedalizzazioni iniziano a diminuire e sta diventando una malattia curabile a casa.
Curandola bene a casa eviti non solo l’ospedalizzazione, ma anche il rischio trombotico.
Non era facile capirlo perché i segni della micro-embolia sono sfumati, anche all’occhio di intensivisti e infettivologi esperti oltre che a cardiologi come me.
Confrontando i dati dei primi 50 pazienti tra chi respira male e chi no, la situazione è apparsa molto chiara a tutti i medici in Italia, dai cardiologi, ai radiologi, agli anatomo-patologi fino ai colleghi delle Terapie Intensive.
Il tempo di pubblicare questi dati e si potrebbero avere conferme per aggredire Covid-19 nelle prime fasi della malattia e far guarire prima i pazienti. Una speranza per la popolazione visto che la quarantena non può durare tanti mesi e il vaccino ha tempi lunghi, spero per fine anno.
In USA dove ancora le terapie mediche sono molto precarie per tanti pazienti soprattutto delle classi più deboli i dati sono ormai più tragici che in Italia. Si possono somministrare farmaci che costano pochi euro ma che aiutano a salvare tante vite in fase 1 e 2 della malattia. Sono i farmaci che facciamo per andare in vacanza in Kenya e prevenire la malaria, per capirci.
Questa testimonianza delle Vasculiti con esiti in tromboembolia polmonare parrebbe confermata dai protocolli di grandi Ospedali:
– al Sacco fanno Clexane a tutti, con D-dimero predittivo: più è alto meno risponderà il pz.,
– al San Gerardo di Monza Clexane e cortisone,
– al Sant’Orsola di Bologna Clexane a tutti + protocollo condiviso con i medici di famiglia che prescrivono Plaquenil a pioggia su tutti i pz. monosintomatici a domicilio.
Integro con una precisazione sugli antinfiammatori: farmaci antinfiammatori tipo Brufen, naproxene, aspirina che inibiscono la cox1 oltre che la Cox 2 non andrebbero usati, mentre celecoxib (un inibitore selettivo della Cox 2) sembra dare buoni risultati; bisogna comunque aspettare l’ esito di studi, invece questa analisi porta in evidenza la necessità di usare negli stadi intermedi della malattia (inizio della tosse e prima delle difficoltà respiratorie) una eparina a basso peso molecolare ad alte dosi…(Clexane 8.000 UI/die).
Evito (per non appesantire troppo l’esposizione, e perché il testo è troppo medico) di riportare un’interessante testimonianza di esperti anatomo-patologi dei più grandi Ospedali della Lombardia; vi basti pensare che l’“Ospedale Papa Giovanni” di Bergamo ha eseguito 50 autopsie ed il “Sacco” di Milano 20 (quella italiana è la casistica più alta del mondo, i cinesi ne hanno fatte solo 3 e “minimally invasive”). Tutto quanto ne esce sembra confermare in pieno le informazioni sopra riportate.
In poche parole, pare che l’exitus sia determinato da una DIC (per i non medici, Coagulazione Intravascolare Disseminata) innescata dal virus. Quindi la polmonite interstiziale non c’entrerebbe nulla, sarebbe solo la fase 3 più grave della malattia dove forse non arriveremo più se impariamo a curare la malattia nelle fasi 1 virale e 2 intermedia. È stato forse soltanto un abbaglio diagnostico: abbiamo finalmente raddoppiato i posti in rianimazione, per carità sempre utili, ma forse non serviranno, almeno lo speriamo tutti.
Col senno di poi, mi viene da ripensare a tutti quegli Rx Torace che commentavamo circa un mese fa: quelle immagini che venivano interpretate come polmonite interstiziale in realtà potrebbero essere del tutto coerenti con una COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA, una Cid atipica che coinvolge prevalentemente capillari polmonari e vene periferiche soprattutto degli arti inferiori.
In definitiva fino a un mese fa nessuno sapeva nulla di questo virus, nemmeno i virologi “più famosi” come i tanti che guardavate in TV, in Italia, come in Florida o UK.
Gli studi anatomo-patologici dei frammenti di polmone prelevati a Milano e Bergamo ci apriranno la strada verso una cura della malattia in poco tempo perché il vaccino è ancora lungo a divenire.
La tragedia che ha interessato l’Italia e che ha visto quasi 20mila morti compresi tanti medici sul campo, ha fatto si che la Scuola Medica Italiana sia sulla strada giusta. Non la strada della salvezza definitiva e del ritorno alla vita NORMALE per tutti, ma sulla strada giusta.
Ad maiora semper!

