In Coena Domini: l’Eucarestia dà forma alla comunità

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Anche a Gerusalemme la celebrazione eucaristica ‘In Coena Domini’ si è svolta senza partecipazione del popolo a causa del coronavirus, che tra Israele e Territori Palestinesi sfiora 10.000 persone, costringendo alla chiusura al pubblico dei Luoghi Santi, con la conseguente ‘mancanza di lavoro’ e ‘prospettive economiche molto fragili’, ma che spinge ad una collaborazione tra israeliani e palestinesi per una ‘strategia comune’ contro la diffusione del virus.

Nell’omelia l’amministratore apostolico, mons. Pierbattista Pizzaballa, ha sottolineato che in queste circostanze occorre lasciarsi guidare dalla Parola di Dio, che invita ad una scelta di libertà: “Anche oggi il Signore passa in mezzo a noi, e anche oggi ci viene chiesto di prendere la stessa posizione di accoglienza o di rifiuto. Spetta a noi decidere se vogliamo essere tra i segnati dal sangue dell’Agnello oppure no.

Se vogliamo uscire dal nostro Egitto e incamminarci verso la meta che il Signore ci indica, oppure se vogliamo restare ‘seduti presso la pentola della carne’. E il Vangelo ci dice chiaramente quale sia la meta. E’ Gesù stesso ad indicarcela ed è ancora Lui che la raggiungerà per primo, per prepararci un posto”.

E’ lo stesso Gesù che chiede di lasciarsi lavare i piedi: “L’isolamento e la solitudine di questi giorni possono insegnarci che è possibile cambiare strada, iniziando un percorso di conversione, inteso come un ritorno ad ascoltare la Parola del Signore. La maggioranza di noi è costretta a rimanere chiusa nelle proprie case, senza la possibilità di partecipare alla Celebrazione Eucaristica, cuore della Chiesa e Sacramento di guarigione.

In questo strano e doloroso momento di digiuno, possiamo forse leggere una chiamata a ripensare e purificare le nostre relazioni familiari, a rifondare la Chiesa domestica alla luce di questo Vangelo, che ci indica nel gesto di lavarsi i piedi il modo per guarire i nostri rapporti, la via per andare al Padre”.

Il momento attuale è un passaggio della storia: “Non ci troviamo alla fine del mondo. Ci troviamo, piuttosto, ad un passaggio di una storia che ha ancora un lungo cammino di fronte a sé. Il domani, dunque, che pure ci sarà, dipenderà dalla novità delle relazioni che iniziamo a costruire ora. La morte, ogni morte, non è vinta semplicemente dalla Vita, ma dall’Amore. Sarebbe riduttivo leggere questo momento di limitazioni, questa battaglia comune solo come tentativo di salvare le nostre vite. Questa è una battaglia che prima o poi perderemo”.

Per l’amministratore della Chiesa di Gerusalemme l’Eucarestia indica la strada per giungere al Padre: “Siamo piuttosto chiamati ad impegnarci per creare un nuovo mondo, che ha nel Risorto il suo invincibile inizio e nell’amore gratuito e libero il suo modello.

In altre parole, sapremo creare un mondo nuovo nella misura in cui l’Eucarestia davvero darà forma alle nostre comunità, nello spezzare il pane innanzitutto; e poi nel far nascere relazioni fondate sull’interesse per la persona, sulla giustizia, su modelli sociali inclusivi e non esclusivi, su forme di sviluppo equilibrate e attente al bene comune”.

In Italia l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, ha inviato una lettera ai sacerdoti, invitandoli ad essere santi: “In questo tempo faticoso e difficile per tutta la gente, manteniamo alta la fede e la speranza con il nostro modo di vivere e di offrire a tutti un esempio di unità e comunione reciproca, di preghiera e di prossimità in varie forme possibili verso gli anziani soli, i poveri e quanti hanno subito gravi lutti per la morte di loro congiunti.

Questo ci conduce a valorizzare al meglio ciò che è il primo servizio che siamo chiamati ad offrire ai nostri fedeli: quello della santità. Il popolo di Dio ha bisogno e reclama presbiteri santi, che facciano della preghiera e della contemplazione la testimonianza visibile del loro amore per Cristo”.

Mentre nella celebrazione del Giovedì santo l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, ha sottolineato che i sacerdoti sono vicini al popolo: “E penso con affetto a tanti preti che, magari per malattia o per le condizioni in cui si trovano, non possono neppure celebrare; a tutti voglio dire il mio affetto. Ecco, la gente vuol bene ai suoi preti e i preti vogliono bene alla loro gente.

Ci prepariamo dunque alla festa, quando sarà, quando potremo celebrare ancora insieme. E sono contento anche che in molte famiglie si sia creato un clima di preghiera, una qualche forma di celebrazione nella chiesa domestica, che fa in modo di percepire la presenza del Signore in una forma diversa dal solito, ma ugualmente intensa ed edificante per chi si trova in casa. Su tutti voglio invocare la benedizione del Signore”.

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