Acli: dalla lezione del coronavirus una sanità a misura della persona

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“Il virus divide, allontana, ci porta ad isolarci. Accettiamolo come provocazione e richiamo perché troppe volte la nostra vita quotidiana si rassegna alle divisioni, alle rotture nelle relazioni e nei rapporti. E appartenere alla Chiesa dice proprio il contrario rispetto all’isolamento”: lo ha affermato il sottosegretario della Cei, don Ivan Maffeis, in un’intervista a Tv2000 trasmessa durante la diretta dello speciale ‘Buonasera dottore’ sull’emergenza coronavirus in onda mercoledì 4 marzo.

Nell’intervista don Maffeis rivolge anche un pensiero sia agli ammalati che agli operatori sanitari: “Il pensiero in questi giorni sicuramente va a chi è stato colpito dal virus e ai famigliari ma anche alle tante persone che con generosità, eroismo e nel silenzio si spendono. Penso soprattutto agli infermieri, agli operatori sanitari, ai medici. A chi è in frontiera e in prima linea. A chi non si rassegna a lasciare le persone né in balìa del virus né della paura. A tutte queste persone dobbiamo essere riconoscenti”.

E partendo dalla situazione di questi giorni, in cui molti sono preoccupati per il diffondersi del virus Gianluca Budano, consigliere nazionale alla presidenza Acli con delega alla salute, ha sottolineato i troppi tagli economici, operati nel settore sanitario: “Secondo l’Osservatorio Welfare Familiare, nel 2017, la spesa sanitaria familiare privata era pari ad € 21.600.000.000.

Un calcolo fatto sui dati Caf Acli relativi alle dichiarazioni dei redditi mostra che, nel 2018, la spesa sanitaria privata pro capite ammontava ad € 1.118. Il disegno che emerge da questi dati descrive una sanità pubblica troppo concentrata sulla spesa, solo in grado di garantire con difficoltà l’ordinario. In alcuni casi neanche quello, basti pensare al fenomeno delle migrazioni sanitarie che vede molti pazienti, soprattutto del Sud Italia, costretti a trasferirsi per periodi medio lunghi con le loro famiglie al Nord per curarsi”.

Però buona parte della rapida diffusione del virus è dovuto anche ad una ‘cattiva’ informazione: “Quella attuale è la prima crisi sanitaria di grandi dimensioni al tempo dei social. In questi giorni ognuno di noi ha potuto sperimentale la ‘viralità’ con cui gli articoli/post sul Coronavirus hanno invaso la rete, diffondendo, assieme a quelle vere, una quantità incalcolabile di vere e proprie ‘balle’ e, generando vere e proprie crisi tra gli utenti, corse ad accaparrarsi l’ultima mascherina, intollerabili fenomeni di razzismo contro cittadini di origine asiatica…

La stessa velocità di spostamento da una parte all’altra del pianeta, tipica della nostra epoca, ha generato problemi: con pochissimo tempo il Virus Covid-19 si è spostato dalla Cina, invadendo il mondo raggiungendo l’Europa, l’Africa (Egitto) … e da ultimo gli Stati Uniti”.

L’altro aspetto sottolineato è il buon ‘uso’ della ‘rete’ per arginare il contagio: “Tuttavia, se da una parte le facili comunicazioni in rete hanno sicuramente degli aspetti negativi; dall’altra, non sfugge che grazie ad esse possiamo arginare il contagio efficacemente.

Ci riferiamo in particolare alla capacità di monitorare l’evoluzione dei contagi in tempo reale e intervenire con misure di contenimento: blocco dei voli, quarantena, ricoveri, ecc. Inoltre, grazie alla buona comunicazione è possibile a tutti consultare i siti ufficiali, telefonare al numero verde messo a disposizione dalle autorità, insomma informarsi direttamente da fonti autorevoli.

Per non parlare delle potenzialità della telemedicina, che potrebbe essere il vero asso nella manica del sistema. Insomma, la società della comunicazione ha sicuramente maggiori possibilità di affrontare con successo questo tipo di problemi rispetto a quelle precedenti”.

Per il consigliere nazionale delle Acli tale situazione mette in evidenza nuove sfide e nuove opportunità: “Un sistema sanitario che si rispetti deve andare oltre la mera capacità di contenimento, deve essere sempre preparato a fronteggiare le emergenze sanitarie, deve prevenire prima ancora che curare, come diceva una vecchia pubblicità.

L’attenzione al bilancio e all’ordinarietà non aiuta, in questo momento occorre una nuova prospettiva multilevel che coinvolga tutti: dal Sistema Sanitario Nazionale ai professionisti che operano nel settore più ampio del sistema complessivo di welfare, fino ai pazienti reali o potenziali. Occorre diffondere una nuova cultura della salute totale, che coinvolga i cittadini, le istituzioni locali, nazionali e internazionali”.

Questa ‘emergenza’ deve indurci a “riflettere ad un cambio di paradigma verso la salute totale, dove ognuno di noi è chiamato a rispondere delle proprie azioni a partire dall’osservanza scrupolosa delle normali norme igieniche…  Ogni cittadino è tenuto ad avere cura degli altri, tutelandoli, adottando comportamenti adeguati.

Il comportamento individuale però deve essere sostenuto dalle Istituzioni pubbliche con un diffuso programma di  prevenzione sanitaria, di cui la diagnostica costituisce un vero e proprio asse portante insieme ai corretti stili di vita; con il ritorno al presidio di tutti i territori, con una medicina di base che si associa e garantisce la continuità assistenziale H24 come il decreto Balduzzi del 2012 obbligava a fare e come contrappeso alla chiusura dei piccoli ospedali, strada obbligata a detrimento però della percezione di sicurezza sanitaria dei cittadini, avendo visto gli ospedali chiudere e i medici di base restare prevalentemente in proprio”.

Quindi un ‘ripensamento’ del Servizio Sanitario Nazionale, senza tradire i principi della legge 328/2000: “Insomma, grazie anche alle straordinarie potenzialità delle nuove tecnologie, oggi abbiamo la grande occasione di ripensare il sistema, di cambiare paradigma, passando dalla sanità della prestazione alla salute totale, che richiede sicurezza sanitaria e prossimità, oggi esclusivamente affidata all’imbuto dei ‘pronto soccorso’, per chi può raggiungerli e non ha ridotta mobilità.

Non è la lezione del Coronavirus che ce lo impone, ma la sveglia che questa emergenza ha suonato nel corso di un sonno non profondo del sistema sanitario, e più in generale di welfare, italiano. Non profondo perché la sanità italiana resta un’eccellenza, ma il sistema di risposta ai bisogni di salute è un’altra cosa; in una espressione sola, una presa in carico globale ed efficace dell’individuo e del collettivo comunitario, multidisciplinare e multidimensionale, come richiede semplicemente la natura della persona umana”.

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