Seguono i seguenti articoli:

– «Non tutti i medici vengono per nuocere. Il dottore che aveva capito tutto del virus. Per lui nessun riconoscimento. Il cardiologo Giampaolo Palma è stato il primo, ad aprile, a dire che bisognava trattare i malati con gli anticoagulanti. I fatti gli hanno dato ragione, ma viene ancora snobbato» di Renato Farina – Libero, 5 giugno 2020

– «Covid-19, la luce oltre il buio del lungo tunnel. Se le diagnosi erano sbagliate con quale prospettiva gli “angeli della nostra salute“ curavano i pazienti? Ora si spera che a fronte della scoperta sulla vera natura della patologia si possa rapidamente disporre delle adeguate cure» di Alberto Zei – Tenews.it, 27 maggio 2020

– «Coronavirus, le autopsie dei medici: “Trombosi causa principale”. Le autopsie svolte al Papa Giovanni XXIII, come raccontato dal direttore del dipartimento di medicina di laboratorio e anatomia patologica del Papa Giovanni XXIII Andrea Gianatti, sono risultate decisive nella comprensione delle cause di decesso per Covid-19» di Federico Garau – Ilgiornale.it, 7 maggio 2020

– «Coronavirus, Cardiologo Palma: “Non solo polmonite, tempesta di coaguli”. Riconoscimenti dal Mondo sulle ricerche del cardiologo italiano, Giampaolo Palma, su Malattia Coagulativa da Covid-19» di Luca Rossi – LaPresse, 23 aprile 2020

– «Il farmaco della speranza che riduce i rischi. Il cardiologo Giampaolo Palma: il Clexane può curare la malattia nelle prime fasi» di Claudio Silvestri – Ilroma.net, 19 aprile 2020

Non tutti i medici vengono per nuocere
Il dottore che aveva capito tutto del virus. Per lui nessun riconoscimento
Il cardiologo Giampaolo Palma è stato il primo, ad aprile, a dire che bisognava trattare i malati con gli anticoagulanti. I fatti gli hanno dato ragione, ma viene ancora snobbato
di Renato Farina
Libero, 5 giugno 2020

Preambolo. Qui non si danno ricette miracolose. Non si candida nessuno al Nobel. Si racconta la storia semplice in questi tempi complicati di Coronavirus. Semplice, e perciò molto istruttiva. Il protagonista . Dottor Giampaolo Palma, è un medico che ha intuito e tracciato da pioniere una strada semplice e oggi universalmente accreditata per sfuggire alla presa mortale del Covid-19. C’è un problema. Ha agito senza chiedere il permesso alle lobby di scienziati in coda nei comitati governativi, né garantendosi appoggi mediatici. Mi ero segnato il suo nome il 3 maggio scorso. In un articolo sul Fatto, la professoressa Maria Rita Gismondo, direttore microbiologia clinica e virologia del Sacco di Milano, scriveva: “Per due mesi abbiamo rincorso i posti letto in rianimazione, abbiamo parlato di polmonite interstiziale, oggi le autopsie ci fanno scoprire ben altro”. Ed ecco la citazione di un medico ignoto al grande pubblico, mai visto in tivù: “Questa ipotesi era già stata avanzata dal dottor Palma, cardiologo di Salerno, tra le critiche dei soliti soloni mediatici”.
Passano le settimane e accade quanto sappiamo. I reparti di terapia intensiva si svuotano. Applicando l’”ipotesi Palma”, avversato dai luminari a cui si era fulminata la lampadina, ci sarebbero stati meno morti? Di certo, dopo sono stati molto meno. Mi aspettavo di trovarlo tra i 53 neo-cavalieri indicati dal Quirinale come eroi. Niente. Forse nella dimenticanza avrà pesato un articolo di Le Monde, dove Palma è dileggiato come il solito italiano ciarlatano, che incanta (a milioni) gli ignoranti del Web, ma per gli spiriti parigini è un abusivo da non invitare al ballo in mascherina. Be’, il caso si è fatto interessante. Gli telefono.
La notte
Giampaolo Palma, mi spiega, è cardiologo per stirpe antica (lo era il padre), titolare e direttore di un centro clinico a Salerno accreditato, un’eccellenza campana nel ramo cuore e circolazione. È da 23 anni che esamina, ausculta, diagnostica, prescrive terapie e accompagna nelle difficoltà e negli spaventi quotidiani chi ha problemi cardiaci, vascolari, eccetera. E’ consapevole di essere diventato famoso, e nello stesso tempo sa di essere stato confinato nei quartieri del web oscurati da lorsignori. Non che sia particolarmente felice di questi strascichi di popolarità planetaria. Non ha strumenti per controllare l’uso del suo nome e del suo volto sul web. Le sue tesi sono state esaltate ma anche deformate. Qui precisa: “Non sono nemico del vaccino. Ma quando mai: magari lo si trovasse. Non ho mai teorizzato l’inutilità dei respiratori. Guai se non ci fossero stati”.
“Tutto nasce – racconta – in una certa notte del mese di aprile, dopo ore passate a leggere e rileggere appunti e a non poter prendere sonno”. Che gli accadde? Ebbe un’intuizione diagnostica. Uno dei primi Nobel per la medicina, Alexis Carrel, spiegò il fenomeno con parole che sono il sigillo di una scienza empirica qual è la medicina, ma forse anche succo di sapienza esistenziale: “Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità”. Palma aveva molto osservato. Ed ecco la scoperta elementare. Il Covid-19 non è una polmonite interstiziale doppia. Questo virus non provoca la polmonite, ma coaguli dappertutto. Bisogna fare in modo che appena insorgono i sintomi, ci si curi a casa con anticoagulanti, antinfiammatori eccetera. Può essere che altri clinici abbiano coltivata questa tesi, ma prevedendo alterchi con virologi gelosi del territorio, si siano astenuti dalle controversie onde evitare frecce avvelenate. Nel dottor Palma prevalse la necessità interiore di comunicare. Non aveva il diritto di tacere. Andò al computer, e scrisse sulla sua pagina di Facebook un post. Ha avuto da quel momento milioni di accessi, rimbalzando con la sua faccia nei cinque continenti. Cosa vide quella notte davanti a sé?, gli chiedo alle due di notte, prima non poteva, mentre sta limando l’articolo scientifico che sarà pubblicato a giorni su una rivista di rango internazionale. Risponde: “Quello che vedevamo a fine marzo, nel culmine della tempesta virale, era l’assalto letale di una polmonite dalla carica virale fortissima: tra le prime difficoltà respiratorie in un’ora e mezza i pazienti erano trasferiti in terapia intensiva. Mai esistite polmoniti così. Mi chiedevo: e se fosse altro? Un pomeriggio di inizio aprile, mi sono collegato in conferenza con cardiologi e pneumologi intensivisti del Sacco di Milano e del Giovanni XXIII di Bergamo. Rimasi incantato dai referti anatomo-patologici delle prime autopsie: i tessuti polmonari ma anche quelli cardiaci; e poi il cervello, i reni, l’intestino tenue erano infarciti di coaguli. Ad essere attaccate erano le cellule endoteliali e i pericliti, che rivestono i vasi sanguigni del miocardio e del cervello oltre che quelli polmonari”.
La morale
Da qui il lampo. “Non potevo dormire. Di notte scrissi la mia intuizione su Facebook. Proteggiamo l’apparato vascolare, proposi”. Dopo di che? “Nel mondo si diffuse in un battibaleno tra i medici. Tra i soloni smorfie di disappunto. Finché Lancet confermò la giustezza della mia tesi, l’Aifa approvò gli anticoagulanti, la Società europea di cardiologia ha riconosciuto la mia terapia”. Il Policlinico di Zurigo dopo aver accettato la tesi di Palma sulla ipercoagulazione ha potuto ridurre di molto gli accessi alla terapia intensiva.
“Mi accusano di non aver data forma rigorosa alla mia ipotesi. Non importa che essa funzioni. Ora, se mi lascia cortesemente lavorare, finisco l’articolo”. Prima però gli chiedo l’elenco dei Paesi da cui gli hanno chiesto collaborazione e lo hanno ringraziato. “Vado a senso. In ordine di apparizione. Giappone, Perù, Argentina, Brasile, Belgio, Francia, Senegal”. E ancora: che morale trarre? “Credo si debba anche da parte del governo prendere più in considerazione i clinici, che curano i pazienti tutti i giorni, che certi parrucconi sempre in tivù”. Il virus è morto? “Non sarei così ottimista”.

Covid-19, la luce oltre il buio del lungo tunnel
Se le diagnosi erano sbagliate con quale prospettiva gli “angeli della nostra salute“ curavano i pazienti? Ora si spera che a fronte della scoperta sulla vera natura della patologia si possa rapidamente disporre delle adeguate cure
di Alberto Zei
Tenews.it, 27 maggio 2020

Almeno nel futuro
Lungo e fatale è stato il simbolico tunnel del Covid-19, che molti hanno cercato di superare. Solo recentemente dopo tanto brancolare nel buio delle terapie adottate, ecco finalmente la buona notizia di essere arrivati, almeno così pare, alla conoscenza fisiologica e biologica dell’aggressione virale.
Dall’inizio della pandemia sembrava noto che l’infezione attaccasse i polmoni delle persone colpite, causando loro polmonite interstiziale. L’aggravamento nel corso della malattia comportava alle stesse, difficoltà respiratorie per la presenza di ostruzioni negli alveoli polmonari che compromettevano la necessaria ossigenazione del sangue a tutti gli organi. A questo punto è chiaro il fatto che se l’ossigeno si fa sempre più carente, la morte avviene per progressivo soffocamento.
In questi casi è stato tentato il metodo dell’intubazione con forzatura di ossigeno nei polmoni. Finché è stato possibile usufruire di un po’ di ossigeno in più, rispetto a quello contenuto nella respirazione regolare, per alcuni ammalati che avevano già superato la fase critica, questo ossigeno supplementare potrebbe aver costituito un certo aiuto per affrettare la guarigione. Ma il risultato ottenuto in generale da tale metodo, non corrispondeva al tipico miglioramento della polmonite perché ciò che avveniva nella realtà era che la difficoltà respiratoria di molti ammalati, non trovava miglioramento con l’ossigeno. I risultati sono noti a tutti.
Una svolta
Finalmente si ha avuto conferma da varie fonti di informazione che già da tempo, alcuni medici come ad esempio, il Dott. Giampaolo Palma cardiologo titolare di un centro medico di Nocera Inferiore, avrebbe individuato la vera ragione dell’insorgenza della pseudo polmonite da Covid-19.
Ma come quasi tutte le scoperte scientifiche, queste hanno luogo in un tempo in cui le idee dei singoli scopritori sembrano destinate ad una straordinaria coincidenza temporale di risultato. Infatti anche il Prof. Maurizio Viecca primario del reparto di cardiologia presso l’ospedale Sacco di Milano ha scoperto autonomamente, così come il Dott. Palma, lo stesso meccanismo dell’infezione del covid-19.
Molto spesso i ricercatori che neppure si conoscono, arrivano quasi contemporaneamente alle medesime conclusioni vincenti sullo stesso problema. Ecco che allora non desta meraviglia come i due medici si siano accorti che la diagnosticata polmonite interstiziale, che molto spesso accompagnava i pazienti alla morte, era solo il risultato di una errata diagnosi in quanto non si trattava di polmonite ma di tromboembolia polmonare. La presunta polmonite infatti, non rispondeva ad alcun sostanziale miglioramento insufflando nei polmoni una quantità supplementare di ossigeno, come invece avrebbe dovuto, se fosse stata autentica.
Le conseguenze di questo errore diagnostico sono note a tutti a fronte dei risultati terapeutici ottenuti che è inutile commentare. Ma la cosa più importante era che subito si doveva prendere atto di questa gravissimo equivoco, adeguando finalmente la cura alla vera patologia che presa in tempo, può essere bloccata senza il ricorso alla terapia intensiva.
Le fasi della malattia
I virus introdottisi nei polmoni con la respirazione, causano una “coagulazione intravascolare disseminata” atipica, che coinvolge prevalentemente i capillari polmonari, il cuore nonché le vene periferiche, soprattutto delle gambe.
L’ infiammazione che ne deriva si propaga al tessuto adiacente, ossia, al tessuto vascolare venoso, creando infezione diffusa nelle zone colpite.
Lo stato di infezione e di infiammazione circostante, crea la formazione di emboli nel sangue che si coagula nei vasi capillari, formando una serie diffusa di piccoli trombi che ne ostruiscono il passaggio.
La insufflazione forzata di ossigeno attraverso le pompe polmonari (per le quali, tranne qualche eccezione, si lamentava la insufficiente disponibilità nei centri di emergenza ospedalieri) quando il sangue che alimenta gli alveoli polmonari non arriva, non serve a niente.
La spirale patologica perversa
La formazione di occlusioni diffuse nei capillari all’interno dei polmoni che impedisce la circolazione del sangue a valle delle stesse occlusioni, crea la necrosi ossia, la morte del tessuto non più alimentato. Il tessuto morto si disgrega formando pus e aumentando l’ infiammazione della parte colpita che a sua volta, aggrava l’insufficienza respiratoria in quanto quella stessa zona di polmone non funziona più.
Quando la diffusione di questi micro emboli interessa una parte considerevole del tessuto polmonare ecco, che l’insufficienza respiratoria compie il resto, se prima non ci pensa il cuore. Quindi la polmonite interstiziale che si supponeva subentrasse nell’ultima fase della malattia non c’entrerebbe nulla.
Il merito della scoperta
A chi va il merito della scoperta? Ai due medici sicuramente e tutti gli altri che hanno già saputo individuare la giusta cura del Covid-19.
Allo stato dei fatti, parrebbe ora necessario ed urgente prendere coscienza di quanto questi illuminati professionisti hanno constatato, soprattutto per sospendere quella terapia sbagliata che non ha saputo impedire una buona parte di quanto di negativo è avvenuto.
La nuova diagnosi del Prof. Viecca e del Dott. Palma riguardante la reale patologia causata dal Covid-19, fa ritenere che soprattutto i pazienti che si aggravano fino alla morte, potrebbero essere sottoposti a differenti e più efficaci terapie.
Sarebbe pertanto opportuno accertare prima possibile la valenza delle differenti cure che si rendono necessarie. Già da adesso potrebbero essere utilizzate quelle stesse già adottate dai due medici per salvare, senza le conseguenze devastanti di questa infiammazione diffusa, il maggior numero degli ammalati.
Si spera pertanto che d’ora in poi, la cura per la ormai diagnosticata tromboflebite, risolva rapidamente la situazione senza attendere a fronte di morti quasi certe, il tempo burocratico richiesto, per la famosa o per la famigerata “prova scientifica”.

Coronavirus, le autopsie dei medici: “Trombosi causa principale”
Le autopsie svolte al Papa Giovanni XXIII, come raccontato dal direttore del dipartimento di medicina di laboratorio e anatomia patologica del Papa Giovanni XXIII Andrea Gianatti, sono risultate decisive nella comprensione delle cause di decesso per Covid-19
di Federico Garau
Ilgiornale.it, 7 maggio 2020

Siamo a Bergamo, uno dei centri più colpiti in assoluto dall’emergenza sanitaria Coronavirus, città nella quale a risultare immediatamente allertata per contrastare l’onda d’urto generata dalla malattia è stata la struttura ospedaliera del Papa Giovanni XXIII.
Quello che risulta essere il più importante nosocomio del capoluogo di provincia lombardo, nelle fasi più concitate della pandemia era stato trasformato per necessità nel più grande reparto dedicato alla terapia intensiva dell’intero continente europeo. Si era arrivati infatti ad ospitare contemporaneamente ben 500 pazienti affetti da Sars-Cov-2.
Tra le norme applicate all’interno dell’ospedale e derivate dalle indicazioni fornite dal ministero della Salute, anche una specifica, risultata nel tempo contraddittoria oltre che controproducente, relativa alle autopsie da effettuare sui morti a causa del Coronavirus o presunti tali. Esami che, specie in una situazione ancora poco chiara come quella venutasi a creare nelle fasi iniziali di diffusione del morbo, sarebbero potuti essere preziosi proprio per i medici impegnati a trovare una cura per combatterlo.
“Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio”. Questo il contenuto di una circolare ministeriale che metteva il freno a questa importante possibilità di analisi e studio da parte del personale impegnato nella lotta contro il Covid-19.
Nonostante questa raccomandazione, comunque, si precisava al contempo che l’autorità giudiziaria avesse comunque facoltà di autorizzare gli esami autoptici, fermo restando che “oltre ad una attenta valutazione preventiva dei rischi e dei vantaggi connessi a tale procedura, devono essere adottate tutte le precauzioni seguite durante l’assistenza del malato”.
In questa situazione poco chiara, comunque, alcuni medici hanno deciso di andare oltre e di svolgere secondo coscienza il proprio dovere. “Le circolari del ministero ci dicevano, sostanzialmente, di non fare autopsie sui pazienti deceduti a causa del Covid-19. Il ragionamento alla base di quell’indicazione (che era espressa al condizionale: “Non si dovrebbero fare”) era semplice e non riguardava tanto i rischi di contagio, ma altro: inutile fare esami autoptici se si conosce già la causa del decesso”, rivela il direttore del dipartimento di medicina di laboratorio e anatomia patologica del Papa Giovanni XXIII Andrea Gianatti, come riportato da “Il Corriere”. “Ma è stato chiaro abbastanza presto”, aggiunge ancora, “che questa malattia si stava manifestando in forme diverse, multiple, bisognava capire. E in più c’era l’ambiente in cui lavoravamo: era impossibile non sentire la necessità di mettersi in gioco, vivevamo un ospedale completamente votato alla causa, in ogni ambito. Abbiamo deciso di iniziare a fare in due le autopsie, la prima il 23 marzo, io e il collega Aurelio Sonzogni”, ricorda il primario che racconta di aver escluso il suo staff sia per rendere le operazioni più rapide e pratiche che per questioni di sicurezza.
Più si andava avanti con la raccolta di dati e più risultava evidente che la causa di decesso maggiormente registrata non fosse tanto l’infezione polmonare in sé, quanto le conseguenze causate dall’insorgenza di trombi. “Più pazienti erano deceduti a causa di trombosi, un evento che spesso si è manifestato dopo la fase più acuta della polmonite, cioè dopo i sintomi più tipici provocati dal Coronavirus”, spiega infatti il dott. Gianatti. “La teoria più credibile, oggi, collegata a questa scoperta, è che il virus attacchi alcuni recettori che si trovano proprio lungo i vasi sanguigni. E più in generale che riesca a mettere in moto una serie di effetti che da un certo momento in poi non dipendono più da “lui”, ma ci sono e possono anche essere letali. Siamo ancora in fase di definizione, cioè non ci sono ancora certezze. Tutto va stabilizzato, ma queste sono valutazioni che spettano ai miei colleghi clinici”, prosegue l’anatomopatologo.
Al momento, proprio per contrastare le conseguenze scatenate dalla trombosi, sia al Giovanni XIII che al Sacco di Milano, altro ospedale fra i primi ad effettuare le autopsie, viene utilizzata l’eparina. Un farmaco ben noto per le sue proprietà anticoagulanti. Ciò tuttavia potrebbe non essere sufficiente. Intanto i risultati dei medici italiani sono presi in considerazione anche dai colleghi di tutto il mondo. “Dopo i primi esami autoptici avevamo fatto un incontro con tutti i clinici che stavano lavorando sul Covid-19. Ciò che si era detto in quella riunione era finito in rete. Quel testo era stato letto ovunque, e avevamo iniziato a ricevere telefonate dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Dovevamo invitare tutti a mantenere la calma, spiegando che i nostri erano solo dati preliminari”, racconta il dott. Gianatti. Tutto è ora affidato ai prossimi studi in materia.

Coronavirus, Cardiologo Palma: “Non solo polmonite, tempesta di coaguli”
Riconoscimenti dal Mondo sulle ricerche del cardiologo italiano, Giampaolo Palma, su Malattia Coagulativa da Covid-19
di Luca Rossi
LaPresse, 23 aprile 2020

Il Dottor Giampaolo Palma, ringrazia la Dottoressa Giapponese, Clara Kaeco Nayzoo, per aver contribuito a diffondere e rendere pubblico, mediante il proprio profilo Facebook, l’articolo tecnico-scientifico, redatto dal Dott. Palma, relativo ai risultati degli studi in malattia coagulativa Covid-19.
Secondo i primi dati delle autopsie in Italia, oltre una cinquantina in Lombardia, il coronavirus sembra che non sia una malattia che colpisce direttamente i polmoni, ma multiorgano. Più che di una polmonite, si inizia a parlare di un’“infiammazione vascolare sistemica diffusa, che colpisce prima i vasi sanguigni”. Lo sostiene il cardiologo Giampaolo Palma, direttore del Centro Malattie Cardiovascolari Centro Trombosi Coagulazione a Nocera Inferiore – Azienda Sanitaria Salerno, da anni, dopo gli studi al Policlinico Università degli Studi di Parma. In un post su Facebook di alcuni giorni fa, il dottore parlava di un “errore iniziale di comprensione della patogenesi della malattia”. Al telefono a LaPresse, Palma ci tiene a sottolineare il “massimo rispetto” per i colleghi e ricercatori a tutti i livelli e confida: “Ho scritto un post su Facebook, che è diventato virale e poi alcuni miei amici ricercatori mi hanno detto che è arrivato fino a New York, in Perù e in Argentina, tanto che molti ne stanno parlando. Non me l’aspettavo”.
“Quello che ho scritto è frutto dei miei studi e poi ho assistito a delle videoconferenze, con l’infettivologo Pierluigi Viale del Policlinico Sant’ Orsola-Malpighi di Bologna, e altri colleghi dell’Emilia Romagna e della Lombardia”. Secondo Palma, “si tratterebbe di Malattia Coagulativa da Covid-19 per cui ci sarebbe una tempesta di microcoaguli con conseguente ipo-ossigenazione di tutti gli organi. Quindi, una malattia non solo dei polmoni. Al livello polmonare, dai reperti autoptici ci sarebbe una Tromboembolia polmonare (Tep) e una successiva tempesta di citochine, tossine infiammatorie, che portano il paziente in terapia intensiva, perché necessita di ventilazione assistita”.
Il ragionamento del dottore non è isolato. Anzi. “Alcuni giorni fa, sulla rivista della Società Americana di Ematologia la dottoressa Agnes Y. Lee parlava di questa malattia e della Coagulazione”, aggiunge Palma, secondo cui “c’è la conferma ufficiale in un documento della Società Europea di Cardiologia di martedì 21 aprile” che va in questa direzione, oltre a studi fatti in Cina “da Tang circa 40 giorni fa”. Insomma , riguardo al Covid-19, “la trombosi sarebbe una concausa, insieme all’attivazione abnorme dei processi infiammatori di tutto l’organismo con il rilascio abnorme di citochine”.
E non solo. Il cardiologo ricorda “che ci sono alcuni antinfiammatori approvati da Aifa, come l’idrossiclorochina, un anti-malarico, con uso off-label, al di fuori delle indicazioni normali. Importante per evitare la tempesta di coaguli anche l’utilizzo di eparine a basso peso molecolare da somministrare ai pazienti, sia a domicilio che in ospedale, tranne nei casi di allergie e di malattie da sanguinamento”. Poi, mentre altri farmaci sono in fase di studio, fra quelli approvati dall’Aifa, ci sono “l’antibiotico azitromicina, in caso di sovrainfezione batterica, e tre nuovi antivirali inibitori dell’enzima proteasi”.
Quindi, un ragionamento sulla fase 2. Secondo Palma, “è utile ancora continuare un po’ il lockdown. Quindi di non iniziare subito il 4 maggio, ma di aspettare 30-40 giorni da ora, per evitare ancora di più la diffusione dell’infezione, ma continuare ancora a lungo non penso che sia possibile. Poi suggerirei di curare, quando possibile, i pazienti a domicilio, nelle prime fasi della malattia”. Mentre per il vaccino “non bisogna avere fretta. C’è una fase in vitro e di sperimentazione animale in cui siamo già, però occorre pazienza per la sperimentazione sull’uomo. Non si sa se il virus determina immunità o no e poi ha notevoli capacità di trasformarsi, per cui il vaccino deve essere sicuro”.

Il farmaco della speranza che riduce i rischi
Il cardiologo Giampaolo Palma: il Clexane può curare la malattia nelle prime fasi
di Claudio Silvestri
Ilroma.net, 19 aprile 2020

NAPOLI. Dalle autopsie delle vittime del Covid-19 sta emergendo un dato: i tessuti sono devastati dai coauguli. Insomma, ad uccidere gli ammalati è la trombosi prima ancora della polmonite. La soluzione che stanno trovando gli specialisti è quella di utilizzare eparine, come il Clexane, un farmaco a basso costo che ha due effetti: quello di impedire la coagulazione e quello di ridurre l’infiammazione. L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) in brevissimo tempo ne ha approvato l’utilizzo, sottolineando, però, nella scheda tecnica che «poiché l’uso terapeutico delle Ebpm (eparine a basso contenuto molecolare) sta entrando nella pratica clinica sulla base di evidenze incomplete e con importanti incertezze anche in merito alla sicurezza, si sottolinea l’urgente necessità di studi randomizzati che ne valutino efficacia clinica e sicurezza”. In Campania a far circolare la notizia tra i non addetti ai lavori è stato il post su Facebook di Giampaolo Palma (nella foto), cardiologo già presso l’Ospedale Maggiore di Parma, ora a Nocera Inferiore direttore sanitario del Centro malattie cardiovascolari e del Centro trombosicoagulazione-scompenso, accreditato con il Servizio sanitario nazionale. «Bisogna intervenire in fasi iniziali e non più nella fase di ventilazione assistita», dice Palma.
Lei è un sostenitore dell’utilizzo di questo farmaco, perché? «Analizzavamo in videoconferenza i prelievi bioptici e esami istologici dei primi frammenti di polmone dei pazienti Covid-19 deceduti e abbiamo notato che erano impregnati di coaguli. Aggrediti da una vera e propria tempesta coagulativa. Ora cominciamo a chiamare questi coaguli microclots. Inizialmente sembrava in Coagulazione intravascolare disseminata “atipica”, con interessamento di parenchima polmonare e vene degli arti inferiori, adesso appare sempre più come una “Cac”, malattia coagulativa da Covid-19».
Ha parlato di videoconferenza, con chi è in contatto?
«Con il professor Pierluigi Viale, direttore di Malattie infettive al Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. Ho avuto successivamente modo di partecipare a videoconferenza con colleghi cardiologi, intensivologi, pneumologi, anatomopatologi di diversi ospedali della Lombardia in cui venivano analizzati i prelievi bioptici di tessuto polmonare».
Che succede al paziente di Covid-19 che finisce in terapia intensiva?
«Si pensa che i pazienti vadano in terapia intensiva e ventilazione assistita (Cpap) per Tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto Tromboembolia polmonare (Tep). Se così fosse, potremmo fermare la malattia alle prime fasi e forse non serviranno più le Rianimazioni per intubare i pazienti. Ci potremo fermare alle Fasi 1 e 2 della malattia, la fase di replicazione virale e iniziale fase polmonare. Un grande aiuto alla terapia in fase media della malattia prevede di sciogliere il trombo e quindi bisogna prevenire queste tromboembolie. Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve. Infatti muoiono 8 pazienti su 10».
Quindi la malattia colpisce i vasi sanguigni? «I vasi, l’apparato cardiovascolare, e solo dopo arriva ai polmoni. Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità. La polmonite interstiziale che si vedeva alle prime Tac era conseguenza della tempesta coagulativa di microclots con conseguente tempesta di citochine che provoca distress respiratorio. Infatti, più elevato era lo stato infiammatorio iniziale del paziente (Pt e D-dimero ) e più erano alti gli indicatori di coagulazione, più la mortalità aumentava. Del resto, c’è anche uno studio condotto da Agnese YY Lee e altri e pubblicato sulla rivista della Società americana di ematologia che conferma questi aspetti».
Quando bisogna utilizzare il farmaco?
«Bisogna utilizzare il farmaco insieme agli altri farmaci raccomandati dalla Società italiana di malattie infettive nelle prime fasi della malattia. Bisogna evitare che il paziente arrivi in ospedale. Del resto, sono convinto che tra il lasciare a letto il paziente per 10 giorni con febbre, tosse e astenia estrema senza fare niente e cercare di fare terapia con opportuni accorgimenti, è più etico intervenire nelle fasi iniziali della malattia».

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